di Enrico Esposito
La musica è diventata parte integrante del Dna di Luciano Panama ancor prima che Luciano Panama diventasse adolescente. Un’attrazione fortissima, ereditata, irresistibile e allargatasi ben presto fino a diventare un coinvolgimento totalizzante. Panama, classe 1980, ha ricoperto i panni del dj, del rapper, del rocker leader degli Entourage Enterinourage, band protagonista di un’evoluzione ed un apprezzamento importanti. Parallelamente ha affinato “la sua dipendenza dalla sperimentazione”, imparando a suonare una vastità di strumenti i cui nomi parlano da soli (chitarra, pianoforte, basso, contrabbasso, batteria, tastiere). L’interesse per l’ingegneria del suono, il missaggio, la regia e il montaggio video lo portano ad aprire alla fine del primo decennio del 2000 uno studio nella sua Messina che prende il nome di Youth-Studio, e da quel momento si trasforma nella fucina al cui interno l’artista coordina e realizza i suoi numerosi progetti. Arrivano due anni decisivi: il 2015, che segna l’inizio di un nuovo, naturale corso per Luciano Panama, pronto a intraprendere un’avventura solista “dovuta” in virtù della storia stessa che già si porta sulle spalle. E il 2017, che vede la pubblicazione di “Piramidi”, il primo album da solista, interamente prodotto, scritto, suonato da Panama, ad eccezion fatta per due guest stars performative, il violino di Giovanni Alibrandi in “L’Osservatore”, “Come aria” e “Messina guerra e amore”, e la tromba di Matteo Frisenna in “Hey my all’improvviso”. Piramidi è un disco non convenzionale, sviluppato in otto tracce molto diverse tra loro, uscito il 20 ottobre 2017. Una rete di connessioni fluide tra voci e immagini, pause e suoni. Oggi ne parliamo con il loro scrittore ed esecutore, Luciano Panama.
1 - Buongiorno Luciano e grazie mille per essere qui con noi. “Piramidi” ci ha colpito molto per la sua struttura a matrioska perché si articola in otto canzoni che raccontano momenti e pensieri singoli. E al loro interno è possibile cogliere passaggi molteplici, legati al cambiamento di stato d’animo e di ritmo, all’irruzione di brusii, clacsons e altri elementi non convenzionali. Una componente di fusione che ci riporta indietro nel tempo a tradizioni progressive nostrane e internazionali. Quando hai partorito questa idea di disco? Quando ho pensato al disco, strutturandolo con una parte delle canzoni che ho scritto in quel periodo, non avevo un’idea precisa sulla successione delle canzoni, su come avrebbe suonato o come l’avrei arrangiato e prodotto. Tutto è arrivato spontaneamente lavorandoci, il mio istinto mi guida attraverso delle sensazioni. Cerco di scrivere, impastare e incorniciare al meglio note testi e suoni, scegliendo con attenzione quelli che si avvicinano di più a quello che sono io nel momento in cui compongo e produco. Mi spingo sino in fondo, senza avere paura. Il coraggio è una cosa importante nella vita e soprattutto nei dischi, un disco deve essere soprattutto un’avventura, almeno per me è fondamentalmente questo. Piramidi è un circolo immaginario in cui perdersi attraverso l’ascolto completo. Da solo sono riuscito a trovare un mio senso tra tutti gli elementi. Ci vuole tempo e ogni disco è un’esperienza diversa, un po’ magica… Non ho mai avuto un produttore sino ad oggi, non ho paura di essere quello che sono senza filtri, ma è un’esperienza che in futuro voglio fare. Vorrei lavorare con qualcuno che stimo tanto, che da subito, proprio dopo aver registrato la take in studio, mi dica le sensazioni che prova in quel momento esatto, in modo che anch’ io, attraverso questa esperienza, riesca a mettere sempre più a fuoco i miei argomenti musicali e testuali. 2 - “Piramidi” si affida a una copertina che raffigura i grattacieli di Città di Panama, la capitale dell’omonimo stato centro-americano. Nonché la parola che rappresenta il tuo stesso cognome. Una cover attuale, in cui le protagoniste sono piramidi alternative, contemporanee. Da dove viene la scelta di questo titolo per il tuo lavoro d’esordio in studio e quale valenza assumono la dimensione cittadina e collettiva all’interno della poetica dell’album? La canzone “L’osservatore” mette in scena un autentico monologo della voce narrante nei confronti della realtà circostante, mentre “Messina guerra e amore” esplora l’appassionato e conflittuale legame con la tua hometown, la tua culla umana e artistica, destinataria di una lettera contenente molteplici messaggi. Le piramidi sono templi. Sono strutture che mi hanno sempre affascinato, sia dal punto di vista architettonico che da quello spirituale. Le ho studiate, ho letto molti articoli e visto tanti documentari su tutte le piramidi che ci sono nel mondo, soprattutto quelle dell’America centrale. Mi hanno sempre attratto per la storia che si portano dietro, sanno di vita vissuta, di umanità, di impresa, di valore acquisito, di energia positiva, di qualcosa che resta nel tempo. Avevo voglia di fare le mie di PIRAMIDI! Credo che il disco parli di tutto ciò. Il titolo nasce dopo aver scritto tutto, cercavo qualcosa che riassumesse al meglio il suo contenuto, poi ho anche trovato la copertina giusta. Io porto il cognome di una città, di un paese intero, e sin da bambino avevo in mente delle mie idee su cosa un luogo dovesse essere per chi lo vive. Tutto questo crescendo si è amplificato ed è confluito in questo disco in modo chiaro. Anche nel mio passato ho sempre scritto di luoghi, partendo proprio da “Pangea”, una delle mie prime canzoni in italiano in ambito rock. E’ qualcosa di naturale che ho messo a fuoco con più precisione in questi ultimi anni e che va assecondato, vissuto, studiato. Porterò avanti la mia idea di città o terra in generale. Oggi ho capito quanto importante sia vivere un luogo attento, sempre pronto ad una novità piuttosto che ad una pausa. Un contesto socio-culturale vigile insieme a famiglia e scuola creano le basi con cui affrontare la vita. 3 - Quali libri Luciano Panama aveva appoggiati sul comodino mentre lavorava alla messa a punto di questo lavoro? Quali musicisti ascoltava e infine quali esperienze scorrevano nella sua mente fino a stimolarlo eventualmente nella scrittura di versi e melodie? All’inizio di “Man” è possibile riconoscere ad esempio distintamente una citazione de “L’Anarchico” di Giorgio Gaber. In “Hey My all’improvviso” ti inventi d’altra parte una rivisitazione del grande classico di Neil Young “Hey Hey, my my”, riscrivendo in modo personale l’omaggio alla cultura rock del cantautore canadese. Pensandoci, non ricordo con precisione cosa stessi leggendo in quel periodo, anche perché è stato abbastanza lungo. In linea di massima ho sempre un nuovo libro di poesie, di filosofia, di letteratura e li leggo contemporaneamente, ad esempio adesso ho Prevert, Nietsche, Bulgakov & Jack London. I miei ascolti sono sempre abbastanza vari. Cerco di ascoltare qualcosa di nuovo soprattutto che venga dall’estero, per la produzione dei suoni e per la ricerca musicale. Al mattino spesso ascolto musica classica. Gaber e Young sono sicuramente due autori che stimo tanto. Mi fa piacere parlare anche nelle mie canzoni di chi mi ha insegnato qualcosa. 4 - Come ha trascorso Luciano Panama gli ultimi strani mesi? Fase 1, fase 2, dalla primavera all’estate il futuro del mondo resta ancora in bilico. La musica come tutte le altre ricchezze della vita rimangono con il fiato sospeso e tentano un po’ alla volta di recuperare il naturale habitat che gli spetta, ossia i concerti, l’attività live. Dunque quali sono le eredità che il lockdown e le sue propaggini hanno rilasciato dentro il Luciano Panama, uomo, medico e musicista, e le conseguenze successive, in modo principale attinenti ai suoi progetti di composizione, pubblicazione, esibizione? Con questa ultima domanda ti salutiamo e ti ringraziamo ancora per averci concesso questa intervista. Ho trascorso le varie fasi lavorando. Milano è stata una delle città più colpite, io la abito da qualche tempo, per cui ho fatto turni in più come medico del territorio. Gli scenari di questa Milano deserta e spaventata mi hanno fatto vivere dei momenti anche surreali ma ho anche lavorato ad altro, tornando a casa ho sempre cercato di staccare da tutto concentrandomi sul disco nuovo. Ho letto un po’e scritto anche attraverso un altro linguaggio che non sono le canzoni, sto cercando un altro modo di far viaggiare la mia fantasia. Io sono una persona che progetta continuamente, la mia mente non è mai stanca di immaginare delle situazioni… Cosa mi hanno lasciato questi mesi credo che lo scoprirò tra qualche tempo, ho bisogno di rielaborare e fare mia un’esperienza prima di parlarne concretamente. Spero presto di tornare a suonare live in situazioni interessanti dove pubblico, luogo e artista rendano il momento performativo unico e indimenticabile, dove la musica abbia un valore principalmente artistico piuttosto che commerciale. Spero che le prossime canzoni che pubblicherò servano davvero a qualcosa e che abbiano un significato che riesca ad andare oltre il tempo che viviamo. In quest’epoca sembra che i cantautori abbiano perso il loro ruolo nella società. Dobbiamo utilizzare la musica per esprimere un’idea senza essere schiavi del mercato. Credo che la maggior parte dei musicisti (parlo del mio ambito ma sono sicuro che il discorso valga anche per le altre discipline) suoni una musica che non gli piace, ma a loro dire “gli dà da mangiare”. Dobbiamo provare a staccarci da questa idea di musicista e di musica, piuttosto facciamo un altro lavoro, ma occupiamo i palchi per dire qualcosa che ci piace davvero. Proviamo a fare qualcosa di serio anche nei posti dove lo svago è al centro del mirino, lo scontro creerà pensiero. Grazie a voi per l’intervista e lo spazio sulle vostre pagine. Luciano
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