6/5/2016 Intervista a Paolo Fresu (special guest Petra Magoni) & live report di Paolo Fresu, Richard Galliano, Jan Lundgren @ Teatro Verdi - Pisa, 26/04/2016Read Now
In occasione della data pisana del progetto Mare Nostrum condotto insieme a Richard Galliano e Jan Lundgren, martedì ventisei aprile Paolo Fresu è stato ospite presso la Galleria del Disco di Pisa per presentare il suo ultimo album “Eros”: un incontro che si è rivelato anche uno stimolo per discutere sulla situazione discografica attuale e sui nuovi modi di fruizione della musica. Presente a sorpresa anche Petra Magoni dei Musica Nuda, la cui intervista potete trovare in fondo all’articolo. ![]()
Il coraggio può essere seducente. Non si tratta del coraggio tronfio ed autoreferenziale che può esserci in un qualsiasi gesto eroico, bensì di quello fragile ma determinato e consapevole che le etichette e gli artisti indipendenti abbracciano per portare avanti i loro progetti artistici. È questa l’idea che sta alla base del minitour di Paolo Fresu per presentare il suo ultimo lavoro discografico dal nome quanto mai eloquente, “Eros”, con la recente tappa pisana alla Galleria del Disco. Basta osservare l’immagine della copertina che accompagna la locandina del progetto per avere una visione chiara di quanto possa essere attraente il coraggio: l’importante è arrivare dritti al bersaglio, in questo caso gli ascoltatori, facendoli riavvicinare sia ai dischi, oggetti visti come prodotti artigianali capaci di trasmettere molteplici esperienze, e sia ai negozi specializzati, adibiti non solo alla vendita ma intesi come luoghi di relazioni e d’incontro fra appassionati.
La seduzione di “Eros”, quindi, non risiede solo nel tema trattato, un concept vero e proprio sull’erotismo, e nelle sonorità in esso contenute, ottenute dalla collaborazione di Fresu con Omar Sosa e con la partecipazione di altri artisti quali il violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum, il quartetto Alborada e la cantante Natacha Atlas, ma anche nel suo essere un segnale piccolo ma deciso verso un mercato sempre più digitalizzato che rischia di allontanare la gente dal piacere legato all’oggetto-disco e, paradossalmente, dall’acquisto stesso dei dischi. “Abbiamo deciso di presentare questo lavoro non nelle grandi catene di distribuzione come Fnac, Feltrinelli e Mondadori, ma in quei piccoli negozi con una grande storia che esistono da tantissimi anni e che nonostante tutto continuano coraggiosamente a credere in un certo tipo di mercato. Sono quei negozi che, a nostro parere, stanno cercando una via altra all’implosione del mercato discografico”: nelle parole del trombettista sardo la voglia di avvicinare la gente ai dischi e nello stesso tempo di capire come si è potuto creare questo iato, è evidente, cercando di trasmettere ai giovani e meno giovani presenti il lavoro che ci può essere dietro ad un’etichetta indipendente jazz come la Tuk Music, che è l’altra faccia della musica di Fresu quando non è impegnato sul palco. Il minitour “La seduzione del coraggio” si sposa bene infatti con l’attività di promozione dell’etichetta, che permette una totale libertà creativa agli artisti coivolti, cercando inoltre di incanalarli verso il mondo della musica, un mondo che in Italia viene ancora faticosamente poco riconosciuto come lavoro vero e proprio. “Mettere su un’etichetta oggi è una follia, crearne una appositamente jazz significherebbe poi irrimediabilmente perderci. Per me stare dietro all’etichetta è irrinunciabile perché è come continuare a dare vita a quella che è una certa idea di musica, e questo minitour vorrebbe in qualche modo testimoniarlo. Per idea di musica non si intende solo quello che si andrà a suonare stasera sul palcoscenico insieme a Galliano e Lundgren: fare musica significa respirarla e viverla anche fuori dai palchi. Significa anche non leccarsi le ferite quando la gente non compra i dischi ma cercare di capire perché avviene questo fenomeno e dov’è la falla del mercato discografico”. ![]()
I temi trattati nei trenta minuti dell’incontro sono tanti e dei più vari, dalla regolamentazione del download su internet alle radio, dalla mancanza di un adeguato supporto culturale per la musica in Italia alla promozione dei giovani talenti sino ai concerti; il dato fondamentale che emerge dalle esperienze raccontate da Fresu e da un’inaspettata Petra Magoni, ospite a Pisa per presenziare ad un concerto di beneficenza il giorno dopo, è che la gente, se opportunamente stimolata e messa nelle giuste condizioni di fruizione, vuole conoscere e richiede di ascoltare musica di qualità. Proprio per questo la figura di Fresu è quanto mai emblematica, se non necessaria, per la scena internazionale: può fare da ponte per scoprire nuovi mondi sonori, jazz ma non solo, che rimangono sommersi da prodotti più commerciali. Un valore aggiunto, questo, che è lampante durante gli incontri itineranti targati “La seduzione del coraggio” e che verrà ribadito la sera stessa durante il concerto presso il Teatro Verdi. A proposito del suo nuovo album, Fresu aggiunge: “È un disco dove il jazz è presente ma va in una direzione molto aperta, visto che non ci siamo posti il problema se fosse effettivamente jazz o meno; anzi, probabilmente è il disco meno jazz che abbia mai registrato, come dimostrano anche le cover di Teardrop dei Massive Attack e di What Lies Ahead di Peter Gabriel contenute nell’album. La speranza è quella che, in un periodo di crisi del mercato discografico come quello attuale, un disco come questo possa incuriosire anche un ascoltatore diverso, o magari una fascia di ascoltatori più giovani che potrebbero trovare in questo progetto una scintilla d’interesse che magari potrebbe non scattare ascoltando qualcosa di più classico”.
Un obiettivo in buona parte raggiunto: il primo ad accogliere il musicista sardo nel negozio non è stato un vecchio jazzofilo con la barba bianca e sguardo severo, ma un ragazzino sugli otto anni con la copia del disco in mano e che la madre ha presentato a Fresu dicendo: “È un suo grande appassionato”.
Nella tua produzione recente ti sei spostato molto dal jazz puro, abbracciando sempre più altre sonorità anche molto melodiche che del jazz mantengono solo l’atmosfera come il trip hop. Da cosa è dettato questo cambio di prospettiva musicale?
Per me ormai è diventata la norma anche se dipende molto dalla tipologia dei progetti: ci sono dei dischi più sull’elettronica, altri più meticciati o più sul pop. Nel disco precedente registrato con Omar Sosa era presente la cover di Under African Skies di Paul Simon, quindi non ci poniamo problemi di stile: dopo una tournée entriamo in studio e la musica si evolve in maniera naturale. Da un certo punto di vista Eros è sicuramente uno dei dischi più out che ho fatto e risente dell’amore che provo per quel tipo di sonorità che ora stanno orientando molto il mio percorso musicale: da una parte continuo ad amare il jazz tradizionale ma dall’altra mi interessa meno suonare il jazz in quanto tale, e mi attira di più quando si sposa con tanti altri mondi diversi, che siano quelli della musica barocca o del pop. Oggi in ambito jazzistico c’è molta elettronica: è anche per questo che per “Eros” hai scelto di inserire il pezzo dei Massive Attack? La cover di Teardrop nasce un po’ con questa idea di suono e sicuramente se l’avessimo suonata con un arrangiamento più classicamente jazz non avrebbe avuto lo stesso senso.
Com’è nato invece il secondo capitolo di Mare Nostrum, il progetto che hai creato insieme a Richard Galliano e Jan Lundgren?
Mare Nostrum II, uscito a marzo, è la logica prosecuzione del primo album pubblicato nel 2007. Si basa bene o male sullo stesso principio: ci sono principalmente composizioni scritte da noi tre e poi ognuno ha dovuto portare un brano non suo, io ho portato un’aria di Monteverdi, Galliano un pezzo di Satie mentre Lundgren un pezzo tradizionale svedese. Ne è uscito fuori un album che è molto in sintonia con il primo, dai toni calmi, riflessivi, con molto spazio per far risuonare le numerose melodie. Il carattere europeo della musica è stato naturalmente mantenuto visto che siamo tre musicisti provenienti dalle aree francesi, italiana e svedese, così come le registrazioni, effettuate questa volta in Francia a differenza del primo fatte in Italia. Il terzo sarà registrato in Svezia così da chiudere la trilogia. Cosa ci dovremo aspettare dal concerto di questa sera? La set list che stiamo portando in giro è basata quasi totalmente sui pezzi di Mare Nostrum II, con in più qualche pezzo preso direttamente dal primo capitolo. Speriamo che possa coinvolgere quanta più gente possibile.
Mare Nostrum è l’incontro fra tre anime, pellegrine per altrettanti mari che alla fine confluiscono in un unico enorme specchio d’acqua formato dall’Italia con Paolo Fresu, tromba e flicorno, dalla Francia con Richard Galliano, fisarmonica, e dalla Svezia con Jan Lundgren, pianoforte. Tre paesi culturalmente distanti ma riuniti grazie alla forza comunicativa dal forte sapore mitteleuropeo della musica creata dal trio: martedì ventisei aprile il progetto Mare Nostrum è andato in scena presso il Teatro Verdi di Pisa in occasione della ricca rassegna organizzata da Pisa Jazz, portando sul palco principalmente i pezzi del secondo disco uscito a marzo, alternati a qualche composizione pescata dal primo capitolo che diede avvio all’avventura nel 2007.
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Parlare di jazz in senso stretto sarebbe alquanto fuorviante, oltre che limitativo, visto che nella musica dei tre musicisti confluiscono svariate influenze, non ultime la musica classica e certe melodie pop, come accennato da Fresu stesso in sede d’intervista; se di jazz bisogna parlare lo si potrebbe fare per quanto riguarda alcuni arrangiamenti e per l’atmosfera molto soft e quasi ovattata, incredibilmente mantenuta anche in sede live. E questo principalmente è dovuto, oltre che alla lunghissima esperienza di cui sono portatori gli artisti coinvolti, soprattutto alla forte empatia musicale quasi palpabile trasmessa dai musicisti sul palco: pur suonando tre strumenti differenti, lo stile adottato era comune, basato sul dosaggio parsimonioso delle note e con fraseggi mai sopra le righe e per nulla eccessivi. Un’esibizione che evita i facili egocentrismi nei quali alcuni musicisti jazz rischiano di cadere soprattutto durante i soli: per Fresu, Galliano e Lundgren questi momenti sono parte integrante dei brani, permettendo così di creare un gioco continuo di rimandi (soprattutto fra tromba e fisarmonica, le “voci” del trio) e portando a galla l’interplay che è alla fine il cuore pulsante dei concerti del progetto Mare Nostrum.
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L’aspetto melodico delle composizioni viene sottolineato molto più dal vivo che su disco: le registrazioni, infatti, rischiano di perdere impatto lungo gli ascolti mentre durante i live acquistano maggiore forza proprio grazie alla loro capacità di rivolgersi direttamente al pubblico senza ulteriori intermediazioni. D’altronde l’arte del progetto Mare Nostrum è musica diretta, altamente emozionale, che riesce a smuovere le corde emotive più profonde con un andamento narrativo da colonna sonora: tutto ciò viene ancor più amplificato durante il concerto, permettendo ad ogni ascoltatore di poter creare il proprio film interiore a seconda dei propri ricordi e stati d’animo. Dal pezzo d’apertura che da il nome al progetto, passando per alcuni dei brani del secondo capitolo come Aurore, Leklåt, la meravigliosa Blue Silence, Apnea, sino al bis con l’aria monteverdiana Si dolce è il tormento, l’ora e mezza del concerto passa incredibilmente veloce, lasciando alla fine il pubblico entusiasmato. Quella di Fresu, Galliano e Lundgren non è semplicemente musica creata da tre solisti, chiusi all’interno della loro campana di vetro fatta di sterile perfezionismo strumentale: è il risultato di un corpo unico che va al di là dei singoli elementi, frutto del delicato equilibrio fra perizia tecnica e forte capacità comunicativa.
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Mare Nostrum è sicuramente un progetto che va gustato molto più dal vivo che su disco: è diretto, istantaneo ma non banale, e quindi capace di coinvolgere ad un livello più profondo che rischia di rimanere non completamente espresso negli album. Dispiace solo constatare l’età media dei presenti in teatro che si aggira sulla cinquantina (con picchi di sessantenni), dimostrando ciò che Paolo Fresu ha detto nel pomeriggio sul fatto che il jazz rimane un genere ancora relegato ad una frangia di ascoltatori di età elevata. Non rimane che attendere il terzo capitolo per lasciarsi dolcemente naufragare ancora una volta per questo mare.
QUATTRO CHIACCHIERE CON PETRA MAGONI
Fra i presenti venuti ad ascoltare Paolo Fresu presentare “Eros” c’era anche Petra Magoni, voce dei Musica Nuda, progetto acustico che condivide con il contrabbassista Ferruccio Spinetti, nonché amica del trombettista sardo. Approfittando della sua presenza a Pisa dovuta ad un concerto di beneficenza organizzato dalla ONLUS “Nicola Ciardelli” tenuto il giorno dopo insieme all’Orchestra Operaia sempre al Teatro Verdi, e alla sua disponibilità, abbiamo scambiato qualche parola sull’incontro appena concluso e non solo. Come ti sei avvicinata alla musica di Paolo Fresu e cosa rappresenta per te la sua arte? Ci conosciamo da più di quindici anni e posso dire che è un personaggio che non ho compreso a fondo almeno sino a quando non ci ho suonato insieme. All’inizio può sembrare una persona un po’ sulle sue ma poi si rivela di grande generosità ed anche simpatico ed espansivo. Nel momento in cui abbiamo suonato insieme credo di aver capito un po’ più di cose sul suo conto, innanzitutto perché abbia così tanti progetti e suoni con persone così diverse; secondo la mia impressione, non credo che lo faccia per esserci a tutti i costi o per piacere alla maggior parte della gente ma per una sua ben precisa esigenza artistica. A partire dal concerto con lui e Paola Turci a Berchidda, sono nate successivamente delle collaborazioni insieme ad un forte rapporto artistico che si rinnoverà fra l’altro proprio quest’anno con il concerto di beneficenza per L’Aquila e un altro sempre a Berchidda, sia su nave che nel paese. Sono fra l’altro molto contenta di aver assistito a questo incontro di oggi poiché ho condiviso ogni singola parola di Paolo: sono discorsi che fra musicisti ci facciamo continuamente, ma un conto è farli solo fra noi e un conto è invece esporli anche alla gente in modo molto chiaro e sincero come ha fatto lui. Ritengo l’idea di andare personalmente nei piccoli negozi di musica una cosa fantastica, e che avrei voluto fare anch’io, perché riporta valore alla musica e a chi la fa con passione. A fronte della globalizzazione totalizzante delle grandi catene di dischi, i piccoli negozi delle singole città cercano di resistere per mantenere un rapporto diverso col pubblico, divenendo quindi un consigliere a tutti gli effetti, indirizzandolo verso un prodotto anziché un altro. Uno degli aspetti più interessanti di questi incontri è l’avvicinamento dell’artista verso il pubblico. Fresu ha deciso di andare verso gli ascoltatori, non è avvenuto il contrario come può invece capitare con alcuni musicisti che “gettano” la loro musica su un pubblico passivo e che di fatto poi non la recepisce. Bisogna sempre cercare di mantenere un rapporto verso chi ti ascolta. Io vado a cavallo e spesso uso l’analogia del cavallo per descrivere il pubblico: correndo ogni volta con un cavallo diverso non posso impormi sull’animale con la frusta ma devo prima conquistarmi la sua fiducia. Solo successivamente il cavallo, ovvero il pubblico, si fida e mi segue lungo un determinato percorso. Questo quindi ti pone sotto una luce diversa, ma salire su un palco e imporre te stesso non né il modo di Paolo né il mio di affrontare la musica, a differenza magari di altri che invece lo fanno. Ritornando a quando con i Musica Nuda abbiamo condiviso il palco con Paolo, mi sono accorta di quanto lui ascoltasse quello che succedeva senza mai imporsi: questa è la sua grande forza, come quella di ogni musicista che vuole mettersi al servizio della musica e non del proprio ego. Cos’è l’Orchestra Operaia con la quale collabori già da un po’ di tempo? L'Orchestra Operaia, creata e diretta da Massimo Nunzi nel 2013, nasce ufficialmente nel gennaio 2014 e si chiama così perché l'italiano è una lingua ricchissima di sostantivi che possono essere usati in molti modi diversi e sorprendenti. L'Operaia celebra l'opera dell'uomo "faber" (homo faber ipsius fortunae significa letteralmente "l'uomo è l'artefice della propria sorte"), vista come lavoro creativo in comunione e coordinamento sincronizzato delle energie, degli scopi artistici e delle finalità economiche, senza inutili competizioni ma verso l'obbiettivo dell'eccellenza. Il modello dell'Operaia sono le api. L'Orchestra Operaia celebra il talento. Infatti, un musicista, dopo anni di studio, ha come "forza lavoro" solo il suo talento, sia esso strumentale o compositivo. Ed è quello che "vende" al mondo. L'Operaia è stata creata per valorizzare quella "forza-lavoro". È importante sottolineare come il nome dell’orchestra non voglia avere alcun tipo di connotazione politica. Nulla a che vedere con lotta operaia, classe operaia, sindacati e simili. Operaio è un sostantivo italiano, non solo una categoria politica e sociale. Nasce per reagire alla crisi e riesce se non a batterla, a sostenerla meglio. L'Operaia è un investimento umano ed economico che facciamo tutti con lo stesso scopo: fare ciò che amiamo. Massimo è il capo e gli operai lo sanno e lo sostengono. Si prende le responsabilità e fa delle scelte condivise. Sanno che si lavora per il bene comune con tutti i limiti umani che ognuno di noi ha. Gli Operai sanno che stanno lavorando per crearsi delle opportunità. Che altro si può fare altrimenti? Nessuno lo sta facendo per noi. Pagina facebook dell’Orchestra Operaia: www.facebook.com/OrchestraOperaia
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