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27/4/2018

Jefferson Airplane – Crown Of Creation

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di Carlo Cantisani
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​“La loro musica è come un cuscino surreale”. Jerry Garcia dei Grateful Dead definì con queste parole i Jefferson Airplane nella seconda metà degli anni ’60. Una definizione azzeccata, che divenne il nome del secondo album di Grace Slick e soci: era nato, nel febbraio 1967, Surrealistic Pillow, svolta artistica e commerciale per il sestetto americano e bandiera di un’intera generazione, quella hippie, basata su pacifismo, libertà sessuale e sull’uso di sostanze psicotrope. I Jefferson Airplane erano la quintessenza del rock psichedelico, genere che tramite il massiccio uso di effetti, lunghi brani strumentali e sonorità della tradizione orientale, rinnovava blues e folk sconvolgendo il vetusto rock ‘n’ roll. La loro musica seppe fare da colonna sonora a molti dei principali eventi che videro protagonista la nascente controcultura degli anni ’60 – fra tutti, lo Human Be-In e la Summer of Love dell’estate del ’67 – e due fra i brani di quel disco, Somebody to Love e White Rabbit, divennero inni all’amore libero, alla potenza dell’immaginazione e al pensiero libero da qualsiasi condizionamento. Il comunitarismo rappresentato dalla convivenza di tutti i membri presso quello che era la loro casa-ufficio e studio di registrazione, gli stretti legami con la comunità di Haight-Asbury (il distretto di San Francisco dove era nato il movimento hippie), la presenza di una sola donna – la cantante Grace Slick e, prima di lei, di Signe Toly Anderson -  in un gruppo a prevalenza maschile: tutti elementi in cui era facile intravedere i presupposti ideologici in voga negli anni ’60. Il festival di Monterey, due anni prima di Woodstock dove pure il sestetto si esibì, inaugurò la Summer of Love californiana, e proprio su quel palco i Jefferson Airplane consacrarono la loro musica a inno generazionale di fronte a migliaia di persone.


​Nonostante il sei ottobre 1967 la stessa comunità di Haight-Asbury celebrava la morte del movimento hippie, con tanto di funerale e di comunicato, di pari passo con l’impianto ideologico del sestetto andava crescendo e trasformandosi la sua musica: After Bathing at Baxter’s, del novembre 1967, nove mesi dopo Surrealistic Pillow, marcò il punto di non ritorno per i Jefferson Airplane. La copertina dell’album, concepita dal cartoonist Ron Cobb, sembra indicare già l’idea del gruppo che, sorvolando dall’alto la scena musicale, si allontana dal suo passato fatto di canzoni dal piglio pop e molto catchy, per dirigersi invece verso lidi a lui inesplorati, fatti di sperimentazioni zappiane (i JA ammiravano Frank Zappa), un suono più duro e compatto e una raffinata tecnica strumentale che permetteva di arricchire e modellare i suoni in maniera ancora più personale. È indicativo il fatto che, da questo disco in poi, i singoli del gruppo non replicarono i successi di quelli di Surrealistic Pillow, proprio per il loro essere poco radio friendly. Mesi dopo, l’uscita di Crown of Creation, nel settembre 1968, non fa altro che ribadire ancora di più queste intenzioni, e il quarto album può essere visto come la summa di tutto l’universo Jefferson Airplane, sia musicalmente che politicamente. Debitore, nella sostanza, di After Bathing at Baxter’s, nella forma i pezzi di Crown of Creation fanno intravedere tutta la maturità di una band sicura delle proprie capacità, che non si preoccupa di inseguire a tutti i costi ritornelli orecchiabili o le facili melodie dall’atmosfera bucolica e folk, ma che gioca piuttosto con la psichedelia in maniera estremamente personale. Qui gli hippie incontrano i freaks, il flower power sembra mostrare i “muscoli” come se volesse urlare tutto lo sconforto non solo verso l’ottusa mentalità dell’epoca ma anche verso sé stesso. I Jefferson Airplane sono consapevoli, in fondo, che il rischio di veder tramontare il sogno della loro generazione è possibile ma non sembrano ancora rassegnarsi; d’altronde, Slick, Kantner o Kaukonen non sono Jim Morrison, e le visioni della fine e del tramonto di un’epoca proprio di quest’ultimo non appartengono alla loro sensibilità. Anzi, da una parte il titolo potrebbe essere riferito alla giovane generazione del ’68, quel “coronamento della creazione” capace di non ricadere negli errori dei padri e di poter costituire, quindi, una nuova speranza per un mondo diverso; ma dall’altra, potrebbe essere un’ironica e cinica allusione allo stato in cui versa il mondo, solcato da guerre inutili e sanguinose (quella del Vietnam, ad esempio), da continue ingiustizie sociali e destinato quindi all’autodistruzione, come la copertina dominata dal fungo atomico – all’opposto della spensieratezza di quelle del secondo e terzo album – indicherebbe chiaramente. Il testo del pezzo che dà il titolo all’album si rifà, inoltre, al romanzo dello scrittore inglese John Wyndham, The Chrysalids, dove in un futuro post-atomico una comunità religiosa fondamentalista persegue tutti i mutanti e i “diversi”: gli ideali hippie di pacifismo e amore universale trovano qui una nuova via attraverso altre forme di ispirazione che torneranno, inoltre, in futuro, in particolare in Blows Against the Empire a nome Jefferson Starship. Triad e Lather sono due altri pezzi chiave del disco, dove il lirismo della musica fa risaltare ed eleva in maniera quasi cristallina le parole dei testi: la prima, scritta da David Crosby e rifiutata dal suo gruppo, i The Byrds, perché ritenuta troppo esplicita, fu subito difesa da Grace Slick e adottata a tal punto che la cantante ne capovolse i rapporti descritti nel pezzo, mettendo al centro la figura femminile come fulcro del triangolo amoroso con due uomini; la seconda, con leggerezza e attraverso giochi di parole, è una riflessione sul significato di diventare adulti in un mondo che invece esalta la giovinezza, rischiando così di perdere quell’originaria innocenza in nome degli standard sociali nei quali si è costretti una volta diventati trentenni. Per non parlare di The House at Pooneil Corners, uno dei pezzi più drammatici della band, un’ossessiva e cadenzata elegia funebre che getta inquietanti ombre su un mondo disilluso visto dagli occhi del gruppo. Crown of Creation, a volte poco tenuto in considerazione, è forse il parto più inquieto dei Jefferson Airplane, quello più maturo perché maggiormente consapevole di ciò che stava accadendo al volgere degli anni ’60. Con spirito anticipatore, guardava già al decennio successivo, dove la controcultura e il sogno hippie si persero definitivamente e il volo dei Jefferson Airplane si preparava ad abbandonare la Terra.
 
Jefferson Airplane – Crown of Creation (RCA Victor, 1968)
  1. Lather
  2. In Time
  3. Triad
  4. Star Track
  5. Share a Little Joke
  6. Chushingura
  7. If You Feel
  8. Crown of Creation
  9. Ice Cream Phoenix
  10. Greasy Heart
  11. The House at Pooneil Corners

​Immagine tratta da:
i.pinimg.com

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