di Enrico Esposito
Gli Yo Yo Mundi sono un pezzo di storia vivente della musica italiana. Il 2020 ha segnato il trentunesimo anno dalla fondazione di questa folk-rock band proveniente dalla terra di Luigi Tenco (Monferrato) che ha collaborato con tantissimi artisti nostrani e stranieri (Ivano Fossati, Giorgio Gaber, Lella Costa, Eugenio Finardi, Violent Femmes, Michael Brook, Hevia, solo per citarne alcuni). I primi a introdurre la fisarmonica e il basso acustico nel combat- folk italiano, “i selvatici” come li definì una volta Paolo Conte. Oggi il Termopolio ha il privilegio di intervistarli, rivolgendo domande e curiosità sull’uscita de “La rivoluzione dei battiti di ciglia”, il loro diciannovesimo pubblicato il 27 novembre scorso.
1) Buongiorno! Siamo davvero molto contenti di essere qui con voi oggi e poter conoscere meglio la genesi de “La rivoluzione del battito di ciglia”, il vostro ultimo disco dal titolo contemporaneamente accattivante e lieve. Come le due componenti riunite all’interno di quest’ossimoro: la rivoluzione da una parte con il suo corollario di azioni, motivazioni, obiettivi e il battito di ciglia dall’altra, un atto così naturale, ma sottovalutato. Qual è la rivoluzione del battito di ciglia per gli Yo Yo Mundi? E noi siamo assai contenti di raccontare qualcosa di noi e del nostro nuovo album! La parola “rivoluzione” è così piena di energia e di voglia di cambiamento mentre il battito di ciglia è un atto spontaneo e, in qualche modo, delicato. Due movimenti opposti, ma non contrapposti, bensì complementari perché entrambi in grado di generare, trasmettere e diffondere emozioni. Prevediamo, non solo tra le tracce di questo disco, una rivoluzione gentile che cambierà radicalmente il mondo, una rivoluzione nel segno del rispetto e della tutela dell’ambiente, delle differenti culture e dei diritti delle persone. Questa è sì, la nostra speranza, ma è anche la nostra “visione” del futuro prossimo venturo mescolata ai suoni, che da più parti definiscono nuovi rispetto alla nostra cifra stilistica, de “La rivoluzione del battito di ciglia”. 2) Ascoltando gli undici brani presenti nella tracklist mi sono ritrovato a respirare aria di campagna, seduto su di un prato a scandagliare le riflessioni che voi raccogliete l’una dopo l’altra. Dalle scelte contrapposte che gli uomini compiono lungo il solco della vita in “Fosbury”, all’immersione da capo e piedi nell’encomio al vino de “Il paradiso degli acini d’uva”, a “VCR”, urlo contro la violenza scaraventata sull’ecosistema naturale. Ci sono dei momenti precisi che hanno ispirato la scrittura dei brani? Sai la vita ti passa addosso, proprio come se stessimo camminando dentro il letto di un fiume, ma l’acqua di un fiume, così viva, così materna - dunque capace di procreare, di proteggere, di desiderare -, non si accontenta di bagnarti, o di girarti intorno, ti accarezza, poi ti bagna, poi ti inzuppa, poi ti leviga e infine ti entra dentro: dai pori, dagli occhi, dalla bocca, dall’ombelico. E così si arriva al punto in cui non c’è più differenza tra l’acqua e te, perché lei diventa te e viceversa. Ecco le canzoni sono così, tu ci cammini in mezzo, quando loro ancora non ci sono, quando sono storie, racconti, sensazioni, colori, attimi, battiti d’ali, il procedimento è lo stesso che ho descritto poc’anzi, ci scivoli in mezzo fino a quando loro non ti entrano dentro, diventano te e tu diventi loro. I momenti precisi della composizione di una canzone, sono in realtà il compendio di un’infinità di “imprecise cose felici”, prendendo in prestito un verso di una poesia di Pessoa.
3) La sensazione è un fulcro dell’album. Dall’apertura con “Ovunque si nasconda”, celebrazione della felicità attraverso figure e fonti autobiografiche (compaiono De André, Fenoglio, Pazienza) all’invito a catturare il potere della leggerezza ne “Il silenzio dell’universo”. Fino alla tensione data anche dall’incalzare dei suoni e dall’incontro scontro tra il sassofono di Maurizio Camardi e il violino di Chiara Giacobbe che ne “Il silenzio che si sente” riproducono le terribili conseguenze delle guerre. Sensazioni volatili e corrose, senza filtri e fronzoli. É ancora possibile al giorno d’oggi coltivarle e anzi trasmetterle alle generazioni future?
“L’eccesso di immagini sta distruggendo i nostri sogni” diceva Wenders presentando il suo film “Così lontano, così vicino”, prevedendo, già negli anni ‘80, quel che poi sta accadendo nella nostra epoca, dove la vista ha preso il sopravvento su tutti gli altri sensi. È un tempo, questo, dove tutti quanti patiamo continuamente un eccesso di immagini - sarà un caso che questa bestia che sta tormentando il mondo, quando ci assale oltre a toglierci il respiro, ci nega l’olfatto e il gusto? -. Spero che le generazioni future non si perdano per strada i sensi, che ne ristabiliscano l’equilibrio. Spero che trovino l’antidoto per rimettere ordine in questa confusione che destabilizza il nostro quotidiano, che, a gioco lungo, distrugge il pianeta. Forse, senza mai credere che sia una missione, la nostra utilità in quanto artisti è generare curiosità, stimolare l’interesse, portare gioia e muovere il pensiero, ma anche diventare un ponte tra le generazioni. E quel ponte non potrà che essere costruito mescolando a piacere le giuste misure di emozioni e di sogni, di lotta e di speranza, di resistenza e di poesia. 4) “Bacio sospeso” è un’istantanea meravigliosa che sembra descrivere di fatti il soggetto di una fotografia, se non il centro di un bozzetto pittorico. L’attimo sospeso di un incontro lentissimo come la voce del narratore e la musica dolce che tessono i fili di un racconto a metà strada tra sogno e ricordo. Com’è nata “Bacio sospeso”? È nata, per magia, guardando - solo per pochi secondi -, due adolescenti, seduti sui gradini del portone di casa mia. Erano l’uno dentro gli occhi dell’altra. Ho fatto piano per non disturbarli. E sono scivolato via. Ma nei minuti successivi non riuscivo a smettere di pensare a quel incanto. Dopo aver preso un caffè, ritornando verso casa, li ho rivisti: lui era in auto, sedili posteriori, targa straniera e bagagli stipati ovunque, anche sul tetto, finestrino giù, sguardo un po’ perso. Lei dall’altra parte della strada seduta sul motorino, sguardo fisso su di lui. L’auto è partita, non mi pare si siano salutati, lei l’ha guardata andare via, perdersi dietro una curva verso la periferia del paese. Io, una volta rientrato a casa, ripensando a quel “bacio sospeso” ho preso la chitarra e ho cantato la canzone. Se non è magia questa! 5)“Umbratile” sembra essere stata inserita in conclusione a “La rivoluzione del battito di ciglia” non per un caso fortuito. In un’atmosfera solitaria e illuminata dalle ombre disegnate dalle fiamme di una brace, i sensi (ancora una volta) catturano il godimento di tutto ciò che li circonda mentre la musica da distesa si fa travolgente, crescendo d’intensità e arricchendosi di strumenti secondo una cifra stilistica costante nell’album. Può essere considerato questo brano dunque una sorta di summa sia tematica che sonora del vostro ultimo lavoro? Umbratile sono due, dieci, cento, mille canzoni. È il racconto di una sola voce che diventa sarabanda. È la scintilla che si trasforma in fuoco d’artificio. È il filo che diviene prima ricamo poi intreccio e infine un giocoso caos di lenzuola colorate danzanti nel vento. Ci piace pensare, quando scegliamo l’ultima canzone di un disco, che quella canzone possa essere una porta - avete presente quelle girevoli di certi grandi alberghi? -, ecco chi ascolta l’ultima traccia del disco deve essere invogliato a riascoltarlo da capo, ma per noi, la traccia finale, è la porta spalancata sul nostro futuro .
6) Veniamo dunque alla molteplicità di strumenti e voci che come da consuetudine si diffonde all’interno delle vostre raccolte. Il flicorno di Giorgio Li Calzi e la sezione di cornamuse a cura di Simone Lombardo in “Fosbury”, Gianluca Magnani dei Flexus all’ocarina bassa ne “Il bacio sospeso”, le chitarre di Fabrizio Barale e di Gianluca Vaccarino ne “Il silenzio del respiro”, la fisarmonica di Fabio Martino e la ghironda di Simone Lombardo in VCR”, Alan Brunetta de Lastanzadigreta alla marimba in “Umbratile”, Maurizio Camardi al sassofono in differente tracce. E poi le voci: dai cori tribali de “Il silenzio del respiro” a quelli quasi gospel a cura di Andrea e Alice Cavalieri (padre e figlia) e Donatella Figus in “Lettera alla notte”, alla voce “ribelle” di Marino Severini in “VCR” e Daniela Tusa che in “Ninna nanna del filo” si sovrappone dolcemente a quella di Paolo Enrico. In quanto tempo gli Yo Yo Mundi sono riusciti a mettere insieme un’orchestra di dimensioni e varianti così gigantesche e in che modo l’hanno inserita all’interno dell’album?
Forse questo è il nostro disco con meno ospiti, sai? Da una parte il virus ci ha negato qualche partecipazione (un pezzo, in inglese, è saltato proprio per questo motivo, shhh che non si sappia in giro!) ma poi, in realtà, negli ultimi anni ci siamo trasformati in una sorta di collettivo e di conseguenza tra Yoyo più o meno ufficiali - Eugenio, Andrea, Chiara, Daniela e il sottoscritto -, quelli storici - Fabio e Fabrizio - e quelli ad honorem, strettissimi collaboratori come: Simone, Andrea Grand Drifter, Donatella, Alice e insieme a loro Dario Mecca Aleina (che, oltre a suonare, ha registrato, missato e coprodotto con me l’album) e Ivano A. Antonazzo (autore della copertina, che si occupa della grafica, delle fotografie e dei video), siamo già una bella banda. Et voilà il gioco è fatto e gli ospiti effettivi diventano solo sei! Per cui, nonostante tutto, è stato relativamente facile mettere insieme questa compagnia creativa, suonante e sognante. 7) “La rivoluzione del battito di ciglia” è un album realizzato grazie a una campagna di crowdfunding su Produzioni dal basso, dunque con l’apporto spassionato da parte dei fans. Anche per permettere ai sostenitori di ricevere le “ricompense” dovute, avete deciso di non pubblicare nei primi tre mesi dalla pubblicazione del lavoro alcun contenuto sulle piattaforme di streaming audio. Vorremmo salutarvi, ringraziandovi di cuore per essere stati qui con noi oggi, invitandovi a concentrare in due soli versi l’amore che gli Yo Yo Mundi nutrono nei confronti di tali ammiratori e più in generale del pubblico che da anni non smette di seguirli e oggi aspetta di rivederli al più presto sul palco. Felici e grati anche noi, ci rivediamo presto in giro, non si può sapere quando, ma è sicuro che accadrà. Noi Yoyo non vediamo l’ora di portare queste canzoni in concerto… Un grande abbraccio resistente e fraterno per voi de Il Termopolio e per tutti coloro che leggeranno queste nostra bella chiacchiera! Buona vita, Paolo Enrico Archetti Maestri per Yo Yo Mundi Ringraziamo l'Ufficio Stampa Big Time Web per le immagini e altro materiale stampa
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Aprile 2023
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