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15/7/2016

La solitudine benedetta di Damien Rice

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di Enrico Esposito
Ci sono dei musicisti che inseguono il successo per tutta la vita, ma finiscono spesso per vederlo soltanto in televisione nelle mani di altri. Ci sono quelli, cui il destino riserva gli scherzi più beffardi, che arrivano ad essere osannati e riempiti di gloria dopo essere passati a miglior vita. Poi ci sono quelli che suonano per passione e se il successo non arriva, va bene uguale, nessun dramma o rimpianto (almeno apertamente). E alla fine ci passano davanti gli artisti che il successo lo raggiungono subito, e in seguito lo raddoppiano, lo decuplicano, subendo il classico tracollo psicologico che rischia di gettarli in una realtà che non gli appartiene, che a loro non piace per niente, finendo per trasformarli in altre persone, se non per distruggerli. Il figlio d'Irlanda Damien Rice, dublinese purosangue, custode di una delle voci maschili più dense partorite dal Terzo Millennio rappresenta l'esempio lampante della crisi e rinascita di un artista colto dalla fama e dai miliardi in ben due occasioni a distanza nel tempo, e riuscito a sollevarsi dopo un particolare percorso.
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Damien Rice
Si celano sotto i nomi rispettivamente di "Juniper" e "Polygram" la sbornia impressionante e l'ostacolo insormontabile in cui si imbatte l'appena venticinquenne Rice, che si ritrova assieme ad allegri coetanei rockettari come lui (i Juniper appunto) a vendere e tanto con la hit "Weatherman", ed essere perciò scritturati da una costola tedesca della Universal Studios. La Polygram, che senza troppi fronzoli sbatte in faccia a Damien e soci l'intenzione di tramutare la band in un giocattolo commerciale da Top of the Pops. I suoi "compari" ingolositi dalle parcelle Universal accettano e decidono di farsi chiamare in seguito Bell X1. Rice che proviene da un'adolescenza segnata dall'imposizione dei genitori e del credo cattolico, rifiuta categoricamente di asservire e inizia una delle sue catartiche esperienze solitarie per ritemprare l'animo e ripulirsi dallo schifo dello show-biz.
Ricerca un isolamento vero e puro, vestendo i panni dell'eremita per otto mesi tra la fine del 1998 e il 1999 in uno dei tanti casolari abbandonati tra le campagne di Pontassieve, alle porte di Firenze. Qui vive da contadino, fa a meno del telefono e della luce, recupera lo stato di uomo, quasi pensa di rimanerci per sempre. Ma per fortuna il richiamo della Musa lo riporta a comprendere che abbandonare totalmente i progetti artistici avrebbe costituito un affronto illogico alle sue capacità vocali e chitarristiche e soprattutto alla sua sete personale di rivalsa contro il buonismo esasperato in cui era stato allevato. Come un antico Cincinnato e un moderno Gladiatore, chiude allora la salutare parentesi agreste per affrontare un autentico Grand Tour tra le nazioni europee, arricchirsi di esperienze e idee, tornare a Dublino e rivolgersi in maniera vincente al produttore di Bjork, David Arnold, che si ritira ad ascoltare una sua demo. Timpani e padiglioni di Arnold ringraziano, magari piagnucolano, ma di certo apprezzano la voce armonica e ondulata del ragazzo, che viene protetto e assecondato nel realizzare con un'etichetta piccola e uno studio di registrazione una pietra preziosa recante il titolo di "O".
"The Blower's Daughter" è uno di quei brani che a 15 anni dalla loro nascita si riconoscono e pugnalano dalle prime note, cristallizzata nella sua aura di fascino costruito grazie al colpo di genio di una vecchia volpe come Mike Nichols di lasciarla risuonare tra le pieghe del suo film "Closer". "O" destinato primariamente solo per la Gran Bretagna e l'Irlanda si espande in rapidità oltremanica e oltreoceano, investendo il David Letterman Show, il Conan O' Brien, il Saturday Night Live di elevatissime performance dal vivo di un folk-rock suonato da egregi musicisti (il batterista Tom Osander, la violoncellista Vyvienne Long) e cantato in simbiosi tra Damien Rice e Lisa Hannigan, cantante irlandese incontrata tra le strade di Dublino ed esplosa nell'animo di Rice nelle doppie vesti di ispiratrice e compagna. Rice progetta di concentrare in "O" i brani composti nell'intenzione di raccontare più che l'Amore di per sè, sfumature (autobiografiche) dolorose e velenose come la gelosia, la mancanza di rispetto, la perdita di fiducia. Ma non ci riesce ed è costretto a tenere da parte delle canzoni, tra cui "The Blower's Daughter Part II", ribattezzata "Elephant" all'interno di "9", il secondo album uscito nel 2006 che il cantautore si trova obbligato a realizzare per sfruttare la scia del successo di "O" sotto le pressioni discografiche. 
Da questo in momento in poi, seppur il disco ottiene ancora una volta una risposta entusiastica di paganti e non attraverso tormentoni quali "9 Crimes" e la già citata "Elephant", l'equilibrio di Damien Rice cominciò a sobbalzare pesantemente per essere inghiottito tra due fuochi. Da un lato lo show-business e le fatiche dei tour, dall'altra i battibecchi nati all'interno della band tra il leader e i musicisti, ed in special modo con Lisa Hannigan che durante un concerto a Berlino nell'autunno del 2006 viene clamorosamente allontanata e licenziata. Rice si rende protagonista nei suoi confronti del'apice di un nuovo momento della crisi da successo già avvertita ai tempi dei Juniper, che di lì a poco lo porta a dare il benservito all'intero gruppo e comprendere di aver varcato una pericolosa soglia di riconoscimento di sè stesso. 
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Damien Rice e Lisa Hannigan
Una nuova tempesta dopo la quiete. O forse sarebbe corretto affermare il contrario. In un'intervista rivelatrice all'Indipendent irlandese, Damien nel Dicembre del 2014 racconta di essere stato lui il principale responsabile dell'implosione del suo progetto, dell'allontanamento di Lisa. Egli ha commesso l'errore di aver accumulato dentro di sè l'amarezza per una serie di cose che non funzionavano più, e di aver smarrito non soltanto il gusto di scrivere e suonare ma anche la forza di presentarsi agli altri nel suo reale stato di uomo. Dopo la prima "fuga" del 1998, questa volta lo sconvolgimento subito assume dimensioni molto più ampie e ferite maggiormente profonde. Dai palchi Rice sparisce integralmente, eccezion fatta per un'apparizione molto discutibile durante un'asta di beneficenza a Los Angeles, che con un portamento trasandato, barba e capelli lunghissimi all'interno di un ambiente Vip insolito per lui fotografa senza scrupoli il caos in cui è risucchiato.
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Sono stati necessari otto anni, durante i quali l'artista ha dovuto resettarsi con un trattamento laborioso e di gran lunga radicale rispetto al precedente per poter riprendere in mano le redini della sua attività e tentare di avviare una "Terza Rivoluzione", che con il suo terzo Lp "My favourite faded fantasy" dello scorso anno ha gettato incoraggianti basi. Il completo isolamento dell'Islanda e la stima di un eccellente produttore tale Rick Rubin hanno permesso a Damien Rice di recuperare prima di tutto la passione dell'esibizione dal vivo con la differenza sostanziale di focalizzare l'attenzione intorno alla sua voce e chitarra, segnando così uno stacco di carattere dalla collettività della band scelta in passato. E' pur vero che il falsetto iniziale che apre la title track omonima e con essa l'album manifesta un pensiero nostalgico a Lisa Hannigan in tinte ancora vivide. Ma la personalità tramite la quale Rice si avventura nella narrazione del suo primo vero disco da cantautore, i rischi che corre alternando parlato e cantato e sfornando composizioni giunte fino agli 8-9 minuti mettono in mostra il rinnovato senso di creatività e soprattutto combattività da parte di un uomo consapevole di essere nato al servizio delle Muse.
Immagini tratte da:

Immagine 1 da www.indie-rock.it
Immagine 2 da www.youtube.com

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