Alla scoperta di Highway 61 Revisited, l’album che ha “fatto uomo” Dylan.
di Pierfrancesco Campagnolo
Highway 61 Revisited viene rilasciato nell’agosto del 1965, in un periodo in cui le voci di protesta che si andavano levando in America avevano trovato finalmente il loro cantore. Il 1965 fu l’anno della svolta: vengono lanciati Satisfaction dei Rolling Stones, My Generation dei The Who, l’album Help! dei Beatles mentre la guerra in Vietnam era nel pieno del suo svolgimento e in America il Free Speech Movement chiedeva a gran voce un cambiamento. Questo album, considerato il cuore della “trilogia elettrica” (insieme a Bringing It All Back Home e Blonde on Blonde), rappresenta nella carriera di Dylan il punto di snodo. Nel 1964, a New York, il “bardo di Duluth” incontra i Beatles. Lo scambio di idee e consigli è più che proficuo: i neo baronetti vengono spinti dal cantautore a scrivere testi più personali, mentre Dylan entra in contatto personalmente con un modo di fare musica lontano dalle sue child ballads.
La genesi di quest’album è molto più complessa di quello che all’apparenza può sembrare. Nel 1961 John Hammond, già scopritore di Billie Holiday, propone a Dylan il suo primo contratto con la Columbia Records, e consegna allo stesso un disco non ancora sul mercato: King of the Delta Blues di Robert Johnson. Per ammissione dello stesso Dylan, quest’album influenzò in maniera tutt’altro che superficiale la stesura del suo capolavoro, insieme alle suggestioni suscitate dai testi di Brecht e di Weill, dalla poesia della beat generation (Allen Ginsberg in primis), dalla musica degli chansonnier e da quello spirito blues squisitamente americano. Dylan era conosciuto per il suo folk impegnato che riuscì a divenire, attraverso i suoi testi (come Blowin’ in the wind, The Times They are a-Changin’ e With God on Our Side), simbolo delle proteste che avrebbero percorso il mondo fino ai moti sessantottini.
Highway 61 Revisited sovverte gli schemi, rivoluziona il modo di fare musica, ma allo stesso tempo ci riporta l’atmosfera, culturale e geografica, di un’America che, nonostante tutte le sue contraddizioni sociali, voleva rinnovarsi. I testi sono di una potenza simbolica e descrittiva mai vista: Desolation Row, Just Like Tom Thumb’s Blues, Tomstone blues, Ballad Of a Thin Man sono ricordati come alcuni dei brani più rappresentativi dell’artista, in cui si mescolano riferimenti letterari (Kerouac, Poe, Rimbaud, Galilei) e suggestioni surreali tipiche del modo di scrivere del Dylan criptico e psichedelico di metà anni Sessanta.
Ma i due brani che fanno di questo album motore del cambiamento musicale, sia personale (nello stile e nei riferimenti) che collettivo, sono Like a Rolling Stones e Highway 61 Revisited. Il singolo, omonimo dell’album, ci catapulta all’interno delle sue 5 strofe in un trip psichedelico-biblico in cui Dylan narra 5 differenti storie in cui i protagonisti cercano di venire a capo di un problema che puntualmente risolvono sulla Highway 61. Oltre ad essere innovativo nello stile e nell’uso di particolari accorgimenti musicali (ad esempio il fischietto suonato da Dylan fra una strofa e l’altra per creare suspense intorno alla conclusione della storia), questo brano spinge l’ascoltatore a mettere lo zaino in spalla e a partire alla volta della famigerata autostrada, teatro di numerose avventure (la Highway 61 era la via che dal sud gli schiavi afro percorrevano fino al nord, ma era anche la strada su cui morì Bessie Smith “la regina del blues”, la strada che passava per Lauderdale Courts, Memphis, città natale di Elvis).
Ma il brano che rese celebre quest’album che infranse tutte le regole che la musica popular aveva fino ad allora difeso, fu sicuramente Like a Rolling Stone. Non soltanto è il pezzo più simbolico del cantautore premio Nobel, ma rappresenta una rottura definitiva nella vita artistica dello stesso. Con questo Dylan cessa definitivamente di essere il profeta vate della rivoluzione di costume, un atto anti-rivoluzionario gravido di cambiamento. Mutamento nella durata (dai canonici tre minuti si passa ai suoi 6’13’’), mutamento nell’arrangiamento (non più chitarra folk e voce, ma organo, batteria ed elettrica), mutamento nel messaggio (non più inno di protesta e/o denuncia ma metaforica invettiva contro chi lo aveva etichettato come cantore della protesta). Riascoltare e rileggere Highway 61 Revisited in questo periodo di stasi e clausura, non può far altro che spingerci in avanti, accendendo in noi il motore della rinascita, in una costante ricerca di quello stesso miglioramento che aveva spinto Dylan nelle acque sconosciute dell’elettrica. Non ci resta che inforcare le cuffie e farci travolgere da questo capolavoro, come da “pietre che rotolano”.
Immagini tratte da:
Foto Bob Dylan, https://www.cpm.it/public/news/bob-dylan-cpm-giornalismo-milano-music-1550601196183316-cpm-news-682.jpg Front album The Times They are a-Changin’, https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/81MBKs-M7gL._SL1500_.jpg) Front album Highway 61 Revisited, https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/81hJMjWLx0L._AC_SL1500_.jpg
Fonti:
F.Fabbri, Around the colck. Breve storia della popular music, Utet, Torino 2008; F.Bergoglio, I giorni della musica e delle rose. Rock, pop, jazz, soul, blues nel vortice del ’68, Stampa Alternativa, Roma 2018.
1 Commento
Blu
25/4/2020 02:24:10
Bellissimo articolo!
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Aprile 2023
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