di Enrico Esposito Non è mai facile fare i conti con il proprio passato. Ancora di più ritrovare se stessi in una forma diversa, altra rispetto al presente. Soprattutto se poi si decide di condividere quest’esperienza insieme ad altre persone. Pubblicamente. Luci, Luciana Patullo all’anagrafe, ha deciso di rompere gli indugi, ricorrendo alle formidabili risorse di cui l’arte si giova, per tratteggiare un ritratto a tinte molteplici che appartiene alla sua storia. E potenzialmente diventa parte dei pensieri di chiunque. Nasce così “Luci”, l’album omonimo, di debutto della cantautrice molisana, la cantarpista come è stata definita perché usa accompagnare alla sua voce delicata la particolarità dell’arpa, oltre al pianoforte, fedele scudiero da tempo. Della carriera di Luciana Patullo da Bojano sviluppatasi tra Roma, Vienna e il ritorno nella sua terra patria, vi abbiamo già detto a lungo qui e nel corso della bella intervista in diretta con tanto di performance che la nostra ci regalò nel giugno scorso. Oggi siamo qui a tessere i fili di un’opera prima importante nella sostanza delle numerose osservazioni che la compongono, e nella forma di un menù sonoro dai sapori mutevoli. Come già detto, la scelta del titolo del disco esprime un significato chiave: Luci corona il desiderio di portare alla luce del sole sia le ombre che le ansie annidate nella mente come i voli pindarici e le gioie strabordanti. Un intrecciarsi di significati, resi dalla contemporanea presenza della dolcezza dei fiori e la durezza delle ossa dipinte in copertina dall'artista Michela Di Lanzo al di sopra dell'universo di Luci. Io ho avuto il piacere di aver ascoltato la sua spiegazione avvincente della nascita dei dieci brani (prodotti da Aurelio Rizzuti, che si è occupato delle componenti elettroniche, con Stefano Di Matteo alla chitarra), composti in periodi lontani, non compatti della sua esistenza, ma per questa ragione dotati di una sincerità evidente. La prima Luci viaggiava con “la valigia piena di ansie”, timida, ermetica come i testi delle sue canzoni. “Dal principio”, “La semplice volontà” e “Anemone” portano in dote periodi segnati da uno sguardo alla vita che si riflette nell’approccio artistico. Anche dalla prospettiva sonora aleggia un’aria volutamente misteriosa, cupa, quasi come si cercasse di tenere gli ascoltatori all’oscuro della completa verità. Le canzoni assomigliano più a gallerie di immagini, bozzetti che seguono l’uno all’altro su un filo sospeso tra acustica ed elettronica, alludendo però ad alcuni cambi di direzione ben delineati: rinunciare un po’ agli altri a favore della riscoperta della propria persona, spiccare un volo sognato e reale verso la musica. Quando Luci, ad un concerto, sente una signora meravigliarsi che alla solarità del suo carattere vadano a corrispondere canzoni così distanti, viene investita da una ventata di cambiamento: abbatte I limiti personali per liberare nuovi tratti della sua poetica, e investire la sua musica di preziose varianti. L'arpa e il pianoforte si dispiegano in cieli tersi, disegnando paesaggi illuminati che accolgono storie di perseveranza e felicità bevute fino in fondo nonostante le amarezze della vita. "Johanna" apre le danze con un inizio raggiante che sembra essere eseguito in presa diretta da una Luci calata in un locus amoenus: è una dedica accorata alla grandezza della figura di Johanna Bonger, la moglie di Theo Van Gogh, nonché colei che pubblicò il celebre carteggio tra suo marito e il fratello Vincent, e fu la vera artefice del successo immortale di quest'ultimo. "La casa in riva al mare", unica cover dell'album, è un nuovo omaggio questa volta al genio di Lucio Dalla, ispirata dalla precedente rivisitazione firmata da Erica Mou, dalla quale si distacca per costruire un alternanza sonora incisiva tra le strofe e il ritornello. Da una parte la purezza degli strumenti classici che esprimono l'anima innocente dei pensieri dell'uomo protagonista, dall'altra l'impulso psichedelico indice dell'illusione di certe speranze. E infine una conclusione affidata al silenzio, allo scorrere delle onde come rondini in volo. "Il bolero delle mante" riprende la fusione di melodie e strumenti per offrire un fuori-programma dalla noia della chiarezza, della mancanza di dubbi e se vogliamo dalla piattezza della quotidianità, per partire alla volta di un viaggio all'insegna dell'immaginazione, prendendo esempio dal comportamento dei bambini, "i veri artisti del presente" come li definisce Luci. "Cinque metri di neve", singolo pubblicato meno di un mese fa per anticipare l'uscita del disco, nasce anch'esso negli ultimi tempi di lockdown sulla spontaneità di un'esperienza personale, testimone di un confronto avvenuto dopo rimandi continui. E infine gli ultimi brani di chiusura, altre due scoperte. "Che ore sono?" ancora una volta si fonda su immagini appositamente scelte per il loro simbolismo: segni dalla forte matrice come il tema affrontato della spavalderia comune tra gli uomini e le donne al giorno di oggi nel giudicare il prossimo ed attaccarlo. Trasformandosi da vittime a carnefici, si assiste a un processo infinito quanto stantio, nel quale occorrerebbe armarsi non per difendersi dalle accuse altrui, ma per sospendere le proprie. "Pezzi" riassume in conclusione il concept intero dell'album: la lettera che si compone gradualmente rappresenta un monologo tra Luci e la sua immagine riflessa, con i nuovi giorni, le nuove poesie, il distacco fisico dai tempi anteriori "correndo in avanti".
Immagini gentilmente fornite dall'ufficio stampa Metatron
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Aprile 2023
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