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30/3/2017

Motta alla fine dei vent’anni

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​di Alice Marrani
Francesco Motta ormai di anni ne ha trenta, compiuti a ottobre. A un anno dall’uscita di La fine dei vent’anni, primo disco da solista, il suo tour si concluderà questo ultimo fine settimana passando stasera dal palco del Deposito Pontecorvo (Pisa, sua città di origine), per arrivare il primo aprile all’Alcatraz di Milano.
Pisano cresciuto a Livorno, ha lasciato la Toscana cinque anni fa e da allora vive nella Capitale. L’opera prima non è realmente la prima ma segue una grande quantità di collaborazioni e di lavori personali che lo vedono attivo musicalmente già da dieci anni. I primi lavori risalgono all’inizio dei suoi vent’anni: due album usciti sotto il nome della band Criminal Jokers del quale è stato uno dei fondatori, il primo di questi, This Was Supposed To Be The Future, pubblicato nel 2010, è stato prodotto da Appino, leader degli Zen Circus.
Polistrumentista estremamente versatile, ha collaborato suonando chitarra, basso, tastiere e batteria con Nada, Pan del Diavolo, Zen Circus, Giovanni Truppi.
Il trasferimento a Roma lo ha portato in un percorso di studi di Composizione per film presso il Centro Sperimentale di Cinematografia dal quale sono derivate colonne sonore per film e documentari.

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Arrivato vicino ai trenta vede la pubblicazione del suo primo album da solista, un racconto della fine del percorso di crescita e dell’avvicinamento a quella che è una tappa simbolica della vita di ognuno, il passaggio all’età adulta con tutto ciò che questo comporta.
Nell’epoca nella quale si dice che i trent’anni siano i nuovi venti, Motta racconta una presa di coscienza della maturità personale, la fine di un periodo post-adolescenziale che si tramuta in maturità necessaria. ”La fine dei vent'anni è un po' come essere in ritardo, non devi sbagliare strada, non farti del male e trovare parcheggio”, così dice nella title track dell’album.
Un disco, frutto di un lavoro solitario di scrittura e registrazione durato circa quattro anni a stretto contatto con il produttore Riccardo Sinigallia, che segna un passaggio artistico oltre che quello biografico. Non è un disco d’esordio ma un punto di svolta in un percorso di maturazione. La selezione attenta dei materiali, la voce a tratti aspra, la scelta attenta delle dinamiche e delle parole in base al loro peso, dei suoni, dei tocchi elettronici, delle influenze etniche, ai ritmi ossessivi tribali, hanno creato dieci inediti che prendono il meglio del passato di Motta e lo mescolano ad un cantautorato pop che entra dentro a temi personali e quotidiani con estrema chiarezza e consapevolezza. Dall’importanza della famiglia di Mio padre era un comunista, alla dedica alla città che lo ha adottato di Roma stasera, a Sei bella davvero e Del tempo che passa la felicità, si racconta in modo sincero, introspettivo e allo stesso tempo, come ha dichiarato in tante interviste, in un certo senso, politico.


​Nel disco, oltre a Motta alla batteria, basso, voce e tastiere, si trovano elementi di Pan del Diavolo (Alessandro Alosi), Bud Spencer Blues Explosion (Cesare Petulicchio), Giorgio Canali, Andrea Ruggiero, Laura Arzilli e tanti altri.
Nel 2016, dall’uscita dell’album per Woodworm il 18 marzo, ha ritirato una Targa Tenco per la miglior Opera Prima, il MEI gli ha assegnato il premio PIMI Speciale 2016 per l’artista indipendente più rilevante per l’attività svolta fra il 2015 e il 2016 e ha girato l’Italia in un tour che lo ha fatto apprezzare dal vivo quanto dal disco, unendo il successo del pubblico agli apprezzamenti della critica.
Immagine tratte da:
- https://www.facebook.com/francescomottaufficiale/

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