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Il passo dell’Australia delle tribù aborigene ai quartieri industriali di una qualche megalopoli può essere breve, soprattutto se a farci traghettare da uno scenario all’altro sono gli Appaloosa con la loro capsula spazio-temporale dal nome “BaB”. Bastano pochi elementi per costruire la musica del gruppo livornese, a cominciare innanzitutto dai musicisti coinvolti, i fondatori Marco Zaninello e Niccolò Mazzantini (coadiuvati dal vivo da altri strumentisti), che come il precedente “Trance44” compongono, arrangiano, manipolano e spappolano in solitaria il sound delle undici tracce inedite.
Il cuore della musica degli Appaloosa pulsa al ritmo di due bassi elettrici, una batteria e synths, pompando sangue digitale fatto di drum machine e samples vari per alimentare un corpo che, sin dall’esordio all’Arezzo Wave del 2002 e poi nel corso di una nutrita discografia, non è mai riuscito a stare fermo, ma era costretto quasi da una forza magica a dimenarsi come un tarantolato. Il ritmo e le basse frequenze sono quindi i motori principali di tutto, e naturalmente anche questo nuovo disco non fa eccezione, solo che qui cambiano atmosfere e mood generale: se “Trance44” era incentrato per l’appunto sul concetto di trance, infarcito di sonorità orientali e maggiormente psichedeliche, “BaB” decide di discostarsi almeno in parte da questo mondo per (ri)congiungersi ad un altro, meno esotico e più industriale, mantenendo comunque aperti, in più di un’occasione, i confini fra i due. In quest’ottica, l’ultima opera del duo livornese può risultare un interessante passo in avanti nella definizione dello stile degli Appaloosa, una prima tappa che potrebbe condurre in futuro ad una più completa sintesi di questo binomio trance/industriale che almeno per ora, se pur ottimamente, rimane abbozzata. ![]()
Basta premere play a partire dall’iniziale Supermatteron per percepire che qualcosa è cambiato: l’anima di “BaB” è un po’ tutta qui, incastrata fra le lamiere di una batteria in metallo con la cassa dritta a scandire una ritmica techno e vessata dalle frustate veloci del basso distorto che fa venire in mente quello di Massimo Pupillo nelle ultime produzioni degli Zu (principalmente in “Carboniferous”). Il nome del trio romano non spunta fuori per caso perché fra le varie influenze gli Appaloosa ci inseriscono certe spigolature proprie del math: niente di così esagerato e cerebrale visto che l’obiettivo è sempre quello di far muovere i corpi più che i cervelli, ma quanto basta per variare gli arrangiamenti e rendere i confini fra i generi musicali più sfumati del solito; a dimostrazione di ciò basti dare un ascolto a Mulligan, il brano più sfrenato del disco.
In tutto qusto, i colori intensi e psichedelici dell’Oriente tornano a risplendere di tanto in tanto: se ne ha una prima avvisaglia in Halle 9000, dove un irresistibile e minimale giro di basso fa da struttura portante agli innesti dei synth che danno un tocco trance, dilatato e profondo al pezzo; si ritrovano poi nella bellissima Bab e Dany, con dei suoni aperti che sembrano emanare una luce accecante, da sole del deserto; e si possono riscontrare anche in Ketama Gold, dove il contrasto fra il suono grosso e grasso del beat e i giri dei synth creano un’atmosfera acida e pesante un po’ seventies. Ma sono solo parentesi, squarci brevi e profondi in una notte rischiarata dalla luce al neon: Longimanvs e Creepy potrebbero fare da colonna sonora per qualche horror metropolitano, o l’ossessività di Krypton 85 echeggia gli abissi di Kode9 e The Bug. Alla fine del tunnel ad attendere però c’è una sorpresa, ovvero un brano che si discosta da quel binomio secco accennato qualche riga più sopra: Imboschi, che squarcia per l’ultima volta la notte industriale non tanto per riportarci sotto il sole orientale bensì in un’atmosfera molto più soffusa, da dance floor IDM; un ultimo dolce trip prima di premere nuovamente play e ricominciare da capo. “BaB” infatti è un album che si infila sotto pelle per non mollarti più sino all’ascolto successivo: è talmente tanto trascinante che ci si ritrova alla fine senza neanche accorgersene. Riuscendo ad unire un’equilibrata elaborazione sonora e degli arrangiamenti con la semplicità d’approccio, gli Appaloosa sono riusciti a dare vita ad undici piccoli quadri sonori indipendenti l’uno dall’altro e nello stesso tempo intimamente connessi come fossero un unico pezzo. Più i minuti passano e più sembrerà di aver già ascoltato da qualche altra parte questa stessa musica innumerevoli volte, senza riuscire però ad individuare precisamente qualche artista o album di riferimento. Degli Einstürzende Neubauten con i caschi dei Daft Punk? I Battles rallentati e in bad trip con i Chemical Brothers? Può essere. Oppure no.
Appaloosa – BaB (Black Candy Records, 2016)
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Marzo 2023
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