Tornano, ormai a scadenza apparentemente fissa di quattro anni fra un disco e l’altro, i re incontrastati dell’electro pop, i Depeche Mode, che tagliano il traguardo del quattordicesimo album con Spirit, uno sguardo disincantato e sofferto sul caos del presente.
![]()
We're going backwards/Ignoring the realities/Going backwards/Are you counting all the casualties?
Un mondo attraversato da opposizioni che gli uomini creano fra loro in nome degli estremismi, muri eretti per contrastare coloro che vengono etichettati come “diversi”, una tecnologia ormai invadente che rischia di sfuggire a qualsiasi forma di controllo, il tutto servito con una forte dose di egocentrismo, narcisismo e supponenza che ci fa perdere il senso della “realtà”. Realtà umana fatta di relazioni, di costruzione continua del futuro, di comunicazione, ma che si risolve invece in puro nulla. Sembra questa l’interpretazione scelta da Dave Gahan per inquadrare dal suo punto di vista il mondo contemporaneo. Che abbia ragione oppure no, la voce dei Depeche Mode è sempre riuscita a dare forma alle più profonde inquietudini dell’anima, con un piglio drammatico e sottilmente decadente, e probabilmente non potrebbe fare oggi altrimenti. Come dichiarato dal gruppo in sede dell’unica intervista concessa a Rolling Stones USA, l’ultimo album in studio del trio britannico, Spirit, è “un disco sull’umanità, sul nostro posto nel mondo. Se vogliamo che le cose cambino, dobbiamo occuparci di cosa succede. Ma sembra che stiamo andando in un’altra direzione”. Going backwards, quindi, come recita il testo riportato all’inizio nonché il titolo del brano di apertura di questo nuovo disco. La riflessione sul presente si fa amara, tendente a sottolineare il lento ma inesorabile processo di disumanizzazione in atto: di conseguenza, la musica contenuta in Spirit non può far altro che accompagnare questa idea generale, ponendosi come il logico riflesso dei sentimenti e della percezione dei musicisti. Gahan chiama e declama, Martin Gore e Andrew Fletcher rispondono, e in maniera altrettanto potente: le note di pianoforte scandite sin dall’apertura dell’album fanno già intendere di che colore sarà l’anima dell’intero disco, divisa fra il grigio dominante, tocchi di oscurità ma soltanto appena sfiorata, e rari lampi di rosso per accendere una rabbia latente e nascosta. Il precedente Delta Machine aveva un piglio più acido, teso e maggiormente elettrico nel suo mood generalmente industrial; Spirit sembra volersi scrollare di dosso questa enorme matassa metallica puntando invece alla fisicità e alla visceralità che l’urgenza della visione dei Depeche Mode porta adesso con sé. Un’urgenza che, in ogni caso, predilige una maggiore distensione dei suoni, magari rendendoli un po’ più pesanti e carichi, come nel singolo Where’s the Revolution, il brano che esplicita sin dal titolo il piglio politico del disco, in Poorman e Going Backwards. L’animo decadente che da sempre accompagna il gruppo ha spazio in pezzi come in The Worst Crime, dove l’intimità della voce di Gahan si accompagna alla chitarra pulita, nell’incedere quasi soul di Poisoned Heart e nelle pulsazioni elettroniche di Cover me, caratterizzata da una coda strumentale che riesce a squarciare per un attimo il grigio fumo, ponendosi così come uno dei brani più affascinanti del disco. C’è spazio anche per un piccolo e fugace salto nel passato grazie a So Much Love che, con il suo piglio new wave percussivo e diretto, sembra uscita direttamente dai vecchi album degli anni ’80 del gruppo, con in più una dichiarazione altamente personale e soggettiva che la rende meno innocente: You can despise me/Demonize meIit satisfies me so! /There is so much love in me. È forse grazie a questo accenno a una catarsi individuale che Spirit assume un’altra dimensione, se pur comunque minima e non certo preponderante, che permette di dare sfogo lo stesso alla propria frustrazione attraverso pezzi più velenosi come Scrum o con un andamento oscuro e allo stesso tempo sensuale, come in You move. Giunti alla fine dell’album, non si può che rimanere soddisfatti del lavoro della band: si potrebbe tranquillamente dire che Spirit è l’ennesimo ottimo album dei Depeche Mode, che non aggiunge niente e non toglie nulla a una discografia che ha alle spalle trent’anni di vita. Se pur perfettamente inquadrati in uno stile che è esclusivamente loro, i Depeche Mode riescono, invidiabilmente, a non risultare mai stancanti e ripetitivi, evitando di svuotare la loro scrittura, la quale invece si è mantenuta viva e fresca nel corso dei decenni, grazie a una personalità molto marcata e a una formula che pone in perfetto equilibrio la voce sensuale e drammatica di David Gahan con le architetture sonore minuziosamente curate (anche negli episodi più “sporchi) di Gore e Fletcher. L’urgenza di Spirit è palpabile, la sua musica molto solida: i Depeche Mode non hanno ancora smesso di dire ciò che volevano da sempre affermare, e ciò non è affatto poco. Depeche Mode – Spirit (Columbia, 2017)
Immagine tratte da: pitchfork.com
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Aprile 2023
|