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È il momento disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. – Italo Calvino, “Le città invisibili”.
Nel paesaggio descritto da Calvino sembrano muoversi sinuose le note dell’ultimo lavoro di Melanie De Biasio, dal nome “Blackened Cities”. Il suo cognome non fa mistero delle sue origini meticcie: di madre belga e padre italiano, sorella di Catherine De Biasio, musicista anch’essa, Melanie nasce e cresce a Charleroi, cittadina ad ovest del Belgio, dove muove i suoi primi passi nell’ambiente musicale locale, principalmente jazzistico e classico, accompagnata dal flauto traverso sin dalla tenera età di otto anni, facendosi le ossa sui palchi e imparando soprattutto ad ascoltare i vari stimoli che la scena del suo paese poteva offrire. Un diploma in canto rilasciato dal conservatorio di Bruxelles in tasca, la De Biasio pubblica il suo primo album nel 2007, “A Stomach is Burning”, dimostrando, soprattutto in patria, tutto il proprio talento; talento che verrà riconfermato ben cinque anni dopo (per il mercato belga, sei per quello del resto del mondo) con “No Deal”: a dispetto del titolo, l’accordo c’è sia a livello musicale, un incontro fra il suo background jazzistico e le atmosfere di acts internazionali quali Portishead e Nick Cave, e sia con il proprio paese, il Belgio, che la elogia e la coccola come giovane portabandiera del jazz belga nel resto del mondo. È con questo grosso peso (o responsabilità, fate voi) che la De Biasio si ripresenta sulla scena internazionale, intenzionata ad allargare ancora di più i confini della propria musica senza però recidere completamente il cordone ombelicale con il proprio Paese. Le città annerite ed oscure del titolo vengono riassunte infatti in un’unica immagine, quella della natia Charleroi, ed è proprio da qui che Melanie vuole ripartire per allargare il suo sguardo su un’Europa ed un mondo che oggi più che mai sembrano aver perso qualsiasi prospettiva futura, schiacciati da un benessere puramente materiale e dai contorni disumani. Per essere un album di estrazione jazz, la copertina stride parecchio con l’idea comune che si ha di certe sonorità, ma uno dei motivi d’interesse che possono spingere ad ascoltare “Blackened Cities” è proprio questo: dietro ai suoni eleganti ed acustici e nella voce calda e sensuale della Di Biasio si nascondono tutto il rancore e il dolore nel vedere la propria città trasformata in un eterno cantiere industriale e in una discarica dei sogni infranti per le manie di grandezza coltivate dalla connazionale Bruxelles, “sorella maggiore” di Charleroi e nella quale quest’ultima vorrebbe rispecchiarsi, con risultati altrettanto disastrosi per il benessere dei cittadini.
movimento le sue caratteristiche peculiari. Melanie De Biasio ci prende con sé e, telecamera alla mano, inizia a riprendere un ipotetico film a metà fra il surreale e il realista, imprimendo sulla pellicola ogni angolo, strada e persona che pullulano come ombre l’ambiente industriale delle città invisibili. Il discorso intrapreso con “No Deal”, finalizzato ad un ampliamento del suono che cercasse di andare oltre la scrittura jazz, qui viene portato finalmente a compimento: in “Blackened Cities” il jazz è inteso solo come un mezzo fra i tanti possibili, ma che alla fine si rivela essere il più adatto, per essere usato come impalcatura sulla quale costruire il proprio edificio. La tiepida luce del sole illumina timidamente questo edificio in continua trasformazione: le fondamenta vengono gettate dalle nebbie dei synths e dai leggeri tocchi del piano, incalzati dalle pulsazioni minimali ma profonde della sezione ritmica man mano che passano i minuti. La meravigliosa voce della Di Biasio, all’epoca del suo esordio denotata con l’inutile etichetta di “Billie Holiday belga”, plana delicatamente sullo scheletro del solido edificio musicale, senza mai imporsi sugli altri strumenti, con vocalizzi che sembrano provenire da lontano, alternandosi agli inserti di flauto traverso che danno un tocco kraut/psichedelico anni ’70 e ampliando così il senso di abbandono e di rarefazione che la città invisibile trasmette inconsciamente. Arrivati a metà pezzo, Blackened Cities ha ormai rapito l’ascoltatore, che si ritrova completamente fra le braccia della musica senza neanche sapere come sia potuto succedere. Come le onde del mare, il pezzo prosegue deciso per la sua strada, senza una pausa o un solo che ne spezzi l’andamento, delicato, ipnotico, ciclico. Il taglio “da jam session”, a cavallo fra improvvisazione e scrittura, si percepisce completamente e denota una grande coesione dei musicisti, capaci di costruire un’impalcatura solida ma mai chiusa su sé stessa. Gli ultimi minuti conclusivi sfumano ancora con la voce sensuale e calda della De Biasio: arrivati alla fine sarà come essersi risvegliati da un sonno profondo. Immaginifico, cinematico, capace di dilatare spazio e tempo, l’ultima opera della musicista belga riesce a scrollarsi di dosso i rimasugli di facili etichette quali quelle di “cantautrice jazz” o “jazzista” vera e propria. “Blackened Cities” col jazz ci gioca, prendendo ispirazione in primis dallo stile nordeuropeo, rimandando poi con la mente a gruppi come i The Cinematic Orchestra e strizzando infine un timido occhiolino a quel filone (musicalmente non ben definito) chiamato genericamente “doom jazz", "dark jazz" o "funeral jazz”.
Ciò che rimane è l’indiscutibile classe della De Biasio e dei suoi compari nell’esser capaci di scrivere una piccola colonna sonora per le nostre città ormai ridotte a foto sbiadite di sé stesse. Melanie De Biasio – Blackened Cities (Play It Again Sam, 2016) Tracklist:
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Marzo 2023
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