di Carlo Cantisani
Colle Der Fomento – Adversus
Undici anni dopo Anima e ghiaccio, un’attesa che sembrava interminabile ma che è stata ampiamente ripagata. Il rap in salsa funk romano dei Colle Der Fomento sono ritornati nel nuovo Adversus, un disco che nei suoni, nella produzione e nei versi riesce ad evitare l’effetto nostalgia e a rimanere invece ben piantato nel presente, sia sociale che artistico-musicale, degli ultimi anni. Forse mai come in questo disco, Danno, Masito e Dj Baro hanno messo in luce tutto il loro disappunto e quella sana rabbia che ti porta a guardare il mondo con occhi diversi – più maturi e meno disincantati – e a prendere, in ogni caso, posizione. Sembrano lontani i tempi di Odio Pieno, e non potrebbe essere altrimenti essendo passati più di vent’anni: in Adversus si respira un’aria diversa, un’aria pregna anche di sconfitta, morte e declino, che stona con lo sfavillante ambiente del rap italiano e che mette il trio romano, ancora una volta, sotto una luce completamente differente. Una luce che illumina un cammino che in quest’ultimo album è solo e soltanto dei Colle, che se ne frega delle ultime mode come del passato, che parla la sua lingua sapientemente evolutasi nel corso del tempo e che viene condiviso solo con coloro che sono sulla stessa lunghezza d’onda - da qui, quindi, i soli due featuring, con Kaos One e con la struggente tromba di Roy Paci in Polvere, brano dedicato a Primo Brown. Non un calo di stile, non un riempitivo, non un momento sotto tono: i quattordici pezzi in scaletta volano via come proiettili e chiedono di essere ascoltati uno dietro l’altro, quasi come frammenti di un’unica storia. La produzione affidata a Dj Craim, compagno nei Good Old Boys, poi, restituisce un sound estremamente compatto, “suonato”, pulito ma non patinato, che pompa dove c’è da pompare e sa farsi più atmosferico per dialogare con i versi. La maschera mempo in copertina (usata nel Giappone medioevale per spaventare i nemici in battaglia), l’ombra di Sergio Leone e dell’anti-epica dei suoi film, il lupo solitario del video di Storia di una lunga guerra: i Colle Der Fomento ci indicano ancora una volta il campo di battaglia - ovvero noi stessi, la nostra immagine riflessa nello specchio - una guerra necessaria perché ti fa sentire, alla fine, vivo. Io faccio il mio e non lo faccio né per loro nè per l’oro, lo faccio solamente perché sinnò me moro zio.
The Smashing Pumpkins – Shiny and Oh So Bright Vol.1 / LP: No Past. No Future. No Sun
Il 2018 sarà ricordato molto probabilmente come l’anno del “ritorno” degli Smashing Pumpkins. Le virgolette sono d’obbligo in quanto, all’indomani dell’annuncio in pompa magna del nuovo album dal chilometrico titolo, addetti ai lavori e fan sembravano essersi dimenticato in un colpo solo che le zucche di Chicago avessero pubblicato tre dischi dopo quel lontano 2000, anno dello scioglimento del gruppo. Ora l’attenzione è tutta rivolta a questa nuova/vecchia formazione che vede, oltre naturalmente al pelatone più famoso del rock, nonché padre padrone della band, Billy Corgan, il chitarrista James Iha, il redivivo Jimmy Chamberlin alla batteria, musicista estremamente versatile e mai troppo osannato, impegnato nell’ultimo decennio in progetti dallo stampo jazzistico, e, infine, Jeff Schroeder alla chitarra. Non pervenuta, invece, la bassista storica del gruppo, D’Arcy, esclusa da questa reunion mutilata a causa di alcuni screzi con Corgan che sarebbe meglio relegare al gossip da internet 2.0. Va da sé che, proprio per la natura di questa nuova/vecchia incarnazione degli Smashing Pumpkins, l’hype per il nuovo album, originariamente concepito come due EP da quattro tracce ciascuno, è stato altissimo, aspettandosi di conseguenza i fasti del passato. Tutto ciò, però, viene in parte disatteso alla prova dei fatti. Shiny and Oh So Bright Vol.1 ha questa peculiarità: è un album che perde troppo tempo a caricarsi per decollare, e quando ciò sta per avvenire, la musica è ormai finita. In ciò non giova probabilmente la scelta di mettere solo otto pezzi, portando quindi di un minutaggio alquanto risicato, e che non fanno altro che accrescere l’aura da EP che questo disco si porta dietro sin dal suo concepimento. Ma soprattutto, ciò che manca e che emerge solo a tratti, sono l’epica e il trasporto emotivo, così unici e peculiari, che hanno caratterizzato gli Smashing Pumpkins e la scrittura di Corgan. Non basta l’andamento di Silvery Sometimes (Ghosts) che richiama in controluce un brano del passato come 1979, o la melodia vocale di Travels, per esempio, per riportare in auge i fasti del passato: ciò che manca è lo stile, la sostanza che forse Corgan pensava di poter riesumare richiamando in campo i vecchi compagni ma che, invece, non produce risultati considerevoli alla grandezza di un gruppo che ha segnato un intero decennio. Bisogna puntare sull’energia di pezzi come Solara o Marchin On’, o la semi-ballata Alienation, per avere qualche guizzo, ma sono solo momenti isolati che passano subito perché, quasi inavvertitamente, l’album è arrivato già alla fine. Nonostante Corgan rimanga un grandissimo songwriter, dotato ancora oggi di gusto e sensibilità, rimane il fatto che questo nuovo album vive più per il nome che si ritrova addosso – “il disco che vede insieme dopo quasi vent’anni la formazione originaria!” – che per la musica in esso contenuta. Un’opera che non aggiunge né toglie nulla a quanto fatto dalle zucche fino ad adesso, e che viene anche oscurata dagli ultimi tre dischi partoriti dalla band, quelli si, dotati di brani che oscillano fra l’ottimo e il buono e dal forte impatto. Magari questa nuova/vecchia formazione ha bisogno di un po’ più di tempo per rodare, d’altronde quel “Vol.1” nel titolo fa intendere che probabilmente ne sentiremo ancora in futuro da Corgan e soci. Immagini tratte da: rapburger.com Smashingpumpkins.com
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Aprile 2023
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