Diamo uno sguardo a uno dei dischi più caldi usciti in questo primo frangente dell’anno, l’atteso nono album dei Radiohead, “A Moon Shaped Pool”, un disco che mostra una faccia inedita per la band, fra elettronica soffusa, archi e una tensione più nascosta ma che non è mai sopita.
![]()
Come scomparire completamente, i Radiohead, lo sanno bene, e lo cantano sin dal 2000 in uno dei loro dischi simbolo, “Kid A”. E avrebbero portato a compimento questa loro idea tramite una grossa operazione di marketing che ha visto svuotati per giorni i loro profili social e il sito, se non fosse stato per l’annuncio improvviso, ma abbastanza prevedibile, di un nuovo album. “A Moon Shaped Pool”, questo il titolo del nono parto in casa Radiohead, emerge delicatamente dal bianco sporco della copertina facendosi carico in egual misure delle lodi sperticate dei fan che hanno immediatamente gridato al capolavoro (dopo aver ascoltato solamente i due singoli resi disponibili prima dell’uscita ufficiale del disco) e delle aspre critiche disfattiste e dispregiative di chi li considera un gruppo inutile (e questo, cosa vorrà mai dire, lo sanno solo loro) e sopravvalutato. Tutto ciò dimostra solo la caratura che i cinque di Oxfordshire sono ormai riusciti a raggiungere: qualsiasi cosa riguardi i Radiohead diventa automaticamente nel bene o nel male iconico, influente, attuale, che si tratti del mero fatto musicale, di dichiarazioni rilasciate da qualche componente o del nuovo look di Thom Yorke. Il gruppo è insieme causa e conseguenza dell’essere un crocevia di influenze contemporanee musicali ed extramusicali, influenze che in ogni caso hanno sempre saputo rielaborare in maniera personale e con dischi profondamente diversi l’uno dall’altro. Non fa eccezione “A Moon Shaped Pool”: l’inquietudine e la tensione metropolitana che alimentava “Ok Computer”, marchi di fabbrica sin da quel lontano ’97, vengono mantenute, se non proprio accresciute, anche nel XXI secolo, solo che qui si fanno molto più astratte, meno palpabili e immediatamente riconoscibili ma comunque presenti e persistenti. Più che insistere su ritmi rock “A Moon Shaped Pool” invita ad ascoltare i silenzi, le pause e le melodie degli strumenti che più si avvicinano ad essi: i veri protagonisti sonori non sono le chitarre, qui messe in secondo piano e utilizzate in maniera parsimoniosa, ma il pianoforte come in Daydreaming, gli archi alla Philip Glass in Burn The Witch e nella meravigliosa Glass Eyes e l’elettronica ambientale, che da all’intera produzione un tono freddo e alieno, come in Ful Stop e in Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief (titolo che si rifà alle filastrocche infantili del folklore inglese).
![]()
Proprio per la presenza di continui vuoti e di un suono che si rivela man mano, quasi timidamente, potrebbe sembrare ad un ascolto veloce che questo nuovo disco non abbia da trasmettere nulla, se non l’ottima capacità di arrangiatori e compositori dei Radiohead; sarebbe però un giudizio alquanto affrettato, poiché dietro questa maschera piatta si nasconde un mondo sonoro molto stratificato, capace di evocare sensazioni forse mai percepite prima negli altri album della band. “A Moon Shaped Pool” decide di prendere infatti una strada molto più delineata e netta rispetto alle ultime due produzioni discografiche segnate invece dalla commistione, riuscita o meno, fra dna rock ed elettronica: l’influenza della Warp Records e di artisti di punta dell’etichetta come Aphex Twin, o i lavori orchestrali scritti e arrangiati da Jonny Greenwood per il cinema di Paul Thomas Anderson, riescono a creare un divario con il recente passato, facendo venire in mente invece la paranoia, qui latente e subdola ma all’epoca strabordante ad ogni nota, di “Kid A” e “Amnesiac”. Probabilmente i pezzi risentono dell’influenza dei dischi del 2000 e del 2001 appena citati, visto che le canzoni di “A Moon Shaped Pool”, presentati in un curioso ordine alfabetico, risalgono a un po’ di anni addietro, ascoltate in occasione di molti concerti e contenute anche in altre pubblicazioni, come nel caso della conclusiva True Love Waits già presente nell’EP live “I Might Be Wrong”.
Di certo è che da un po’ di anni a questa parte i Radiohead risentono molto del peso di un solo elemento, Thom Yorke, e questo fatto ha pesantemente influenzato la direzione stilistica dell’album: molto di quanto si può ascoltare nei suoi dischi da solista può essere rintracciato in quest’ultima opera del quintetto. Ma forse è anche per questo che “A Moon Shaped Pool” suona così differente da quanto fatto in precedenza dai Radiohead: che li si ami alla follia o li si odi in maniera viscerale è innegabile quanto il gruppo riesca sempre a creare qualcosa di livello. Un livello che permette alla band ormai di essere assolutamente riconoscibile in un ambiente, quello pop rock più mainstream, che sforna più cloni che altro. Che i fan si mettano il cuore in pace: “A Moon Shaped Pool” non è certamente un capolavoro visto che non scombina o rovescia alcuna regola: rimane però un ottimo album con una sua ben precisa personalità, che permette ulteriormente ad un gruppo che esiste da più di vent’anni di rimanere sulla cresta dell’onda. E di questi tempi non è assolutamente cosa di poco conto.
Radiohead – A Moon Shaped Pool (XL, 2016)
Tracklist:
Immagini tratte da: allmusic.com/album/a-moon-shaped-pool-mw0002944004 Nme.com
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Marzo 2023
|