di Carlo Cantisani
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Alla fine, la trinità sulla messa in discussione del nostro mondo si è conclusa. Con Bad Witch, Trent Reznor mette un punto alla sua personale trilogia iniziata due anni fa con Not the Actual Events e proseguita nel 2017 con Add Violence. Se questi ultimi due sono stati catalogati come ep, con questa nuova pubblicazione il master mind dei Nine Inch Nails fa un improvviso passo indietro (o avanti, dipende dai punti di vista) e decide di elevare i sei pezzi ivi contenuti a vero e proprio full-lenght, nonostante la sua durata sia di 30:11, poco superiore a quella delle due parti precedenti, lunghe rispettivamente 21:11 e 27:13. Se qualcuno si stesse chiedendo come mai questo cambio di rotta sul formato, è lo stesso Reznor a chiarire la questione, adducendo come principale motivo che nell’attuale panorama discografico gli ep sono considerati un’uscita minore, soprattutto a causa dei servizi di streaming come Spotify, nei quali questo tipo di uscite rischiano di essere ignorate perdendosi nel mare magnum delle pubblicazioni, a differenza invece – sempre secondo Reznor – dei full-leght come gli lp. Qualunque siano le considerazioni e le aspettative di carattere discografico/produttivo/artistico/economico, questa motivazione del fondatore dei NIN suona quasi un po’ fuori posto rispetto a dove il mainstream sta iniziando lentamente a muoversi, ovvero verso una riduzione del minutaggio degli album che inevitabilmente va a incidere sull’esperienza d’ascolto complessiva. È ancora troppo presto per dirlo, ma la linea che divide singoli ed ep dai full potrebbe in futuro assottigliarsi, magari rendendo obsoleto il formato lungo a favore invece di quello più diretto, immediato e pronto per finire in streaming del formato breve. Come caso lampante potrebbe essere preso proprio quello tutto italiano di Liberato, operazione di marketing perfettamente costruita e riuscita, interamente basata, almeno finora, sul binomio singolo-video; oppure quello delle “Wyoming Sessions” messe su da Kanye West fra maggio e giugno, composte da cinque pubblicazioni rilasciate consecutivamente in altrettante settimane della durata media di venti minuti. Rimane, quindi, il dubbio – legittimo – a cosa Reznor volesse riferirsi, su come stia interpretando il music business contemporaneo; quello che è certo, invece, è che spacciare quello che rimane a tutti gli effetti un ep come un full-lenght non è esattamente una mossa molto corretta nei confronti dei propri ascoltatori (e infatti alcuni non l’hanno presa molto bene).
Ma la musica è l’altro elemento, il più importante, che rimane, e Bad Witch celebra alla grande una rinnovata creatività in casa NIN, probabilmente come non si sentiva da una decina d’anni a questa parte. L’abrasiva oscurità, le ombre e gli scheletri di un suono ossessivo, ipnotico, industriale e, finalmente, sporco, eclissano quella patina tanto perfetta da risultare quasi indigesta e artificiosa di With Teeth, Year Zero, The Slip ed Hesitation Marks, album osannati dai fan ma, alla fine dei conti, con molta poca sostanza. Questa volta invece la sostanza, quella roba marcia e grumosa che Reznor ha sempre covato dentro di sé rigettandola nei suoi dischi simbolo Pretty Hate Machine, Broken, The Downward Spiral e The Fragile, viene rievocata e, almeno idealmente, usata per dare corpo a un lavoro che cerca nei suoi momenti più significativi di discostarsi da ciò a cui di solito i Nine Inch Nails hanno abituato. Sarà la presenza ormai in pianta stabile di Atticus Ross, ormai in coppia con Reznor a tutti gli effetti da Not the Actual Events; saranno le svariate colonne sonore alle quali i due hanno lavorato negli ultimi tempi; o, ancora, sarà stata la discesa nel subconscio di Lynch nell’ottavo episodio di Twin Peaks: The Return, dove i nostri suonano She’s Gone Away, terza traccia tratta direttamente dall’ep del 2016. Se ci si volesse spingere ancora di più con un tocco di fantasia, si potrebbe tirare in ballo anche la trasmigrazione dell’anima immortale della stella nera di Bowie, che su Bad Witch si fa avvertire con una potenza che rimane sottotraccia per tutta la durata del lavoro, soprattutto in certe inclinazioni della voce di Reznor. Sarà quel che sarà stato, ma l’importante è che alla fine i Nine Inch Nails hanno saputo ripescare dal fondo la loro creatività per modellarla su pezzi che rientrano perfettamente nel loro stile e nello stesso tempo ampliano il discorso intrapreso dai due ep precedenti. Se Not the Actual Events potrebbe rappresentare la dolorosa presa di coscienza di un mondo che si scopre essere solo il pallido riflesso della realtà, e Add Violence la reazione, violenta e istintiva, per non soccombere all’apatia di questo mondo, Bad Witch potrebbe suonare come la resa incondizionata, la fine della lotta, l’abbandono di ogni speranza, l’inutilità della ricerca di ogni possibile risposta a domande, probabilmente, mal poste. Il grigiore e la ruggine di un mondo in rovina si sporcano ancora di più, lasciando il posto a un nero soffocante, il quale si palesa soprattutto nel trittico Play the Goddamned Part/God Break Down the Door/I’m Not from This World posto al cuore del lavoro. Tre pezzi – il primo e l’ultimo due strumentali, il secondo cantato – talmente tanto intrecciati fra loro da costituire quasi un’unica composizione, una sorta di trilogia nella trilogia, un flusso continuo dove echi di dark ambient, industrial, stratificazioni sonore create da un sax minimale e protagonista e drum’n’bass al limite del rave creano un mix altamente suggestivo e paranoico, che richiama alla mente in certi punti Lustmord e i Primal Scream di XTRMNTR. Si può dire senza troppi giri di parole che i tre pezzi citati, oltre a essere i brani migliori dell’intera trilogia iniziata due anni fa, surclassano da soli la produzione discografica degli ultimi dieci della band. Le restanti tre tracce, Shit Mirror, Ahead Of Ourselves e Over and Out, sono ugualmente godibili, seppur più canoniche per lo stile della band, ma se si vuole riassaporare quel sapore corrosivo dei vecchi NIN, sotto però un’altra luce, bisogna rivolgere l’attenzione ai tre brani menzionati più sopra. Unico neo: un certo retrogusto di incompiutezza, come se Bad Witch filasse via troppo velocemente lasciando addosso la voglia di ascoltare un seguito (e questo si ricollega al discorso iniziale sul formato spacciato da Reznor, una sensazione, quella dell’incompletezza, che difficilmente un full-lenght trasmette). In ogni caso, non poteva esserci finale migliore per questo viaggio iniziato nel 2006. God break down the door/You won't find the answers here/Not the ones you came looking for: speriamo che Mr. Self Destruct continui a pensarla così anche per il futuro. Nine Inch Nails – Bad Witch (The Null Corporation, Capitol – 2018)
Immagini tratte da: www.shugarecords.com
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Aprile 2023
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