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20/7/2018

Non avrai altro Dio all'infuori di Nick Cave

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Con una performance dai significati molteplici, il rocker australiano ha lasciato ancora una volta il segno durante il passaggio al Lucca Summer Festival. La serata di martedi 17 luglio 2018 si è trasformata per i numerosi spettatori presenti in un'epifania atterrita e dolcissima.

di Enrico Esposito
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Sessant'anni non sono pochi si sa ma nemmeno moltissimi. Non "puzzano" proprio per niente di pensione e volontà di riposarsi, privilegiando la morigeratezza e la fama da "rendita" al posto dei fuochi e fulmini dell'età più verde. Degli eccessi, degli estremi che Nick Cave corteggia da sempre nella veste di "uomo " e "artista" che in realtà non si presenta sdoppiata o nettamente "separate" o stronzate del genere. Cave appartiene alla schiera ben nutrita e "condannata" di anime purissime nell'incontro/scontro con il massimo godimento dei sentimenti, che fino alla fine dei suoi giorni osserveranno un paesaggio e si sforzeranno di leggere le verità nascoste nella pelle delle persone a costo di ammalarsi di labirintite. Una sete di ricerca che appare esasperata per molti versi e prodigiosa per altri, che stringe la gola in pochi secondi, catapultandoti dalla cima dell'Everest ai bassifondi nerissimi dell'abbandono. Una sensazione che si ripete, si capovolge, ma ha il potere di non lasciarti inerte. Nick e i suoi Bad Seeds la respirano a secchiate, e a secchiate ne inondano la platea intera di Piazza Napoleone di martedi scorso, scaraventando al di sopra di essa una ragnatela che al passo delle due ore e mezzo di concerto non accenna a sfaldarsi. Dopo quattro anni Lucca e il suo Festival dai merletti anglosassoni lindi si riconsegnano allo spettacolo purgatoriale che il cantautore oceanico e la sua band hanno chiamato questa volta "Skeleton Tour", dal nome dell'ultimo neonato album di appena 12 mesi fa. Guerra, pace, vitalità.
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Un ritorno atteso da tanto. Una prova del nove che si direbbe tremenda perché arrivata al termine dei due anni abbottonati di silenzio dopo la morte accidentale di Arthur Cave, che a quindici anni perde la vita nel 2015 scivolando da una scogliera nei pressi di Brighton. Un evento che squarcia alla gola Nick Cave come alla scomparsa prematura del padre nella sua primissima giovinezza. Una faccenda affrontata nel consueto stile straordinario della scrittura, della creazione attraverso la musica ma anche il cinema. L'uscita dell'album "The Skeleton Tree", e la presentazione alla Biennale di Venezia e in seguito l'approdo nelle sale di tutto il mondo del documentario "One More Time with Feeling" dell'amico Andrew Dominik. 2016, 2017, 2018 e tour. Il rewind di una tappa obbligata nella storia ultratentennale del sodalizio Cave - Seeds, l'espressione massima del loro mestiere. Sulla scena i proiettori luminosi, alcuni video calati sullo sfondo, un maxischermo B/N, silenzi cupi e intrisi violentati dalle vibrazioni del rock, dalle striature fameliche del violino di Warren Ellis, e lui, il cantante - profeta che in frac si dedica ininterrottamente al suo pubblico. Colui che sin da ragazzo nella sua Australia è stato paragonato a Gesù per la mission inseguita dagli alberi attraverso la scrittura, un dono ereditato dal padre insegnante di letteratura inglese. Nick Cave e le sue 200-250 canzoni buttate giù come le poesie, i romanzi e le colonne sonore, nel tentativo di calare lo sguardo al di là dell'ovvio, di insinuarsi nelle regione oscure, al di là della felicità. La tristezza rappresenta per lui la caratteristica fondamentale della canzone d'amore, un campo minato sul quale è necessario lanciarsi per conquistare l'assurdo e la follia che dominano sulle grandi forze dei sentimenti, tra cui l'amore. Da una parte il burrone dei sentimenti, dall'altra l'inoppugnabile leadership di Dio, al centro la risorsa eccelsa dell'immaginazione e della curiosità, che Cave esterna attraverso il travolgente andamento dei brani, la partecipazione fisica e emotiva che lo rendono un autentico pastore di fronte agli "adepti". 

Un sessantenne sensazionale che si inginocchia dinanzi ai suoi spettatori, li cerca appassionato, li tira sul palco con sè e se li stringe al petto, li accarezza, rendendoli protagonisti attivi dei suoi versi. Brulica l'arte, si esaltano le mille possibilità dell'inventiva, del suono, mentre all'interno dei brani si susseguono (proprio come accade nei Salmi cristiani tanto cari a Cave) racconti di morte e peste, di nostalgie e incanti. Tra classici storici come "Tupelo", "Into my arms", "Deanna" (eseguita sotto richiesta del pubblico), e le più recenti "Girl in Amber", "Magneto", "Distant sky", si respirano inquietudine, rabbia, meraviglia e tensione erotica, perché il concerto non è più tale, diventa un'esposizione museale, una pièce, o semplicemente l'espressione naturale delle pulsioni. Le parole, le melodie e le danze liberano all'ennesima potenza l'umore, e a questo punto davvero terminano gli aggettivi per descrivere la forza di Nick Cave e l'intensità con cui vive due ore e mezzo di concerto. E chissà se altri come me, al termine di un'incontro di tale impatto, si siano alzati il mattino dopo nell'attesa del prossimo abbraccio con Nick Cave & i Bad Seeds.

Immagini tratte da Foto dell'autore

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