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29/6/2018

Perchè i Foo Fighters spaccano di brutto (secondo me)

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di Enrico Esposito
Eravamo 65.000 e tutti stipati (almeno quelli più "poveracci" come me che erano nell'ultimo settore) sul pratone della Visarno Arena ad aspettarli per le fatidiche 21:00 di sera. Ad anticiparli un Frank Carter molto "pink" che con generosità cerca di fare il Sex Pistol, dei Wolf Alice molto deludenti, e dei The Kills invece all'ennesima poten​za trascinati da una Alisson Mosshart spettacolare. Ma, è inutile dirlo, si aspettavano solo loro. La band da quel nome strano che sembra richiamare modelli di combattimento giapponesi o cinesi ma che invece fa riferimento a presunti dischi volanti avvistati dagli aviatori durante il secondo conflitto mondiale. I Foo Fighters, nati dalla vena miracolata di Dave Grohl tra un concerto dei Nirvana e l'altro, e, se vogliamo, "entrati" in un disco di Kurt Cobain e soci, nel momento in cui come lato B di "Heart-Shaped Box" spunta un pezzo di nome "Marigold" cantato inaspettatamente dallo stesso Grohl.
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Erano circa 25 anni fa e Dave Grohl si stava perfezionando con la chitarra per dare vita a un nuovo progetto in cui avrebbe dato prova della altre varianti del suo robusto potenziale da strumentista, ma anche di compositore e frontman. Ad oggi a quasi 50 anni, Grohl vive probabilmente l'acmè della creatività e della grazia. É diventato a tutti gli effetti un rocker completo e innovativo grazie alla sua innata predisposizione allo show, all'inventiva e all'improvvisazione. Sul palco del Firenze Rocks, in due ore e mezzo tiratissime di rock grezzo e purissimo, lo abbiamo visto dirigere con vigore una band che col passare del tempo si è sciolta sempre di più, consegnandosi in energia al pubblico senza porre le barriere che spesso magari esistono tra i fans e gli altri musicisti al di fuori del leader. Durante il concerto alle Cascine, Dave Grohl ha concesso uno spazio personale dovuto a ognuno dei suoi cinque compagni. Taylor Hawkins, il biondissimo e tremendo drummer, si è esibito in un assolo di batteria dall'alto dei cieli mentre un marchingegno piantato sotto i suoi calcagni lo sollevava, e ha poi "spodestato" lo stesso Dave, prendendo il centro del palco nella ormai consueta cover di "Under pressure" dei Queen, che l'ha visto cavarsela più che bene. Un altro grande momento c'è stato quando Grohl ha introdotto il tastierista Rami Jaffee, che si è prodotto inizialmente in una riproposizione di "Let It be" dei The Beatles salvo poi svoltare all'improvviso, con l'entrata degli altri strumenti, in una rivisitazione hard rock di un classicone come "Jump" dei Van Halen. Una delle chicche della serata, seconda solo alla comparsa da infarto di Slash, Axl e Duff dei Guns N' Roses per una versione di "It's so easy" che rimarrà nella storia. 

Bisogna dire grazie a lui, a Dave. Lui, che a quasi 50 anni, "smostra", sprizza una potenza da ventenne e una volontà infiammata di riuscire a fare tutto quello che gli viene in mente. Non sprecare un secondo della vita, sfruttare le occasioni per portare a compimento qualcosa di nuovo, in dono alla dea musica alla quale ha deciso di consegnarsi. Per questa ragione, nel corso della storia ultraventennale dei Foo Fighters, Dave Grohl è arrivato a suonare con mostri sacri come Lemmy Kilmister al tempo dei Probot e band anch'esse nel gotha come i Pearl Jam e i Queens of the Stone Age, e oggi durante i suoi tour, non manca di invitare a salire sul palco artisti di ogni tipo, da Billy Idol a Rick Astley, allo stesso Krist Novoselic in un concerto in Oregon dello scorso dicembre, che ha visto la prima reunion Nirvana in compagnia del chitarrista Pat Smear. Ad Austin, in Texas, lo scorso aprile, si è consumato un episodio che ha preso alla sprovvista lo stesso Dave: ha invitato un suo fan soprannominato "The Kiss Guy" per il suo look mascherato alla Kiss a suonare sua chitarra in "Monkey Wrench", ed è rimasto talmente sbalordito dalla sua bravura al punto da dimenticare le parole della canzone e a riservargli un inchino alla fine della performance. Roba da pazzi, che può fare solo un pazzo. Ma un pazzo vero, umile, che dialoga costantemente con gli sconosciuti che si ritrova di fronte ogni sera diversa in giro per il mondo, e sa benissimo quel che dice. ​Sa che ad oggi ai concerti dei Foo Fighters arrivano due tipologie di fans. Gli "storici", Old Fighters, che sono cresciuti come il sottoscritto sotto le scariche di "Learn to fly", "Break out", "All my life", e hanno costruito sogni simili a quelli di "My hero". 

E poi ci sono gli altri, New Fighters, l'onda dei teenagers e ventenni di adesso ma non solo, che riempiono le arene perché sobbalzati dalla carica interminabile che infiamma la band, dalla frequenza infernale in cui si spacca la voce di Dave e dagli strappi sconquassanti recapitati dai suoi compari. Trascinanti all'esponente, non danno il tempo di respirare, con Dave che tratta tutti i 65.000 di Firenze con una confidenza immediata, ci conquista anche dicendoci che siamo dei figli di puttana, ci sfotte anche senza parlare, quando alla fine del concerto si rende protagonista di un simpatico siparietto con sua figlia Violet, Taylor e Axl Rose stesso per scegliere quali bonus tracks regalare alla chiusura del concerto. Ma al di là dei vecchi e nuovi fans, sul verde-marrone della Visarno, il sottoscritto ha potuto constatare di persona che la professionalità e la sincerità di questi rockers si è mangiata le differenze di età e ha chiamato a raccolta cinquantenni affianco a minorenni, nel nome di uno spettacolo di sostanza, che ha ripercorso per davvero tutti i più grandi successi dei Fighters e ha ricordato la sensazione di trionfo della musica di cui erano capaci Deep Purple, Led Zeppelin e Pink Floyd.

Immagini tratte da www.onstageweb.com

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