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9/9/2016

Perché i Gatti Mézzi hanno sempre quella faccia

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di Alice Marrani
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Due concerti a distanza di quattro giorni. Il primo per l’apertura del Festival Suoni e Colori in Toscana, nel suggestivo cortile della Villa il Palagio di Rignano sull’Arno, davanti a file ordinate di posti a sedere, riempiti tanto da doverne aggiungere altri prima dell’inizio. Il secondo davanti ad un pubblico numeroso, sul palco dell’Off Bar di Firenze, serata il cui ricavato è stato devoluto ai paesi colpiti dal terremoto.
Uno più disteso e descrittivo, l’altro più energico e dal ritmo più serrato. Da una lacrima meccanica (Lacrima meccanica) alla dolcezza di una canzone d’amore così sincera e semplice da risultare quasi ridicola (Sott’Arno stasera), come dicono loro stessi, la scaletta si snoda fra un disco e l’altro scorrendo piacevolmente fra presente e passato.
Ci sono storie che si snodano fra un personaggio e l’altro, di quelli che non mancano mai in ogni città, che tutti conoscono e che ritrovi nei racconti della gente, vivendo fra una vena di malinconica solitudine e gloriose imprese di gioventù. Girando per le strade di una Pisa fatta di vicoli, storie e abitudini comuni e quelle di Marina che risorge d’inverno, quando i turisti sono lontani dal mare e i fiorentini non ci affogano dentro. Il mare visto da dentro e lontano dai monti, le ragazze fredde e la proverbiale rivalità verso i vicini livornesi. Si fondono a questo l’intima dolcezza di un brano dedicato alla figlia, la nostalgia amara per un padre che non c’è più e del quale non rimangono che i baffi evanescenti in un ricordo che sfugge nei sogni. La voce di Tommaso Novi, seduto (a volte proprio arrampicato) sullo sgabello delle tastiere, quella di Francesco Bottai alla chitarra, si appoggiano sul contrabbasso di Mirko Capecchi e sulla batteria di Matteo Consani, fra la bravura tecnica musicale e la teatralità narrativa, fra l’ironia e il retrogusto un po’ aspro di quel sorriso a volte a denti stretti, fra swing, funk, jazz e blues, fra Buscaglione, Conte e Dalla, fra cultura raffinata e irriverente e semplice popolarità. Questo è un concerto dei Gatti Mézzi: l’immersione nel loro mondo che ci accorgiamo inevitabilmente essere il mondo di tutti. Sono concerti da ascoltare con le orecchie aperte e il cervello ben acceso, sintonizzato nello scandagliare la musica, il ritmo vivace, l’ironia irriverente e il colore dialettale, alla scoperta di qualcosa che sicuramente fa parte del profondo della loro città, del loro vissuto ma che infondo ci accorgiamo fare parte anche del nostro.
Sono adesso in tour con il loro ultimo disco Perché hanno sempre quella faccia. Li troviamo con i brani di quest’ultimo a scavare un po’ più a fondo nell’intimità della loro storia, in italiano, così semplicemente chiari, diretti e sinceri, con riflessioni di una vita che cambia inevitabilmente e lo scoprirsi sempre di più nel volerla raccontare e analizzare, disco dopo disco. Dal 2005, centinaia di concerti, sei album, un Premio Ciampi, alcuni festival vinti o passati da finalisti, fuori e dentro la Toscana, con collaborazioni che spaziano da Bollani a Brunori Sas a Petra Magoni, la colonna sonora del film di Roan Johnson, Fino a qui tutto bene, candidata ai Nastri d’argento nel 2015. Cresciuti si, ma in fondo mai cambiati.

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Li ho incontrati alla fine del concerto di Firenze, terminati gli autografi sui dischi, le foto e le chiacchiere con il pubblico. Nel complesso della loro musica ci sono tanti elementi che si mescolano e si uniscono in un piacevole e raffinato equilibrio dove anche il fischio ha la sua grande importanza, tanto da diventare a volte quasi una seconda voce (e che voce! Se si pensa per esempio che live sostituisce quella che nel disco appartiene a Petra Magoni in Il mare è una scusa). Tommaso Novi mi spiega che ne ha addirittura attivato un corso che svolge alla scuola Bonamici di Pisa, con una didattica su tre livelli di apprendimento, lezioni anche online su Skype frequentate da persone provenienti da tutta Italia.
“La cosa funziona. C’è gente che non sa fischiare e viene ad imparare e gente che vuole fare un percorso di perfezionamento. È buffo e all’inizio pensavo fosse una grande cazzata e invece…sembra una grande cazzata ma è simpatica e intelligente.”
I vostri due ultimi concerti si sono svolti in due contesti molto diversi con un pubblico altrettanto diverso, cosa che preclude alcune cose e ne favorisce altre. Che differenza di approccio avete avuto?
Tommaso
: Sono stati due concerti tipo, due occasioni nelle quali siamo stati molto bene: una di festa, di gran casino e una invece con un certo tipo di attenzione e partecipazione diversa. In comune però c’era una grande attenzione e questo ci dà sempre modo di esprimerci come più ci piace, a prescindere dal contesto. Se c’è attenzione noi si gode e si cerca di dare il meglio.
Nell’ultimo disco avete abbandonato il vernacolo pisano. A cosa è dovuta principalmente questa scelta?
Francesco: Dico la verità: è stato un atto di sincerità. Abbiamo scritto in italiano. È stata una scelta relativa a quello che avevamo da dire e anche al fatto che gli ascolti che avevamo fatto nell’ultimo periodo erano diversi e quindi, chiaramente, siamo anche rimasti influenzati da altre cose. C’era proprio il bisogno di tirare fuori una cosa di quel tipo e tante persone lo hanno capito. Hanno capito proprio l’urgenza di esprimersi in questo modo. Magari altri meno però è così: alla fine le carriere musicali si fondano sul cambiamento. O meglio, le carriere che hanno un senso. L’idea è stata quella: un atto di grande sincerità.
Riguardo invece all’intimità dei temi che trattate?
Francesco:
È successo di tutto nella nostra vita e l’abbiamo portata nel disco. È questa la cosa bella: assolutamente non è stato uno sfogo ma l’esigenza di portare noi stessi. Questa è la chiave. Io, a posteriori, comincio a capirlo adesso cosa abbiamo fatto. Perché inizialmente butti fuori tutto ma hai un’idea meno precisa. Invece poi vivendolo, anche sul palco, e ascoltando quello che ci ha detto la gente hai una visione diversa.
È stato comunque un disco caratterizzato da un cambiamento. Com’è stato, rispetto a questo, il riscontro del pubblico?
Francesco:
È stato molto buono. Ci sono state recensioni anche molto interessanti. È stata capita l’evoluzione, non il cambiamento e basta ma un’evoluzione verso qualcosa di diverso. Chiaramente poi il live prende un po’ di tutto. Però questo disco doveva essere così.
Le tematiche e gli slanci devono essere per forza diversi nella misura in cui se hai un atteggiamento non solo descrittivo della realtà ma anche personale nel portare una poetica che ti appartiene veramente è chiaro che la tua poetica cambia con i cambiamenti della tua vita e così è stato.
Siete comunque riusciti ad amalgamare il nuovo con il vecchio.
(sorride) alla fine…siamo sempre noi.
  Immagini tratte da:
- Immagine 1 da  https://www.youtube.com/watch?v=2rJwC2WRMrI
- Immagine 2 da https://www.facebook.com/igattimezzi/?fref=ts
- Galleria da Foto dell’autore.

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