di Federica Talarico A meno di una settimana dalla sua serata conclusiva, il Festival di Sanremo continua a far parlare di sé. Del resto, si sa, Sanremo non è Saremo senza le polemiche che lo riguardano (da ben 69 anni) e non potevamo non aspettarci un'ennesima controversia anche alla fine di quest'ultima edizione. Quest'anno a vincere sono state la modernità, i ritmi orecchiabili, la musica fatta per dare voce alle proteste giovanili – il precariato, l'ansia per il futuro, la disumanità che ci circonda. E in qualche modo, in un'Italia in crisi, nella quale si fa ancora molta fatica a parlare di tolleranza e multiculturalismo, ha vinto l'integrazione. Perché Mahmood, vincitore del primo premio, è un giovane cantante figlio di madre sarda e padre egiziano; italiano come il festival, ma sono bastati il colore della sua pelle ed il sangue “impuro” nelle sue vene a farlo apparire come uno straniero agli occhi dei fan che, delusi, avrebbero certamente sperato nella vittoria di cantanti “autoctoni”. Che poi, anni addietro, a vincere il festival furono personaggi quali Anna Oxa o Malika Ayane – entrambe nate da un genitore di sangue straniero – sembrano esserselo dimenticati in molti, forse complice il fatto che almeno loro la pelle l'hanno sempre avuta di colore bianca. Mahmood non rinnega certo le sue origini, ma si sente e si professa sinceramente italiano, e da italiano canta le stesse paure e preoccupazioni dei suoi coetanei, ovattandole all'interno di un ritmo orecchiabile e piuttosto difficile da dimenticare, una volta effettuato un primo ascolto. Il suo è un brano contemporaneo, già in vetta a tutte le classifiche, e che ben rispecchia l'evoluzione moderna della musica italiana; la scelta della giuria critica non è stata certo casuale e ripiegare su un brano così al passo con i tempi, che sin dai primi giorni di rassegna svettava in cima alle playlists, è forse un modo come un altro per distaccarsi da quel vecchio festival così vetusto ed altezzoso. La società, del resto, si evolve e la musica dovrebbe andare di pari passo. Eppure questa vittoria è ancora troppo discussa, da chi non accetta di vedere un mezzo egiziano in cima al podio e chi polemizza riguardo a regole ingiuste e comprensibili, primo fra tutti il secondo classificato Ultimo, certamente vittima di una rancorosa dimenticanza perché nel 2018, con quelle medesime regole, è stato proprio lui a trionfare sul podio nella sezione Giovani. Talvolta si vince, talvolta si perde... Ma ad essere sportivi, ci si guadagna sempre. Certo, a guadagnarci è anche – come sempre – il Festival, che non manca mai di guadagnarsi ulteriore pubblicità e certezze di rinnovarsi, almeno per l'edizione successiva, una buona fetta di interesse ed attenzione da parte del pubblico. Che poi se ne parli bene o male, fa lo stesso: la cosa importante è che se ne parli comunque. E se da sessantanove anni il Festival continua a far parlare di sé, qualcosa vorrà pur dire. Immagini tratte da corriere.it
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Marzo 2023
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