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13/10/2017

REWIND: Dream Theater – Falling Into Infinity

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di Carlo Cantisani
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Aver ascoltato una canzone come You Not Me deve essere stato un trauma non indifferente per buona parte dei fan dei Dream Theater. Il gruppo newyorchese, infatti, aveva pubblicato il pezzo come uno dei due singoli (l’altro era stato Hollow Years) per promuovere l’uscita nel settembre del 1997 del loro quarto album in studio, Falling Into Infinity. Ascoltando quel pezzo ci si poteva quasi chiedere che fine avessero fatto i Dream Theater del precedente Awake, disco che aveva portato alla ribalta internazionale la loro musica grazie al mix perfettamente bilanciato di progressive metal, melodie orecchiabili e curati arrangiamenti strumentali che lo hanno reso praticamente imprescindibile per chiunque volesse ascoltare qualcosa di più ricercato e complesso in ambito rock/metal negli anni ’90. Awake, sulla scia di Images and Words, aveva gettato la band sotto le luci della ribalta e tutti i fan, vecchi e nuovi, erano curiosi di vedere cosa avrebbe composto questa volta. Dopo un cambio di formazione improvviso e inaspettato, con l’abbandono del tastierista Kevin Moore subito dopo le registrazioni del terzo disco e il subentro del nuovo membro Derek Sherinian, i Dream Theater sentivano la necessità di trasformare il loro sound. Cercando anche di andare incontro alle nuove esigenze commerciali che si sarebbero potute profilare all’orizzonte, assecondarono le richieste della loro etichetta di snellire le canzoni rendendo un po’ più accessibile il loro stile a una più ampia gamma di ascoltatori. E così avvenne, grazie anche all’apporto compositivo di Desmond Child proprio su You Not Me, divenuta immediatamente il caso emblematico di tutto il nuovo album: basta ascoltare la versione precedente a quella finita su disco, You or Me, per rendersi conto delle notevoli trasformazioni in atto.
Ma il “problema” (se tale può essere definito) non risiede tanto in una singola canzone: si era intuito sino a quel momento che i Dream Theater tendevano volentieri verso refrain molto catchy e melodie di facile presa sul pubblico. Ciò che aveva sconcertato i fan era proprio quella scrittura più snella, semplificata e che non indulgeva in lunghe parti strumentali che mettevano in mostra la complessità tecnica dei cinque membri. Ma snellire non significa necessariamente inaridire, né semplificare non indica per forza banalizzare. Proprio evitando questi estremi, Falling Into Infinity dà prova di grande maturità, scoprendo degli aspetti inediti nel sound generale del quintetto. In primis, la capacità dei Dream Theater di saper scrivere anche delle ballate. Prova ne è il fatto che l’album ne contiene un numero maggiore rispetto ai dischi precedenti: pezzi spesso e volentieri troppo indulgenti nelle loro melodie così ammiccanti, dal sapore a volte un po’ “costruito” e non particolarmente originali ma che sanno essere coinvolgenti, soprattutto se ascoltate nel contesto dell’intero album. Fra Hollow Years, Take Away My Pain e Anna Lee spicca in particolare quest’ultima, che grazie al trasporto emotivo che riesce a creare, ricorda certe cose dei Queen, così come l’inizio della prima evoca Sting e la seconda alcune atmosfere alla Peter Gabriel. La voce di James LaBrie, poi, sembra aver trovato in queste canzoni il suo habitat naturale, spiccando spesso e volentieri sul resto degli strumenti che si limitano ad accompagnare il cantante. Portnoy, più che imbastire controtempi, conduce in maniera più lineare le ritmiche, Petrucci e Sherinian intervengono lì dov’è necessario senza prevaricare sugli altri e Myung dipinge linee di basso semplici ed efficaci, sottolineando alcuni particolari passaggi. In ogni caso, se si ascolta con attenzione, si potranno notare piccoli accorgimenti e suoni che impreziosiscono il sound generale, anche negli episodi più semplici. Qui non prevalgono funamboliche arrampicate strumentali o intermezzi dal sapore esclusivamente prog-metal come nei dischi precedenti: Falling Into Infinity vuole essere assaporato con calma, senza fretta e mettendo da parte la furia e l’urgenza esplosiva che aveva caratterizzato i primi anni di carriera dei Dream Theater. Per chi volesse comunque assaporare quel modo di suonare, la band inserisce in scaletta due piccole suite di durata leggermente superiore ai dieci minuti, Lines in the Sand e Trial Of Tears (quest’ultima divisa in tre parti) dove i nostri si lasciano andare maggiormente senza però mai perdere di vista il nucleo fondamentale, cioè l’idea di canzone orecchiabile e accattivante intorno al quale gira la musica del disco. Anche in questi due episodi, infatti, si ha l’impressione che siano state messe in atto quella semplificazione e quello snellimento nelle strutture degli arrangiamenti precedentemente citati, e chi è avvezzo a determinate sonorità prog non faticherà a digerirle nel giro di un paio di ascolti. Ma prima di arrivare a queste canzoni bisogna attraversare tutta una serie di pezzi che poco o nulla hanno a che fare con la complessità e la pomposità del prog in quanto tale, trovando dei punti di contatto, invece, con l’energia e il groove dell’hard rock anni ’70 e ’80, come succede in Peruvian Skies, Burning My Soul e Just Let Me Breathe. I Dream Theater sono sempre stati un gruppo citazionista e se sin dai dischi precedenti le ombre di Pink Floyd, Rush, King’s X e Rainbow, solo per dirne alcuni, sono sempre state presenti nelle loro canzoni, in Falling Into Infinity queste ombre si fanno ancora più invadenti, portando a galla quel miscuglio musicale tanto caro ai cinque. Un album ben lontano dall’essere fra i migliori della band ma che grazie alle sue imperfezioni e debolezze assume un suo ben preciso profilo, regalando dei bei momenti e scorrendo liscio dall’inizio alla fine. E, cosa da non sottovalutare, farà da spartiacque nella carriera dei cinque di New York, influenzando nel bene e nel male molti dei dischi successivi a partire proprio da quello che li consacrerà a livello internazionale, ovvero Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory. Da qui in poi, i Dream Theater cadranno nell’infinito per lasciarsi trasportare altrove dalla musica.

Dream Theater – Falling Into Infinity (EastWest, 1997)
  1. New Millennium
  2. You Not Me
  3. Peruvian Skies
  4. Hollow Years
  5. Burning My Soul
  6. Hell’s Kitchen
  7. Lines in the Sand
  8. Take Away My Pain
  9. Just Let Me Breathe
  10. Anna Lee
  11. Trial of Tears (I.It’s Raining/II. Deep in Heaven/III. The Wasteland)


​Immagini tratte da:
Pinterest

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