di Enrico Esposito
I Vintage Violence sono una interessantissima realtà dell'alternative rock italiano che li ha visti iniziare la loro carriera vent'anni fa. I quattro componenti della band lecchese hanno iniziato il loro viaggio ai tempi del liceo come dimostrano alcuni frame del videoclip di "Dicono di noi" uscito proprio sabato scorso. Il 19 novembre 2021 sono tornati con un nuovo album intitolato "Mono" (Maninalto! Records) a distanza di sette anni dal capitolo precedente "Senza Paura Delle Rovine". "Mono" è una raccolta di dieci brani inediti dalle sfaccettature diverse soprattutto dal punto di vista testuale. Sono tante le cose degli uomini che oggi si possono analizzare sia aprendo un occhio mirato che invece compiendo un ragionamento a più ampio raggio. Di certo in questo disco la noia non esiste né per l'energia costante del punk rock dei VV che per la ricchezza narrativa dei loro testi. L'autodefinizione che i ragazzi si sono dati di "Una via di mezzo tra De Andrè e i NOFX" deve essere senza dubbio il vademecum con cui approcciarsi all'ascolto del loro ultimo lavoro. Perché riflessione, onestà e adrenalina si mischiano in continuazione.
Per parlare di "Mono" a dovere bisogna partire innanzitutto dal suo titolo che viene reso più chiaro dall'immagine di copertina. Il riferimento è al monolite in una discesa nell'osservazione di diverse componenti della realtà, a partire dalle considerazioni esistenziali. Dall'apertura di "Piccolo tramonto interiore" i Vintage Violence ci accolgono con sfrontatezza e precisione di dettagli che permettono a chi la ascolta di entrare in un rapporto di familiarità. Familiarità con il microcosmo della loro lontananza km su km da Milano e ripetizione di tante dinamiche della società che abbiamo sotto gli occhi. Il concetto di libertà e della sua (ir)realizzazione cattura il centro della scena in questo incipit mentre nella seconda traccia "Have a Nietzsche Day" la penna dell'autore dei testi e chitarrista Rocco Arienti omaggia la lungimiranza della previsione del filosofo tedesco sulla minacce create dalle generazioni umane alle successive. Il terzo brano, "Dio è un batterista", sempre continuando a non perdere di vista il fondamentale retroterra della propria esperienza musicale, tratta in modo non consono l'influsso ancor perturbante dell'ideologia cristiana e le sue conseguenze immortali dopo millenni. Dei luoghi comuni e dei pregiudizi non ci siamo liberati, ma le apparenze sono la Primadonna senza eguali.
Il quarto brano della tracklist, "Zoloft", parte improvvisamente subito dopo brillando particolarmente quando riesco a sentire il suo racconto per bene. Una canzone che rifà un pezzo del cantautore Enrico Sighinolfi, un fratello per la band, scegliendo come riassunto del tutto il nome di un popolare psicofarmaco. Una ballad in sordina che si apre meravigliosamente in parallelo alla storia di un protagonista che a sua volta sembra spiccare un volo. Anzi il suo volo lontano dalla prigionia e dalla morte quotidiana verso una paura però del tutto sincera. "Come la scintilla che precede lo schianto" è il formidabile trampolino per l'epifania finale. "Paura dell'Islam" riporta invece "quel tiro che spacca" prediletto dalla band lecchese mettendo l'accento sulla pericolosità e stupidità di un vecchio tarlo della società più vivo che mai. Senza dubbio geniale è il momento catartico della descrizione di un sogno in cui un leghista si tramuta nel suo nemico. "Prato fiorito" invece immerge la mente nel fenomeno rampante della cancel culture attraverso un raffronto basato sulla trasformazione dello storico gioco di Windows "Campo Minato" in "Prato fiorito" per l'appunto. "Capiscimi II" che riprende il filo della matassa dal precedente "Capiscimi" risponde invece alla domanda sull'essenza dell'amore corrisposto in tempo reale si potrebbe dire. Si perché sembra di assistere a tutti gli effetti a una dissertazione sulle contraddizioni di un sentimento che vengono accettati positivamente. L'ottava traccia "Astronauta" è stata considerata dai VV la canzone dell'album più riuscita in tutti i sensi anche perché in grado di esternare una convinzione tenuta in serbo da tempo. In una metafora rinnovata tra macrocosmo e microcosmo, il quartetto lombardo pone come oggetto del brano la pasta della sua natura, ossia portare avanti il proprio progetto a prescindere dai risultati. Questi ragazzi amano quello che fanno da circa vent'anni fottendosene delle accuse a ripetizione recapitate da chi abita proprio lo stesso ambiente, la dimensione underground. "Dicono di noi" segue infatti un elenco esilarante dei vari epiteti in preda al tipico tocco dell'intelligente ironia da cui "Mono" è caratterizzato. Il trittico finale di pezzi che misurano la temperatura al presente ed al futuro dei Vintage Violence si intitola "La chiave" ed è a tutti gli effetti la summa dell'intera raccolta. Una dichiarazione dell'amore che la band vive per quello che fa e soprattutto continuerà a fare "come un chiodo che ama il muro". Una certezza "anche se non c'è futuro".
Immagini gentilmente fornite dall'Ufficio Stampa (Alessandro Mainini)
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Aprile 2023
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