Lo scorso 18 marzo è uscito "Una Sceneggiata", il primo album di Francesco Forni interamente in lingua napoletana. Un viaggio intenso nel magico capoluogo campano tra presente e passato di cui abbiamo avuto la fortuna di parlarne con il talentuoso cantautore.
di Enrico Esposito
1 – Buongiorno Francesco, ti ringrazio molto per essere qui con me oggi. Il tuo nuovo album “Una Sceneggiata”, uscito lo scorso 18 marzo, è un concept ambientato ai giorni nostri attingendo però ad elementi di un passato sia lontanissimo ma anche più recenti. Quando hai iniziato a lavorare a questa storia?
Buongiorno Enrico. Ho iniziato a fine 2020. Con il regista Pierpaolo Sepe abbiamo messo su una sceneggiata 2.0 per il Teatro Stabile di Napoli dal nome ‘Spacciatore’. Le canzoni hanno avuto una prima fase per lo spettacolo teatrale e una seconda vita più sviluppata sulle mie corde per il progetto musicale. 2 - “Una Sceneggiata” non è chiaramente solo il titolo di un brano strumentale presente all’interno della tracklist ma probabilmente l’unico nome che poteva essere attribuito alla tua opera. A mio parere un musical popolare che in base al suo sound e ai suoi contenuti coglie immediatamente l’attenzione. Hai sempre pensato di chiamare così questo lavoro? Nel momento in cui ho pensato al disco sì. Per la prima volta mi cimento con un concept album, per la prima volta ho pensato ad un titolo che non parlasse di me in modo diretto, per la prima volta non ho immaginato nemmeno per un istante una copertina con una mia foto, ma subito ho pensato ad un art work e nello specifico ad un'opera di Peppe Cerillo. 3 – Nonostante la tua lunghissima produzione per la prima volta hai scritto un disco interamente in lingua napoletana, rimanendone legato in modo esclusivo. Ci racconti quali sono le emozioni che ti hanno accompagnato in questo viaggio? Innanzitutto scoprire una nuova vena compositiva, autoriale e soprattutto interpretativa. La mia voce tocca corde che erano rimaste inesplorate e questa è stata una sorpresa e un'emozione molto forte. Scrivere in napoletano vuol dire in qualche modo entrare in una nuova fase artistica e se non fossi stato coinvolto nelle musiche di ‘Spacciatore’, forse non mi sarei sentito ancora pronto. Averlo fatto è stata una svolta epocale per me. Ora qualsiasi produzione affronterò, lo farò da artista che si è confrontato con le proprie origini e con una cultura millenaria conosciuta e seguita in tutto il mondo. 4 – Le vicende di “Una Sceneggiata” ruotano intorno alla storia di Spacciatore, spettacolo teatrale con soggetto di Pierpaolo Sepe e la drammaturgia di Andrej Longo. Come hai lavorato all’elaborazione del tuo album a partire da questo testo? Ho immaginato di tenere i personaggi e ho sviluppato le dinamiche delle loro relazioni. Sono partito dagli accenni di canzone che avevo scritto per lo spettacolo e li ho portati a compimento come piccole opere definite anche senza il supporto delle scene e del contesto teatrale. Lo sviluppo è andato nella mia direzione chiaramente, nella direzione che mi ha permesso di aderire a quei testi cantati tutti in prima persona. 5 – Nella costruzione dei personaggi e anche dei luoghi hai preso ispirazione da incontri ed esperienze personali? Quando i personaggi sono scritti così bene, tanto da identificarli come archetipi, tu puoi sentirti parte di quel personaggio, puoi sentire quello che il personaggio prova anche se è una donna, capobanda, agli arresti domiciliari, con un passato devastato e un futuro buio. Per delle singole atmosfere invece ho tratto ispirazione da quello che stavo vivendo e osservando in quel periodo. Così mi sono ispirato al testo di Gelusia, di Prenditi cura di me, di Perduto. In più ho cercato di farmi ispirare dagli attori che avrebbero interpretato quelle canzoni, così mi è successo in Padre che nello spettacolo è stata cantata da Roberto Del Gaudio. 6 – Il racconto della storia del giovane Spacciatore e del suo amore mette in mostra una grande intensità di stati d’animo non solo relativi al suo sentimento. Una varietà di colori e vicissitudini che vengono sottolineati anche dal ricorso a diversi generi e strumenti musicali (folk, tarantella napoletana, ballate, anche jazz in “Padre”). Ci parleresti un po’ dell’impianto sonoro della raccolta? Fondamentalmente l'impianto sonoro è di servizio al sostegno delle voci e dei testi delle canzoni. Sicuramente nel mio immaginario ho omaggiato un certo tipo di cultura napoletana rielaborata attraverso il mio sound. Così io so che per quelle determinate linee di chitarra battente o di tammorre ho avuto l'opera di De Simone come riferimento alto, e per altre sonorità ho cercato un impianto armonico più vicino ai classici napoletani che avrebbe potuto reinterpretare per esempio Murolo, e cosi via passando da Carosone, a Pino Daniele fino agli Almamegretta. Ma questo lo sento io perché so che tipo di intento ho avuto di omaggiare quella parte di cultura partenopea che mi ha formato artisticamente. 7 – Hai avuto l’opportunità di presentare ‘Una Sceneggiata’ dal vivo già in tre occasioni (a Napoli, Milano e Roma). Hai in progetto nuovi appuntamenti a breve? Non vedo l'ora di portare questo concerto dal vivo questa estate sui palchi dei festival. Dal vivo questa storia la sento ancora più vibrante e potente. A Roma, ma anche a Napoli, alla fine del secondo brano Spacciatore c'è stato un boato in risposta alla nostra onda d'urto. Non vedo l'ora di ricreare quell'onda d'urto. Immagini gentilmente fornite dall'Ufficio Stampa dell'artista (Chiara Giorgi)
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Aprile 2023
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