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Scrocchiare le dita è considerato un ottimo metodo antistress, un modo per allentare la tensione e sfogare l’ansia, utile soprattutto nei momenti di più forte pathos, quando si stanno per affrontare prove importanti. È innegabile, tuttavia, che il gesto regali una sostanziale dose di soddisfazione, non solo per il rumore sordo che produce, ma anche per l’immediata sensazione di leggerezza che si avverte subito dopo averlo eseguito.
Si racconta, ad esempio, che il celeberrimo pianista Franz Liszt fosse solito scrocchiare le dita prima di ogni sua esibizione al pianoforte, era convinto che il gesto fosse in grado di rendere le sue mani più fluide e rapide sulla tastiera. Generalmente, tuttavia, pochi secondi dopo averlo fatto ci si domanda anche se faccia male alle nostre articolazioni, se possa in qualche modo provocare danni irreparabili. La risposta è no, non vi sono evidenze scientifiche del fatto che possa in qualche modo essere un gesto nocivo, per quanto non si possa nemmeno dire faccia bene.
Tutte le articolazioni del nostro corpo sono costituite da due o più superfici articolari che si interfacciano fra loro mediante l’interposizione di un liquido, definito liquido sinoviale che ha varie funzioni, fra cui quella di nutrire i tessuti circostanti e lubrificare le giunzioni articolari. Il sistema articolare viene inoltre completato dalla presenza di elementi come la capsula, tendini e legamenti con il ruolo di tenere insieme il tutto. Quando eseguiamo dei movimenti il fluido riduce la frizione fra le giunture, ma al tempo stesso rilascia dei composti gassosi che vanno a riempire gli spazi vuoti dell’articolazione formando delle bolle. In una condizione di massima pressione queste bolle esplodono, dando origine al caratteristico “crac” e a tante piccolissime bollicine che lentamente si riavvicineranno e riuniranno. Questo accade in non meno di 15/20 minuti e spiega perché sia necessario questo lasso di tempo prima di poter ri-scrocchiare l’articolazione.
Ci si è a lungo domandati se questo gesto potesse portare ad alterazioni degenerative delle cartilagini articolari (artrosi) o infiammazione delle stesse (artrite). Quel che è certo è che provocare forzatamente lo scrocchio può, se il movimento è innaturale, causare una temporanea infiammazione dell’articolazione con lieve gonfiore e dolore correlati. Mutazioni permanenti, tuttavia, sembrerebbero non esserci. I primi studi risalgono agli ultimi decenni del ‘900: nel 1990 sulla rivista “Annals of the Rheumatic Diseases” venne pubblicato uno studio secondo il quale questa abitudine più che portare ad artrite sembrerebbe connessa con l’insorgenza a lungo termine di rigonfiamento delle mani oltre che di riduzione della forza nella presa manuale. È stato un medico californiano, Donald Unger a indagare la questione con “metodo scientifico”: per circa sessant’anni ha scrocchiato le dita della sola mano sinistra, senza eseguire lo stesso gesto sulla sua mano destra e al termine dell’esperimento ha dichiarato di non rilevare differenze significative nella funzionalità delle due mani. Questa sua ricerca gli è anche valsa nel 2009 il premio Ig Nobel, assegnato annualmente agli autori di ricerche scientifiche originali e divertenti, capaci di suscitare l’interesse del pubblico generale nei confronti della scienza. Nell’anno successivo un altro studio sperimentale condotto su un campione di 215 persone ha dato un esito assolutamente imprevisto: sono stati riscontrati più casi di artrosi in coloro che non avevano fatto scrocchiare le dita piuttosto che in quelli che lo avevano fatto; esito, questo, che si pensa sia dovuto alla pura e semplice casualità. In attesa, quindi, di ulteriori e più approfondite ricerche in merito, forti della convinzione di non far nulla di lesivo per le articolazioni, buon “crac” a tutti!
Foto tratte da: http://whotv.com/2016/08/18/knuckle-cracking-is-actually-good-for-you/ https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Franz_Liszt_2.jpg http://archive.forumcommunity.net/?t=57760542
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Il periodo compreso fra l’ultima settimana del 2017 e la prima del 2018 ha visto una terribile impennata del numero dei casi di influenza: circa 12 persone ogni 1000 assistite si sono ammalate. Molti italiani hanno quindi salutato il nuovo anno con borse dell’acqua calda e termometri. Secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’inizio della sorveglianza epidemiologica ad oggi i casi accertati di influenza sono circa 3 milioni. È stato dunque raggiunto uno dei picchi d’incidenza più alti degli ultimi quindici anni, dopo la stagione influenzale 2009-2010, in cui si ammalarono 12,9 persone su 1000 e le 14,6 su 1000 dell’inverno 2004-2005. Fino ad ora sono stati accertati 170 casi gravi e 30 decessi! Alcuni ospedali hanno dovuto sospendere temporaneamente gli interventi chirurgici in elezione per far fronte al crescente numero di ricoveri a causa del virus influenzale. E il peggio sembra non esser ancora arrivato, essendo atteso proprio per questa seconda settimana di gennaio. Quest’anno sono 3 i ceppi virali responsabili dell’onda influenzale: B, A di tipo H1N1 e A H3N2. Di quest’ultimo non c’è ancora traccia in Europa. Nell’emisfero australe è risultato essere senza dubbio il più aggressivo poiché è mutato molto dall’inizio della stagione, rendendo futili molti degli interventi medici e farmaceutici. Fra l’altro, questo ceppo non era mai stato riscontrato prima del 1968 per cui molti anziani sono risultati scarsamente immuni a esso e questo ha portato complicanze molto più gravi. Bisogna, tuttavia, tenere presente che nel corso dell’anno, anche durante la stagione estiva, centinaia di virus differenti possono determinare infezioni respiratorie acute, ma l’influenza vera e propria spaventa di più perché è responsabile di sintomi generalmente più forti.
Si riconosce per quattro caratteristiche: 1. si diffonde quando la temperatura è piuttosto fredda e rimane tale per un po’; 2. la temperatura corporea in pochissimo tempo raggiunge e supera i 38°; 3. alla febbre si associano sempre sintomi generali, come dolori muscolari e articolari; 4. è correlata con sintomi respiratori. ![]()
Le linee terapeutiche da seguire, previa consultazione medica, prevedono in genere il ricorso in prima istanza ai farmaci da banco, acquistabili senza prescrizione medica, al fine di eseguire una sorta di automedicazione responsabile. Si tratta di medicinali sicuri ma che servono per il trattamento del sintomo: esistono farmaci per la febbre, per la tosse e altri combinati, che agiscono su entrambe. Naturalmente, il consiglio è quello di assumerli responsabilmente, sulla base della sintomatologia riscontrata e avvalendosi del consiglio del proprio medico/farmacista di fiducia, onde evitare spiacevoli interazioni con altri medicinali assunti. Se non si notano miglioramenti entro i classici 3/4 giorni bisogna poi ritornare dal medico di famiglia per procedere con l’eventuale terapia antibiotica e/o con approfondimenti diagnostici.
Come fare per evitare, nei limiti del possibile, il contagio?
-sottoporsi a vaccinazione: vaccinarsi abbassa il rischio di ammalarsi del 60% circa, oltre al fatto che riduce sensibilmente la circolazione complessiva del virus; -lavarsi frequentemente le mani: un possibile meccanismo d’infezione prevede il contatto con superfici infette e successivamente con occhi, naso o bocca; le mani potrebbero quindi essere un vettore del virus; -evitare le strette di mano; -porre l’incavo del gomito o un fazzoletto quando starnutiamo; -cercare di ridurre lo stress; mangiare in modo sano (dieta ricca di frutta, verdura e fibre); -mantenere il corpo idratato; -evitare gli sbalzi termici: essi vanno a inattivare temporaneamente la clearance mucociliare, sistema di difesa caratterizzato da uno strato di muco che si dispone sulle ciglia vibratili dell’epitelio delle alte vie aeree, costituendo una sorta di pellicola protettiva. Infine, nel caso in cui non si riesca a evitare il contagio, è fondamentale stare a riposo fino a completa guarigione per evitare sia sovrainfezioni batteriche che potrebbero essere responsabili di gravi complicanze, oltre al contribuire alla diffusione dell’influenza, fungendo da untore. Fonti: https://www.saluteparliamone.it/16682018/influenza-2018-la-peggiore-degli-ultimi-15-anni-difenderci/ https://www.youtube.com/watch?v=cfWJJ_INU9w Immagini tratte da: Kit influenza: https://it.depositphotos.com/135957920/stock-illustration-flu-treatment-colorful-doodle-elements.html Sintomi dell’influenza: http://www.dottoreacasa.com/category/servizi-a-domicilio/ Campagna di vaccinazione anti-influenzale Uniba: foto dell’autore
In pieno periodo di festività natalizie i brindisi in compagnia sono all’ordine del giorno e, un bicchiere dopo l’altro, non è affatto infrequente superare la dose di alcolici cui si è normalmente avvezzi.
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Prende il nome di binge drinking la condizione caratterizzata dal consumo occasionale di notevoli quantità d’alcol e conseguente perdita di controllo sul proprio comportamento in un arco di tempo relativamente ristretto (una festa, una serata in discoteca, etc…). Per un uomo questo significa l’assunzione di 5 o più unità alcoliche (Unità Alcolica=12 grammi di alcol puro). Per una donna invece si parla di superamento della soglia già dopo le 3/4 UA. Bisogna inoltre ricordare che 12 gr di alcol puro corrispondono all’incirca a una birra da 330 mL, un calice di vino da 125 mL o un bicchierino di superalcolico da 40 mL, quindi si intuisce immediatamente quanto sia semplice oltrepassare questo limite nell’arco di una serata, specie se ci si lascia condizionare dalla compagnia o dagli eventi senza riflettere attivamente.
Per comprendere appieno la pericolosità del superamento del limite di alcol consentito dalla legge bisogna far riferimento al metabolismo dell’etanolo. L’etanolo o alcol etilico viene assorbito in minima parte nella bocca, poi per il 25% nello stomaco e per il 75% nell’intestino, a livello di digiuno/ileo. La velocità di assorbimento dipende dalla presenza/assenza di cibo nello stomaco, generalmente viene tuttavia assorbito piuttosto rapidamente in virtù del basso peso molecolare della sostanza. Dopo appena dieci minuti dall’assunzione tracce di etanolo sono rilevabili a livello ematico e l’alcolemia (o concentrazione di alcol nel sangue) raggiunge il suo picco in circa 80/90 minuti. Ovviamente il passaggio nel sangue sarà tanto più rapido quanto più è elevata la concentrazione alcolica e quanto più risulta ridotto il tempo di assunzione: la stessa quantità, frazionata in dosi più piccole, bevute più lentamente avrà un tasso alcolico decisamente inferiore. Dallo stomaco e dall’intestino, tramite la vena porta, l’alcol viene condotto al fegato, dove mediante un enzima, la alcol deidrogenasi, viene trasformato in acetaldeide; questa viene poi ossidata e trasformata in acetato e l’acetato convertito in acqua ed anidride carbonica. Il metabolismo dell’etanolo ha numerose conseguenze sul nostro organismo: innanzi tutto porta ad un aumento dei trigliceridi nel fegato, poi, per eliminare l’eccesso di grassi, il fegato promuove la produzione e l’accumulo di corpi chetonici, questo porta da una parte ad un abbassamento del pH ematico (acidosi metabolica) e dall’altra un aumento della concentrazione di chetoni nel sangue e nelle urine con conseguente malessere generalizzato, cefalea, nausea, vomito. L’etanolo diffonde rapidamente in diversi organi grazie alle sue dimensioni ridotte, e, dal momento che si muove per via ematica, ovviamente quanto più un organo è vascolarizzato, tanto prima ne risulterà bersaglio, per cui gli organi raggiunti più rapidamente saranno il fegato, il cuore, l’encefalo ed i reni. Il fegato, come è stato sottolineato, è l’organo in cui si svolgono le trasformazioni della totalità dell’alcol introdotto. Per quanto concerne gli effetti dell’etanolo sul sistema cardiocircolatorio possiamo dire che conduce ad un aumento della pressione arteriosa (ipertensione sistolica e diastolica), mentre l’assunzione di dosi eccessive per un periodo di tempo prolungato, può portare ad alterazioni permanenti del ritmo cardiaco (aritmie) o perfino alla cardiomiopatia alcolica, condizione patologica caratterizzata da una dilatazione del cuore con riduzione della sua capacità di contrazione. Le conseguenze più evidenti ed immediate sono tuttavia rilevabili a livello del sistema nervoso su cui l’alcol ha un’azione deprimente, porta alla difficoltà di espressione, di interazione con gli altri, di coordinazione dei movimenti con relativa perdita dell’equilibrio. Per quanto riguarda, invece, le fasi iniziali di euforia e perdita dei freni inibitori si pensa siano dovute ad una inibizione di alcuni centri sottocorticali piuttosto che alla stimolazione diretta della corteccia stessa. Ma l’effetto forse più significativo e pericoloso prodotto dall’alcol a livello encefalico consiste nella perdita della capacità di pensiero e di giudizio che facilita comportamenti a rischio come cadute, traumi, atti illeciti o incidenti stradali. In Europa è attribuibile all’uso sconsiderato di alcol il 25% dei decessi di giovani fra i 15 ed i 29 anni, percentuale davvero elevatissima. Per questo è fondamentale attenersi alla legge e non superare i limiti imposti, perché “tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto”
Fonti:
[http://www.lucianoschiazza.it/documenti/Alcolismo.html] Immagini tratte da: Immagine 1 [http://it.blastingnews.com/salute/2017/04/alcol-si-beve-di-meno-ma-fra-i-giovani-spopola-il-binge-drinking-001624559.html] Immagine 2 [http://smp1993.it/tradizioni-di-capodanno/] Immagine 3 [https://www.emaze.com/@AFIFTIFW/Le-figure-retoriche-in-pubblicit%C3%A0-e-in-fotografia.pptx-copy1] |
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Ottobre 2022
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