28/3/2018 Ascolta il tuo cuore: i sintomi da non sottovalutare per riconoscere tempestivamente un infartoRead Nowdi Enrica Manni Gli infarti rappresentano la principale causa di morte nei Paesi occidentali, ma oggi ci sono approcci terapeutici in grado di salvare vite umane e prevenire le disabilità che ne derivano. Qualsiasi trattamento si scelga di effettuare, tuttavia, risulta più efficace se viene iniziato entro un’ora dall’inizio dei sintomi. Un attacco di cuore (infarto del miocardio) si verifica quando un qualsiasi tipo di ostacolo blocca il flusso di sangue diretto a una parte del muscolo cardiaco: se il flusso sanguigno non viene ripristinato in tempi brevi, la sezione del cuore interessata risulta danneggiata dalla mancanza di ossigeno e comincia a morire. Gli attacchi cardiaci si verificano soprattutto a causa di una patologia chiamata aterosclerosi: diverso materiale lipidico (grasso) si accumula nel corso degli anni lungo le pareti interne delle arterie coronariche (le arterie che forniscono sangue e ossigeno al cuore) fino a formare una vera e propria placca aterosclerotica. Questa placca può ingrandirsi a punto tale da ostruire completamente il flusso di sangue a una determinata area del miocardio, oppure potrebbe accadere che una parte di questa placca si distacchi dalla regione di formazione, si accresca e andando in circolo vada a bloccare l’afflusso di ossigeno e nutrienti alla regione “servita” da quell’arteria coronarica. Se l’ostruzione non viene prontamente rimossa durante un attacco di cuore, aumentano le probabilità che il paziente perda buona parte dei miocardiociti di quell’area non irrorata adeguatamente e che essi vengano sostituiti da tessuto cicatriziale non adeguato a sostenere l’intensa attività di contrazione e rilassamento svolta in ogni secondo dal nostro cuore, con danni funzionali di intensità variabile a seconda dei singoli casi. Per questo è importante imparare a riconoscere quantomeno i sintomi più comuni e più frequenti dell’infarto, in modo tale da allertarsi in tempo utile per poter intervenire quanto prima ed evitare quindi le conseguenze più drammatiche. 1) Primo importantissimo sintomo è, naturalmente, il dolore toracico. Il dolore toracico dell’infarto è un dolore particolare, localizzabile in sede retrosternale, quindi più o meno al centro del torace e può essere sia di tipo costrittivo (come se ci fosse un peso sul petto) oppure di tipo trafittivo (come se si trattasse di una pugnalata). È importante inoltre considerare l’estensione e l’irradiazione del dolore, perché per esempio il dolore infartuale può estendersi anche a livello epigastrico, poco più in basso della regione sopracitata e in questo caso potrebbe essere confuso con un intenso mal di stomaco, sintomo invece di una possibile ulcera gastrica o peptica, con cui andrà posto in diagnosi differenziale. Può irradiarsi verso l’alto fino a livello mandibolare, alle spalle, posteriormente a livello interscapolare e lateralmente al braccio sinistro. 2) Dispnea, ovvero l’irregolarità degli atti respiratori, la cosiddetta “fame d’aria”. Qualcuno l’ha definita “asma cardiaco” perché anche nell’asma, per quanto si tratti di patologie con eziopatogenesi ben distinta, si hanno notevoli difficoltà respiratorie; in questi casi però la dispnea non è di competenza pneumologia, ma cardiologica. 3) Edemi: sono, per definizione, accumuli di liquidi nel tessuto sottocutaneo che si manifesta generalmente con gonfiore della regione in cui l’accumulo si localizza. Nei pazienti cardiologici gli edemi sono per lo più declivi, ovvero presenti nelle zone declivi del corpo, come le caviglie che possono apparire particolarmente gonfie, tanto da fornire un esito positivo al cosiddetto segno della fovea: effettuando una digitopressione intensa e sottraendo subito dopo il dito, permane il segno dello stesso. 4) Cardiopalmo, la sensazione di avvertire alcuni battiti più accelerati. In alcuni casi questa sensazione può essere assolutamente fisiologica, come ad esempio quando un soggetto si agita o si innervosisce, in altri invece può rivelare un’alterazione del ritmo di contrazione del cuore. 5) Astenia: debolezza e stanchezza generalizzata 6) Nicturia cioè lo stimolo a urinare più volte durante la notte 7) Sudorazione: prima di un infarto molti pazienti manifestano una diffusa sudorazione fredda, senza aver compiuto alcuno sforzo fisico, quindi senza causa apparente e hanno un volto estremamente pallido, bianco come un lenzuolo 8) Tosse e/o altri sintomi simil-influenzali (nausea, gonfiore,…) che possono far pensare a una banalissima influenza stagionale, quando invece… In presenza di uno di questi sintomi, o ancor prima di due o più di essi, bisogna chiamare immediatamente il 118 e affidarsi al trattamento degli operatori sanitari competenti perché ogni minuto di ritardo nella diagnosi, ritarderà il trattamento e renderà la ripresa più complessa, con il rischio che, una volta conclusosi l’infarto in atto, permangano danni permanenti anche piuttosto gravi. Immagini tratte da: https://www.fotolia.com/id/106727798 http://www.my-personaltrainer.it/Foto/Infarto/Infarto_e_arresto_cardiaco.html http://www.howtoinstructions.org/early-warning-signs-of-a-heart-attack/
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di Enrica Manni ![]() Sono davvero tanti gli individui che, specie nel corso del riposo notturno, utilizzano la bocca piuttosto che il naso per respirare; alcuni lo fanno abitualmente, anche nel corso della giornata, ritenendo che respirare dal naso o dalla bocca sia “indifferente”. Non è propriamente così, d’altro canto, il naso, posizionato lì da madre natura, qualche funzione al di là del migliorare/peggiorare la nostra espressione facciale dovrà pur averla, altrimenti sarebbe bastata la bocca sia per svolgere funzioni legate alla fonazione, sia per quelle concernenti la respirazione…e invece così non è. Respirare con la bocca rappresenta un notevole pericolo per l’integrità di quella parte di apparato respiratorio costituito da trachea, bronchi e polmoni, nell’insieme definiti vie aeree inferiori, in contrapposizione alle vie aeree superiori che includono invece fosse nasali, cavo orale, faringe e laringe. Il naso dunque, nel corso dell’inspirazione, svolge molteplici funzioni che non possono essere svolte dalla bocca:
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Immagini tratte da: É il naso il protagonista della respirazione: https://www.youtube.com/watch?v=cX_STIOPIaw Faringite: http://www.ftmcuae.com/Condition/detailcondition/22 Vibrisse: https://www.youtube.com/watch?v=cX_STIOPIaw di Pietro Spataro Prendendo spunto dalla notizia di pochi giorni fa, uscita su Scientific Report (qui sotto solo un breve riassunto), voglio parlarvi degli Spheniscidae o più comunemente dei Pinguini e del rischio che stanno correndo. La notizia sopracitata, se non l'avete già letta in giro, riguarda la scoperta di una maxi colonia di pinguini di Adelia (Pygoscelis adeliae) all'interno dell'arcipelago delle Denger Islands dell'Oceano Antartico orientale. Il numero di esemplari, conteggiato mediante immagini satellitari prima a partire da Landsat (satellite gestito da NASA e US Geological Survey) e poi mediante satelliti commerciali, è da capogiro: circa 1,5 milioni di esemplari. Un numero così grande aumenta di molto il conteggio delle popolazioni odierne di questa specie a rischio di estinzione; mentre la comunità giornalistica fa festa, gli scienziati (zoologi e non) non sono altrettanto ottimisti. Le specie di pinguini che vivono in Antartide sono 5 e solo il numero di una di queste è aumentato. Non è però il numero attualmente esiguo di esemplari a spaventare gli esperti quanto la causa scatenante del suo decremento: le rapide trasformazioni degli habitat antartici.
Un altro lavoro, stavolta pubblicato su Nature Climate Change, riguardante studi genomici sui Pinguini Reali (Aptenodytes patagonicus) ci mostra come questa specie (e probabilmente le altre) sia molto sensibile ai cambiamenti climatici e in particolare alle variazioni delle correnti oceaniche e alla posizione del ghiaccio marino. I poverini possono però spostarsi quando le condizioni si fanno difficili, l’ultima volta è capitato 20 mila anni fa. Sfortunatamente le isole sono poche, lo spostamento richiede energie e la perdita di una buona porzione della colonia. A peggiorare il tutto: le modifiche climatiche attuali sono antropiche e non naturali e le velocità relative sono molto maggiori. I pinguini sembrano sensibili allo spostamento del Fronte Polare Antartico (APF) poiché proprio la posizione dell'APF determina la localizzazione delle acque antartiche più ricche di nutrienti. Tali acque sono il sostentamento non solo dei pinguini ma di quasi tutti gli organismi dell'habitat antartico. La posizione dell'APF si sposta sempre più a sud, obbligando i pinguini a vere e proprie traversate per cacciare i pesci da portare ai piccoli che a loro volta rimangono sempre più a lungo isolati e vulnerabili. I minimi dell'APF ipotizzati per il 2100 non sembrano dare alternative ai poveri pinguini: se le nostre azioni di surriscaldamento non saranno interrotte a breve, possiamo solo sperare nelle capacità d'adattamento di queste magnifiche creature. |
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Ottobre 2022
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