Quando, nel 1856, vennero trovate a Neander, in Germania, le ossa fossili di una nuova specie umana, pochi vollero credere di aver a che fare con un antenato dell’uomo. Quei resti mettevano i paleontologi dell’epoca, ancora poco inclini all’accettazione delle teorie evoluzioniste, di fronte a un’idea scomoda: quella che l’umanità moderna derivasse da una forma bruta, imperfetta, primitiva, secondo alcuni "mostruosa". Un bel colpo all’immagine della nobiltà dell’uomo, creatura privilegiata e superiore a qualunque altra, che attraversava la cultura occidentale fin dal medioevo. Per evitare l’imbarazzo, la scienza dell’epoca propose le teorie più fantasiose: c’è chi affermò di aver a che fare con un cosacco affetto da rachitismo morto durante le guerre napoleoniche e chi invece immaginò che quelle fossero le ossa di un criminale (come se fosse possibile dedurre la condotta di vita dai resti fossili). Ora, dopo più di 150 anni, sappiamo bene che quei resti appartenevano a una nuova specie umana (ribattezzata Homo neanderthalensis), che non solo non era affatto primitiva e deforme, ma che aveva convissuto con l’umanità moderna per più di 100.000 anni e di cui noi, ancora oggi, portiamo i geni nel nostro DNA. L’uomo di Neandertal visse in Europa e in Medio Oriente fra 350 mila e 30 mila anni fa. Si trattava a tutti gli affetti di individui appartenenti alla specie umana: camminavano in posizione completamente eretta, esattamente come noi; erano leggermente più bassi rispetto a Homo Sapiens (con un’altezza media di 160 cm), con gambe e braccia corte e tozze. In compenso, erano più robusti di noi: lo spessore delle ossa rivela che doveva trattarsi di individui molto forti, molto più di un uomo moderno. Avevano una fronte sfuggente e bassa e le arcate sopraccigliari robuste e prominenti. Possedevano quasi sicuramente un linguaggio complesso e alcune rudimentali forme di arte. La cosa che più colpisce è che il loro cervello era più grande del nostro: se nei Sapiens arriva ai 1300 cm³, la media dei Neanderthal era di 1600cm³. E’ molto probabile che i neandertaliani possedessero una cultura complessa e sviluppata. Producevano elaborati utensili di pietra, utili per la caccia e per la vita di tutti i giorni; conoscevano il cucito, e sapevano produrre indumenti di pelle con cui difendersi dal freddo. Seppellivano i propri morti, a volte utilizzando dei veri e propri rituali: nelle sepolture neandertaliane finora rinvenute i corpi sono disposti in posizione fetale, adagiati come se stessero dormendo, circondati da utensili e monili. Forse credevano in una vita oltre la morte, segno che possedevano una qualche forma di religione. Praticavano il cannibalismo, probabilmente a scopo magico o rituale, e vivevano in piccoli gruppi. Sembra che i neandertaliani possedessero una struttura sociale complessa: i resti fossili di individui morti in tarda età, spesso affetti da menomazioni e ferite anche gravi, lasciano immaginare che esistesse una forte solidarietà tra i membri della "tribù". Per migliaia di anni l’umanità moderna ha convissuto con questi nostri "cugini". In Europa e in Asia Neanderthal e Sapiens si sono incontrati e confrontati; hanno mischiato le loro culture, magari scontrandosi violentemente, forse convivendo pacificamente. Sicuramente i contatti fra le due specie sono stati frequenti. Nel nostro DNA rimangono ancora le tracce di questi incontri: in media, il 2% del corredo genetico delle popolazioni europee e asiatiche è formato da geni neandertaliani, che codificano gli aspetti più disparati: dalla resistenza al freddo al colore della pelle, dal sistema immunitario alla capacità di coagulazione del sangue, persino il rischio di depressione e la dipendenza da tabacco. C’è un mistero però: cos’è stato ad aver causato l’estinzione dei neandertaliani, 30 mila anni fa? Arrivare a una risposta certa sembra impossibile. Gli studiosi hanno avanzato varie teorie. Homo neanderthalensis potrebbe essersi estinto per la mancanza di risorse, a causa della concorrenza dell’uomo moderno, oppure essersi lentamente "esaurito" per colpa di una minore natalità. Di sicuro il nostro arrivo deve aver avuto un ruolo importantissimo nella fine della specie: lo scenario più inquietante (e forse più probabile) è che i neandertaliani siano stati sterminati dai Sapiens, più avanzati culturalmente e tecnicamente. Quel che è certo è che per agli albori della nostra storia è successo qualcosa di emozionante: abbiamo potuto (e dovuto) confrontarci con un’umanità diversa, non per questo meno "vera" della nostra. Avere coscienza di ciò va molto al di là del semplice dato scientifico: ci permette di riflettere su cosa davvero voglia dire essere umani (per un periodo lunghissimo non siamo stati i soli), e di ripensare (forse con un po’ più di umiltà e di consapevolezza) il nostro posto nel mondo. Immagini tratte da:
Neanderthal: flikr.com, foto: Paul Hudson Crani a confronto: da Wikipedia Frncese, Sapiens and Neanderthal comparison, hairymuseummatt (original photo), DrMikeBaxter (derivative work), voce "Homme de Néandertal" Ricostruzione e scheletro neandertaliano: da Wikipedia Inglese, By Photaro - Own work, CC BY-SA 3.0, voce "Neanderthal"
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Sono passati quarant'anni da quando, nel 1976, le sonde Viking 1 e Viking 2 ha inviato sulla Terra le prime immagini a colori della superficie di Marte; e quasi vent'anni da quando, nel 1997, il rover Pathfinder ha esplorato per la prima volta la superficie del pianeta rosso. Da allora, Marte è diventato la nuova frontiera dell'esplorazione spaziale. Non solo perché si tratta del pianeta esplorabile a noi più vicino (Venere, che si trova in un'orbita più interna, ha temperature proibitive a causa della sua vicinanza al Sole); ma soprattutto perché è sulla sua superificie che potrebbero trovarsi le tracce dell'esistenza di vita extraterrestre. Nel 2008 il Phoenix Mars Lander della NASA ha infatti rilevato la presenza di acqua ghiacciata; e lo scorso dicembre è stata annunciata la presenza di tracce di sali idrati, segno che in passato su Marte scorrevano probabilmente ruscelli di acqua salata. È probabile che milioni e milioni di anni fa la vita avrebbe potuto non essere stata una prerogativa esclusiva del nostro pianeta. Non stupisce quindi che la maggior parte dei progetti di esplorazione spaziale dei prossimi anni siano indirizzati verso l'esplorazione del pianeta rosso. Il progetto ExoMars, finanziato dall'ESA (l'agenzia spaziale europea) e dalla Roskomos (l'ente spaziale russo), è uno dei più ambiziosi. L'Italia ha avuto un ruolo di primissimo piano nella realizzazione del progetto: oltre che esserne il primo finanziatore è anche il principale fornitore degli strumenti e della tecnologia utilizzata. Un'ottima notizia, in tempi in cui la ricerca scientifica viene considerata il fanalino di coda del nostro Paese. Lanciata a marzo di quest'anno, l'arrivo a destinazione della sonda ExoMars è previsto per ottobre. L'obiettivo è di studiare da vicino l'atmosfera di Marte alla ricerca di gas (come il metano) che potrebbe aver a che fare con la presenza di vita sul pianeta, e di monitorarne le condizioni climatiche. La missione entrerà nel vivo nel 2018, quando verrà inviato sul pianeta rosso un rover, con il compito di andare alla ricerca di tracce organiche nel sottosuolo. La speranza è quella di riuscire a trovare, finalmente, le tracce di forme di vita elementari (batteri, virus, microbi) che avrebbero potuto essersi sviluppate su Marte quando l'atmosfera permetteva ancora la presenza di acqua liquida sul pianeta. ExoMars è solo la prima tappa del programma di esplorazione di Marte messo a punto dell'ESA. Tra il 2020 e il 2022 è infatti prevista la missione Mars Sample Return: le sonde inviate sulla superficie del pianeta verranno riportate (per la prima volta nella storia) sulla Terra con campioni di suolo e atmosfera da poter studiare in laboratorio. E nel 2030, con il progetto Aurora, è prevista la prima missione umana sul pianeta rosso: un evento storico, che segnerà una nuova era nell'esplorazione del sistema solare. Se le missioni ExoMars rappresenteranno una tappa importantissima per la conoscenza di Marte e per la ricerca di vita extraterrestre, c'è chi ha pensato di realizzare qualcosa di ben più fantascientifico e (onestamente) bizzarro. Mars One, un'organizzazione privata no profit, ha avviato un programma che ha lo scopo di stabilire una colonia umana permanente sul pianeta rosso. La tabella di marcia prevede l'invio del primo gruppo di quattro volontari nel 2026. Sul sito dell'associazione è possibile candidarsi per entrare a far parte dell'equipaggio, e sostenere il progetto attraverso donazioni. La comunità scientifica ha già bollato il progetto come irrealizzabile, eppure Mars One non sembra volersi tirare indietro. Una cosa è certa: il futuro dell'esplorazione umana dell'universo passa attraverso Marte. E, con un po' di fortuna, forse scopriremo di non essere stati soli nell'universo. Immagini tratte da:
Veduta di Marte da pathfinder: Wikipedia Inglese, Public domain, voce "Mars pathfinder" Marte visto dal telescopio Hubble: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_85.html Tappe dell'esplorazione di Marte: http://www.nasa.gov/content/nasas-journey-to-mars «Beverei prima il veleno Che un bicchier che fosse pieno Dell'amaro e reo caffè» Scriveva così Francesco Redi, medico e letterato aretino, sulla bevanda tanto amata dagli italiani e dal resto del mondo agli albori della sua diffusione, nel XVII secolo. Con il passare del tempo sono nati numerosi modi di prepararlo e gustarlo: al bar, a casa,con moka, corto, lungo, macchiato, decaffeinato, corretto, shakerato, in ghiaccio… ma esiste un tipo di caffè ancora più particolare: il caffè dello studente. Il suo nome deriva dall’utilizzo che gli studenti ne fanno per rimanere svegli durante la notte a studiare. Per prepararlo si inserisce nel serbatoio della moka, al posto dell’acqua, del caffè preparato precedentemente. Ma funziona realmente? Sono tantissime le dicerie che girano attorno a questa famigerata bevanda: c’è chi asserisce di non dormire per notti intere, chi avverte mal di stomaco, chi ha ancora la lingua nera…ma andiamo con ordine! La 1,3,7-trimetilxantina (no, non è una bestemmia!) è nota come caffeina. Si tratta di un alcaloide presente naturalmente in alcune piante quali il caffè, il tè, il cacao, il mate, la cola e il guaranà. I principali effetti che ha sul nostro sistema nervoso, cardiovascolare ed endocrino sono:
Questi due effetti contribuiscono a farci rimanere svegli e attenti. La particolare preparazione del caffè dello studente, quindi, dovrebbe servire proprio ad accentuare queste due proprietà della caffeina.Tuttavia non si è tenuto in considerazione un piccolo particolare: la chimica! ![]() Cerchiamo quindi di capire cosa succede nella caffettiera. Ecco: abbiamo preparato la nostra fedelissima moka inserendo nel serbatoio un caffè al posto dell’acqua. Abbiamo acceso il fornello e stiamo aspettando.Con l'aumentare della temperatura, l’aria presente nel serbatoio aumenta la propria pressione ed, espandendosi, spinge il caffè che risale nel filtro.Il punto cruciale di tutta la faccenda sta nell’evaporazione. Se l’acqua presente nel caffè evapora, la caffeina rimane sul fondo, nel serbatoio. Questo vuol dire che quello che doveva essere una bevanda con una dose maggiore di caffeina è solo un caffè dall’aroma intenso e dal gusto bruciato. A questo punto possiamo trarne le conclusioni: le presunti doti miracolose del caffè dello studente sono solo leggende! Se proprio volete rimanere svegli sarebbe preferibile bere più caffè al giorno. Occhio però a non esagerare! Un consumo di caffè eccessivo (più di 400 mg al giorno- circa 5 tazzine) porta ad un fenomeno conosciuto come caffeinismo. La caffeina, infatti, riduce l’assorbimento da parte del nostro corpo di alcune sostanze quali vitamina B2, calcio, ferro e creatina rendendoci irritabili, nervosi, tachicardici e insonni. Dosi ancora maggiori di caffeina sono tossiche e possono portare addirittura alla morte. Si è stimato, infatti, che la DL50 (Dose Letale media) negli uomini è di 150-200 mg/kg corrispondente a circa 80-100 tazzine di caffè. L’assunzione prolungata di moderate dosi di caffeina, invece, non provoca nessun problema per il nostro organismo. Come per tutte le cose, quindi, è preferibile non esagerare e bere (caffè) responsabilmente! Immagini tratte da:
-Chicchi di caffè: https://pixabay.com/ -Moka: da wikipedia Italia, Di Moka.steam.png: Sam Fentress (User:Asbestos)derivative work: Malyszkz (talk) - Moka.steam.png, CC BY-SA 3.0, voce "moka" Il sistema SI DO RE MI È difficile dare una definizione generale di autismo data la complessità e la varietà dei sintomi. Per questo motivo si tende a parlare di Disturbi dello Spettro Autistico che fanno parte, a loro volta, di una categoria clinica più ampia, ovvero quella dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo.Nei casi di autismo infantile si presenta come una grave compromissione delle aree dello sviluppo, soprattutto negli aspetti che riguardano la sfera relazionale e comunicativa.Il SiLAB, Laboratorio Segnali e Immagini dell’ISTI-CNR di Pisa che ha competenze consolidate nel settore dell’elaborazione e dell’analisi di segnali e immagini, ha sviluppato un sistema informatico che consiste in un insieme di dispositivi di rilevamento gestuale, di un calcolatore dotato di scheda audio e di un sistema di amplificazione sonora. ![]() Dopo una preliminare fase di sperimentazione il prototipo del sistema (chiamato SI RE MI in quanto ancora mancante della parte Domiciliare) è stato installato presso l’Istituto Comprensivo Massarosa 1, presso il quale è stato utilizzato per due stagioni scolastiche consecutive (2011-2012 e 2012-2013) in una serie di sedute di trattamento rieducativo curate dalla Prof. Elisa Rossi. Il software, sviluppato interpreta i dati provenienti dai dispositivi di rilevamento e produce suoni di vario genere ad esse correlati, il meccanismo di riconoscimento basato sulla telecamera è stato sostituito da un'altro basato sul sensore Microsoft Kinect, tale sensore è in grado di rilevare la posizione tridimensionale di 20 punti caratteristici del corpo umano, corrispondenti in pratica alle estremità degli arti e alla varie giunture. Il Kinect è stato affiancato da sensori piezoelettrici posti sotto la pedana dello spazio di azione, in modo da rilevare con maggiore precisione e minor latenza i movimenti dei piedi. ![]() Il sistema è stato installato in un ambiente allestito opportunamente in modo che fosse isolato dall’ambiente scolastico, il più possibile caldo, accogliente e rassicurante. Il Sistema Domiciliare di Rieducazione Espressiva del Movimento e dell'Interazione (SI DO RE MI) ha come obiettivi quindi quelli del movimento espressivo cioè finalizzato ad interagire con l’ambiente, tale idea è stata motivata da alcuni punti fondamentali. 1-Il movimento espressivo è finalizzato a interagire con l’ambiente e l’altro da sé oggettuale e non. 2-Il movimento porta verso un’interazione comunicativa il più possibile efficiente ed efficace. 3-Attraverso la percezione del suono relazionato al movimento (auditory feedback) si facilita la consapevolezza del proprio corpo, aumentandone la capacità di interagire con il mondo. 4-Il potenziamento dell’esperienza sinestetica potrebbe, grazie anche alla neuroplasticità, incrementare la ridotta attività dei neuroni a specchio (responsabili di imitazione ed apprendimento). Tale approccio perciò concentra il suo intervento su aree che nell'autismo sono frequentemente compromesse: 1. area della comunicazione, 2. dell'intersoggettività, 3. delle difficoltà sensoriali, 4. della reciprocità 5. condivisione con l'altro. Ovviamente tale dispositivo non "guarisce" i piccoli pazienti ma mira a migliorare le loro condizioni integrandosi con le metodologie già esistenti, rinforzando e sviluppando gli aspetti motivazionali centrali del Disturbo Autistico, in modo che possano relazionarsi con l'ambiente e con gli altri diminuendo comportamenti "non collaborativi". Immagini tratte da:
Logo del progetto, da sidoremi.isti.cnr.it/img/logo_text.png La Prof.ssa Rossi, da i.ytimg.com/vi/d8UiWvGk0Co/mqdefault.jpg Schema del Sistema SI DO RE MI, da sidoremi.isti.cnr.it/img/sidoremi.png Enti ed Istituti coinvolti, da sidoremi.isti.cnr.it/ Ogni volta che finiamo i giga disponibili per la connessione dati sul telefono o abbiamo problemi con il Wi-Fi, sprofondiamo in un baratro. Siamo spaesati, confusi, annoiati…un po’ come quando il treno arriva in orario. Perché Internet, ormai, è al centro della nostra esistenza. Le informazioni viaggiano alla velocità della luce, siamo connessi contemporaneamente da ogni parte del mondo e con ogni parte del mondo. Ognuno di noi, almeno una volta nella vita si è posto il quesito dei quesiti: quando è iniziato tutto questo? Era il 30 Aprile del 1986 quando venne realizzata la prima connessione Internet da Pisa, sede del Centro nazionale universitario di Calcolo elettronico (CNUCE- oggi Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni, CNIT). I fautori, quelli che oggi dobbiamo ringraziare, furono Luciano Lenzini, responsabile del progetto, Stefano Trumpy, direttore del CNUCE, e Antonio Blasco Bonito, informatico, che dopo 16 anni di lavoro (di cui gli ultimi 6 passati a combattere con la burocrazia) riuscirono ad attivare il primo nodo italiano di Internet: dalla sede del CNUCE partì un comando-messaggio Ping, un pacchetto dati di pochi bit. Il comando Ping serve a verificare la connessione tra due dispositivi inviando un pacchetto dati da un terminale all’altro. In gergo tecnico si usa dire che la macchina verso cui si fa il ping risponde con “pong”, immaginando che il pacchetto di informazioni spedito sia come una pallina da ping-pong. La “pallina da ping-pong” partì così da Pisa, viaggiando attraverso un cavo della SIP fino all’antenna parabolica di Telespazio del Fucino, in Abruzzo, per poi essere inviata al satellite Intelsat IV che lo recapitò oltreoceano ad una stazione satellitare. È da questa stazione, a Roaring Creek, in Pennsylvania, che si ottenne proprio un rimbalzo pong: un semplicissimo “Ok”. L’Italia fu così connessa per la prima volta ad Arpanet, rete dell'agenzia per i progetti di ricerca avanzata, con una velocità di trasferimento dati pari a 64 Kb. Per l’epoca, era una velocità elevatissima. Quello iniziato nel 1970 e durato sedici anni non fu affatto un percorso semplice. La burocrazia italiana non smentì le voci che correvano (e corrono tutt’oggi) sulla propria lentezza. Il problema iniziale fu infatti quello di siglare un accordo con SIP che permettesse il collegamento tra il CNUCE e l’antenna del Fucino. Inoltre, tutti i nodi internet europei dovevano dotarsi di un nuovo sofisticato gateway, il Butterfly gateway, che l’Italia ottenne solo grazie all’aiuto finanziario del Dipartimento della Difesa USA. Finalmente, dopo 16 anni, l’Italia creò la prima maglia di quella che sarebbe diventata una vastissima ragnatela mondiale…a descriverla così sembra semplice. Un altro aspetto curioso fu la reazione della stampa: silenzio assoluto! La notizia non destò alcun interesse da parte dei media. Anni dopo Luciano Lenzini descrisse così l’accaduto: “Tutte queste vicende però emozionavano soltanto me e pochi altri addetti ai lavori. A livello stampa fu poi un vero disastro! Nonostante fosse stato emesso un comunicato, nessun quotidiano riportò la notizia”. Certo, è risaputo che queste notizie destano interesse solo tra gli appassionati, ma nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo 30 anni dopo con la diffusione di Internet! Ebbene sì, ci sono voluti 30 anni affinché la notizia fosse sotto i riflettori. Il 30 Aprile 2016, l’Università di Pisa, il CNR e il Comune di Pisa hanno voluto celebrare quel glorioso momento apponendo una targa commemorativa all’entrata della vecchia sede del CNUCE, in via Santa Maria 36. Tutto il mondo è esploso con l’organizzazione di ben 1178 eventi volti a ricordare la quarta connessione europea alla rete mondiale, dopo Norvegia, Regno Unito e Germania. Ah, se solo ci fosse stato Internet 30 anni fa.. Immagini tratte da: - Immagine 1 da www.unipi.it/images/DSCN0460.jpeg - Immagine 2 da i.ytimg.com/vi/lo2SALvUS5o/maxresdefault.jpgj Quello che resta. Il peso della memoria. Durante la notte del 26 Aprile 1986 iniziò la fusione del nocciolo del reattore numero 4 della centrale di Chernobyl il più grande disastro nucleare della storia dell'umanità, un danno 100 volte maggiore rispetto alle bombe rilasciate su Hiroshima e Nagasaki. L'acqua di refrigerazione del reattore a seguito di errori nella gestione del test di sicurezza eseguiti sul reattore 4 della centrale si scisse in Idrogeno ed Ossigeno provocando la rottura delle tubazioni. L'idrogeno fuoriuscito a sua volta entrando in contatto insieme all'aria con le barre di grafite incandescenti del nocciolo provocò una forte esplosione scoperchiando il rettore e dando luogo ad un incendio. La prima rilevazione delle particelle radioattive gamma ed X vicino al reattore 4 fu di circa 2080 Rontegen (unità di misura non più utilizzata nel SI), migliaia di volte superiore alla norma, un essere umano sarebbe morto in 10 minuti di esposizione. Venne impiegato l'esercito nei primi giorni per tappare il coperchio del reattore 4 esploso, l'aviazione russa riversò tonnellate di sabbia e acido borico per abbattere le radiazioni. Circa 10000 minatori operarono per scavare un tunnel dal reattore 3 sotto il reattore 4 dove avrebbero dovuto costruire una stanza alta due metri e larga 30 metri dove poi si sarebbe dovuto inserire un dispositivo di refrigerazione del nocciolo del reattore 4 in modo da scongiurare la seconda possibile esplosione che avrebbe reso inabitabile l'intera Europa. ![]() Per far fronte a tale emergenza vennero create le brigate dei "LIQUIDATORI" gli eroi di Chernobyl, personale civile e militare che eseguirono tre funzioni principali :
Quando le macchine furono messe fuori uso dalle radiazioni, ci fu bisogno dell'impiego umano: questi ragazzi riservisti dell'esercito russo furono denominati "BioRobot", erano ricoperti da una tuta speciale che pesava circa 30 kg per proteggersi dalle radiazioni. Il livello delle radiazioni sul tetto dove operarono i militari si aggirava intorno ai 10000-12000 Rontegen, i 3500 soldati impiegati potevano lavorare al massimo per 45 secondi. Riuscirono ad eliminare le scorie di grafite proveniente dall'esplosione del reattore 4 per poter continuare i lavori del sarcofago. ![]() Sette mesi dopo la prima esplosione furono portati a termine i lavori di bonifica e del sarcofago, un grande successo per l'umanità pagato con migliaia di vite. Il deterioramento del primo sarcofago ha portato alla progettazione e finanziamento del secondo sarcofago che conterrà il primo, un'enorme struttura i cui lavori sono iniziati il 13 Marzo 2012, finanziati da 25 paesi tra cui l'Italia. Il nuovo sarcofago è alto 110 metri (17 metri più della Statua della Libertà), lungo 164 e largo 257 metri dal costo finale stimato in un miliardo e mezzo di euro. Viktor Zalizetskyi, responsabile del progetto, ha dichiarato che l'NSC (New Safe Confinement)sarà completato entro la fine del 2017, sottolineando come la struttura sia destinata a durare almeno fino al 2100. Ancora nel cuore d'Europa dopo 30 anni dorme un gigante che sarà meglio non svegliare mai più. Immagini tratte da:
Centrale di Chernobyl Reattore Numero 4, da http://www.focus.it/site_stored/imgs/0004/008/chernobyl__2017.jpg Foto di un Liquidatore durante i terribili lavori a Chernobyl, da http://www.progettohumus.it/NonDimentica/Liquidatori/FotoLiquidaz/15.jpg Stemma dei liquidatori, da Wikipedia, Di Lamiot - Opera propria, CC BY-SA 2.5, voce "Liquidatori" Foto del nuovo sarcofago in costruzione presso la Centrale di Chernobyl, da http://www.focus.it/site_stored/imgs/0004/020/con_h_16.14461441.630x360.jpg |
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Ottobre 2022
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