di Enrica Manni Riflettendoci su un attimo verrebbe da dire che la respirazione sia un atto involontario, perché respiriamo in ogni singolo secondo della nostra vita ma non pensiamo continuamente a questo; eppure, prima di gonfiare un palloncino inspiriamo a pieni polmoni, volontariamente…quale è allora la risposta corretta a questa domanda? La respirazione in realtà è un atto in parte sotto il controllo della nostra volontà e in parte assolutamente involontario. Per prima cosa bisogna dire che respirare nasce dalla necessità dell’organismo di modulare la pressione parziale di ossigeno e di anidride carbonica presenti nel circolo sanguigno. Questi valori vengono recepiti da recettori periferici, definiti chemocettori, localizzati in corrispondenza dell’arco dell’aorta (in prossimità del cuore) e della biforcazione delle carotidi (nel collo, poco al di sotto dell’angolo della mandibola). Quando la concentrazione di ossigeno nel sangue si riduce rallenta anche il metabolismo cellulare e questo conduce alla chiusura dei canali del potassio, con conseguente accumulo di potassio a livello intracellulare che porta alla depolarizzazione della cellula stessa, con relativa apertura dei canali del calcio e rilascio di dopamina. Un processo simile, anche se non perfettamente identico, porta, in conseguenza all’aumento di CO2 nel sangue arterioso, al medesimo risultato. Le informazioni captate da questi recettori vengono trasportate tramite due nervi, il nervo vago per quanto riguarda i recettori carotidei e il nervo ricorrente per gli aortici ai centri di controllo della respirazione, a livello del tronco encefalico, dove abbiamo ben 4 centri che si occupano del controllo del respiro: ![]()
Quindi, sembrerebbe questo il centro di controllo di tutto il movimento “automatico”, involontario. Ma allora come si fa a inspirare profondamente prima di un’immersione? O come si può sbuffare svogliatamente quando ci si annoia? Per svolgere queste attività volontarie interviene l’encefalo, le afferenze corticali che possono o promuovere gli atti volontari, o adeguare la respirazione al nostro sistema limbico, emozionale…Avrete certamente notato che quando si prende un grosso spavento la respirazione accelera decisamente, no?! Altro caso in cui la frequenza respiratoria aumenta è in caso di svolgimento di attività fisica: generalmente prima dell’inizio della stessa il respiro si rileva assolutamente regolare, non appena tuttavia lo sforzo fisico ha inizio la frequenza degli atti respiratori comincia ad aumentare fino a raggiungere il massimo nel corso dello svolgimento e rimanendo tale fino al termine dell’attività. È possibile però che ancor prima dell’inizio dello sforzo alcune afferenze corticali, su stimolazione del sistema limbico/emozionale, promuovano l’accelerazione degli atti inspiratori ed espiratori anche se di fatto il soggetto è ancora fermo. Rispondiamo al quesito iniziale dicendo quindi che la respirazione è un atto involontario, ma qualora lo si desideri potrebbe altresì diventare volontario. Immagini tratte da: https://www.guiainfantil.com/videos/videoblog/como-inflar-un-globo-sin-aire-experimento-para-ninos/ Fiorenzo Conti, Fisiologia Medica, Vol. II, Milano, Edi.Ermes, 2003, p. 323 Potrebbe interessarti anche:
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di Pietro Spataro Fare luce sul cambiamento climatico è davvero complesso non per l’assenza di informazioni al riguardo ma, al contrario, per la troppa informazione. Potremmo definirla la sfida del 21° secolo, insieme alla lotta alla povertà e alla sicurezza internazionale. Partiamo dal principio: la temperatura della Terra è determinata da un delicato bilancio tra luce solare in arrivo e in uscita dal pianeta. A parte la radiazione UV a maggior energia che viene bloccata da parte dello strato d’ozono, il restante ultravioletto e la luce visibile provenienti dal Sole attraversano senza grossi problemi l’atmosfera. Dell’energia solare, 1/3 viene riflessa verso lo spazio mentre la restante viene assorbita dalla superficie terrestre e dalle acque. Questa verrà poi rilasciata radialmente come onda lunga o infrarosso. Gas atmosferici come anidride carbonica, vapore acqueo e metano, detti comunemente gas serra GHGs (greenhouse gasses), intercettano e bloccano la fuga di queste onde lunghe verso lo spazio. Senza di essi il pianeta sarebbe più freddo di circa 35 gradi, con una temperatura di -10° celsius ai tropici. A partire dalla rivoluzione industriale l’essere umano ha cominciato a bruciare combustibile fossile (carbone, petrolio e gas) per produrre energia. Questo processo libera carbonio in atmosfera sotto forma di anidride carbonica e metano. Aumentano così le concentrazioni di GHGs in atmosfera, l’energia solare intrappolabile e le temperature globali. Vari archivi naturali hanno permesso di ricostruire le variazioni climatiche nel passato geologico e si è visto come negli ultimi 50 milioni di anni il pianeta ha avuto un trend verso condizioni climatiche progressivamente più fredde; potremmo dire che “la Terra non è poi così tanto calda”. Questo processo di raffreddamento ha portato la formazione di calotte glaciali sull’Artico e l’Antartide e lo sviluppo di un permanente strato di ghiaccio marino sull’Oceano Artico. Da qui, studi paleoclimatici hanno dimostrato il legame tra aumento di GHGs in atmosfera e aumento delle temperature e viceversa. Le registrazioni del quantitativo di CO2 in atmosfera sono state effettuate dal 1958 grazie all’osservatorio posto sopra il monte Mauna Loa alle Hawaii. I registri mostrano un costante aumento di anidride carbonica anno dopo anno che a partire dalle 316 parti per milione (ppm) del 1958 ha raggiunto attualmente le 400 ppm. Possiamo poi affermare, grazie allo studio dei registri naturali, come le concentrazioni di anidride carbonica fossero 280 ppm prima della rivoluzione industriale e come il range di stabilità naturale si attesti tra i 180 e i 300 ppm. 80 ppm sono stati fin ora l’ago della bilancia tra un pianeta freddo e un pianeta caldo. Abbiamo quindi già sforato di 100 in poco più di un secolo mentre il pianeta ci avrebbe messo decine di migliaia di anni per farlo. Un paleoclimatologo, Bill Ruddiman, ha recentemente suggerito che l’essere umano ha modificato le quantità di GHGs in atmosfera molto prima della rivoluzione industriale, circa 7000 anni fa, trasformando irrimediabilmente l’equilibrio naturale. Quale supereroe ci può salvare ora? A questo proposito è stata creata la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, un ente col compito di produrre un accordo internazionale con l’obiettivo di ridurre le emissioni di GHGs. Il lavoro sfortunatamente è a dir poco complicato poiché 4/5 delle emissioni derivano dalla produzione d’energia, trasporti e processi industriali prodotti per lo più dai paesi industrializzati mentre 1/5 deriva dal disboscamento per agricoltura, allevamento e urbanizzazione imputabili ai paesi in via di sviluppo. Le aree verdi infatti sono serbatoi di CO2 e laddove si decide di disboscare si va a limitare tale processo. Incolpare questi paesi ha comunque poco senso pensando al fatto che Nord America ed Europa hanno disboscato allo stesso modo agli inizi del ventesimo secolo. La proiezione dell’Autorità energetica internazionale dice che nell’intervallo temporale tra il 2015 e il 2044 emetteremo mezzo trilione di tonnellate di CO2 in atmosfera, praticamente la stessa quantità che abbiamo emesso dal 1750 al 2015. Questo processo a carattere esponenziale è dato dallo sviluppo di paesi quali Cina, India, Sud Africa, Brasile, ecc… Ma anche se la Cina dal 2007 è il paese che emette di più, sono gli USA, gli Emirati, il Kuwait e il Qatar quelli con le maggiori emissioni pro-capite. Ciò che sarebbe utile comprendere è che i cattivi in questo caso sono i paesi industrializzati, quindi, siamo noi! Immagini tratte da: http://www.limesonline.com/effetto-serra/7736 https://www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends/ https://rainforests.mongabay.com/09-carbon_emissions.htm Potrebbero interessarti anche: di Enrica Manni L’esercizio fisico molto intenso è una delle situazioni più impegnative che l’apparato circolatorio debba affrontare in condizioni normali. La massa muscolare del nostro organismo ha una dimensione tale che, nel corso di uno sforzo fisico intenso, la gittata cardiaca (volume di sangue pompato dal cuore in un minuto) deve aumentare di 4-5 volte in un soggetto non allenato, di 6-7 volte nell’atleta per soddisfare appieno le necessità metaboliche dei muscoli in movimento. Il muscolo scheletrico a riposo riceve generalmente un flusso ematico pari a 3-4 mL/min/100 g di tessuto; questo valore tuttavia può aumentare considerevolmente raggiungendo i 100-200 mL/min/100 g di tessuto con picchi di 400 mL/min/100 g nelle cosce di atleti allenati per gare di resistenza. Naturalmente, perché questo aumento considerevole di flusso possa verificarsi, deve cambiare qualcosa rispetto alla condizione di riposo. In particolare, possiamo affermare che quando il muscolo è inattivo, alcuni dei capillari muscolari non sono perfusi, mentre durante un esercizio intenso tutti i capillari devono essere pervi. Questo meccanismo ha l’effetto di ridurre la distanza che l’ossigeno e i nutrienti devono percorrere per raggiungere le fibre muscolari in attività. L’imponente aumento del flusso ematico è dovuto principalmente a stimoli di natura chimica che esercitano un’azione diretta e vasodilatante sulle arteriole muscolari. Il primo stimolo è la carenza di ossigeno dovuta all’aumentata velocità di utilizzazione da parte del muscolo in attività. Questo stimolo provoca la vasodilatazione per due motivi: da una parte le arteriole non possono mantenere a lungo la contrazione in assenza di ossigeno; dall’altra la carenza di ossigeno provoca il rilascio di sostanze vasodilatatrici quali, ad esempio, l’adenosina, gli ioni potassio, l’adenosina trifosfato, l’acido lattico, l’anidride carbonica. All’inizio dell’attività muscolare, insieme ai segnali diretti ai muscoli per indurne la contrazione, i centri superiori del sistema nervoso centrale inviano segnali anche al sistema vasomotore per dare inizio all’attivazione generalizzata del sistema nervoso ortosimpatico e, al tempo stesso, per attenuare l’attività parasimpatica diretta al cuore. ![]() Questo provoca tre effetti fondamentali sulla circolazione:
L’aumento della pressione provoca anche una distensione delle pareti dei vasi che, insieme ai vasodilatatori rilasciati a livello locale e alla pressione sanguigna più alta, può incrementare il flusso ematico totale nei muscoli più di 20 volte rispetto al normale. Immagini tratte da:
Sport ed apparato cardiovascolare: http://corefusionpilatesperthblog.com.au/category/sport/ Aumento del flusso ematico in un muscolo in attività: foto dell’autore di Pietro Spataro Il problema delle plastiche in mare è sempre stato di dominio pubblico ma nessuno si aspettava di trovare grossi accumuli anche nel territorio Artico. Due ricerche, a distanza di un anno l’una dall’altra, riguardanti l’accumulo di plastica nel territorio Artico sfatano questo mito. La prima fu pubblicata su Science Advances l’aprile scorso e riguardava lo spostamento di plastiche galleggianti dall’Atlantico settentrionale all’oceano Artico. Questa ricerca, sviluppata da un gruppo internazionale di ricercatori rappresentati da Andrés Cozar (Università di Cadice), mostrava i risultati del campionamento di plastiche galleggianti tra la Scandinavia settentrionale e la Groenlandia e del monitoraggio del percorso delle plastiche all’interno del Nord Atlantico. Secondo questo studio le abbondanti plastiche provenivano dall’Europa settentrionale, dal Regno Unito e dalla costa orientale degli Stati Uniti. Anche se risultavano essere circa il 3% del totale delle plastiche galleggianti erano in ogni caso di primaria importanza vista la sensibilità dell’ecosistema marino polare. Questo lavoro fece quindi grosso scalpore poiché questa regione così remota era passivamente influenzata dalle lontane regioni densamente popolate. Ad approfondire questo scenario ecco un nuovo articolo sull’argomento uscito pochi giorni fa, il 24 aprile, su Nature Communications e scritto dai ricercatori dell’Alfred-Wegener-Institut per la ricerca marina e polare in Germania. Ilka Peeken (primo nome) e colleghi hanno infatti condotto delle campagne di carotaggio dei ghiacci artici per analizzare le quantità di microplastica presenti all’interno del ghiaccio marino. Le microplastiche sono frammenti di plastica aventi dimensioni tra i millesimi di millimetro e i 5 mm circa. La presenza di microplastica all’interno dei mari del pianeta è frutto di un grande numero di processi quali ad esempio il deterioramento delle plastiche e dei tessuti sintetici e l’alterazione dei pneumatici trasportati in mare grazie alle reti fognarie. Mediante l’uso di una nuova metodologia di analisi è stato possibile individuare particelle di microplastica dell’ordine di 11 micrometri di diametro (sei volte più piccole di un capello umano); mediante questo si è potuta contare la presenza di oltre 12.000 particelle di plastica per litro di ghiaccio. Questo nuovo metodo è stato vitale per il conteggio poiché il 67% delle plastiche intrappolate nel ghiaccio hanno un diametro inferiore ai 50 micrometri. Queste particelle, secondo lo studio, resterebbero intrappolate solo per pochi anni, tra i 2 e gli 11, il tempo necessario ai ghiacci per raggiungere lo stretto di Fram, luogo nel quale si ha la fusione di quest’ultimi e il rilascio delle microplastiche in acqua. Questi due lavori risultano quindi di primaria importanza per la comprensione del quantitativo di microplastiche presenti sul pianeta. Sarebbe altresì interessante conoscere la provenienza e il percorso grazie al quale queste microplastiche raggiungono l’Artico e quale è il fato una volta che la fusione del ghiaccio marino le ha liberate di nuovo in acqua. A futuri studi si spera sarà accostata una ricerca riguardante la risposta dell’ecosistema all’introduzione di queste plastiche, micro e non. Non ci resta che aspettare! Immagini tratte da: http://america.aljazeera.com/articles/2014/5/27/arctic-plastics-ice.html https://www.theguardian.com/world/2017/sep/24/arctic-plastic-pollution-polystyrene-wildlife-threat https://www.imperial.ac.uk/news/178771/floating-plastic-pollution-from-europe-us/ |
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