È indubbio che la scienza stia attraversando un periodo di profonda crisi di identità. Criticata e addirittura spesso osteggiata su ogni fronte, è divenuto chiaro che negli anni qualcosa sia andato storto nel rapporto fra cittadini e scienziati. Sia chiaro che qui non sto dando giudizi sulla qualità degli uni o degli altri. Quella dello scienziato è una professione, come lo è fare il medico, il meccanico, l’elettricista o il macellaio. Nessuna di queste figure è superiore alle altre, ma se avvertite un dolore al petto dubito vi rivolgiate al vostro meccanico, così come se aveste da cambiare i freni alla macchina non sarebbe il macellaio il primo a venirvi in mente. Nella maggior parte dei casi nessuno ha problemi a riconoscere l’esperienza, le conoscenze e le competenze di un professionista. Soprattutto se, per esempio, si rompe la lavatrice.
Per qualche motivo, lo scienziato, soprattutto nel campo bio-medico, ha invece perso agli occhi del pubblico questo status di professionista. Nell’era dei social, dove facebook e twitter hanno letteralmente sostituito la pubblica piazza, lo scienziato può apparire come un essere malvagio, corrotto o manipolato dalle case farmaceutiche/multinazionali/governo, ma anche un “dogmatico poco aperto alle nuove idee e che prende per buono tutto e solo quello che dice la Dea Scienza”, fino a raggiungere il top del top quando un medico (Burioni-sensei, se mi legge batta un colpo) può venir tacciato di dover studiare meglio cosa fanno i vaccini, e magari quel medico è un immunologo.
Ora, la vita di uno scienziato è abbastanza piena. Spesso passa fino a metà della propria giornata ad eseguire lunghi e noiosi esperimenti, il che lascia solo l’altra metà disponibile per fare altre cose, ad esempio, chiedersi perché quegli esperimenti non funzionino. Credo che sia però fondamentale ritagliarsi anche del tempo per riflettere su cosa sia la scienza, oltre una professione. Perché è chiaro che esista un problema di comunicazione fra la scienza e il resto del mondo reale che risulta poi nella perdita di fiducia del mondo reale per la scienza. Sento spesso lamentarsi del fatto che un po’ sia colpa degli scienziati stessi, chiusi nelle loro “torri d’avorio” a difendere un sapere settario e raggiungibile a pochi. Non sono d’accordo. Non c’è mai stata, storicamente parlando, tanta divulgazione scientifica come al giorno d’oggi. Solo su facebook e youtube è possibile imbattersi in innumerevoli pagine e canali che fanno ottima divulgazione per tutti i livelli di preparazione. Eppure questi canali di informazione sono alquanto ignorati da chi si lamenta della poca divulgazione, preferendo invece blog o siti dal dubbio valore scientifico, dove citare le fonti pare sia un lusso, che però offrono soluzioni semplici a problemi complessi.
La mia personale opinione riguardo la situazione è che non siamo più educati alla complessità. Lo siamo a tal punto da non riuscire nemmeno a capire il livello di complessità di un problema. Si confondono coincidenze temporali con rapporti di causa effetto, siamo disposti ad accettare che l’acqua possa avere una memoria, arriviamo a voler dire tutti quanti la nostra su di un tema scientifico in nome della “libertà di poter esprimere la propria opinione”. Tutto perché siamo portati a credere che risolvere un problema scientifico sia semplice come può essere semplice individuare in che verso inserire una chiavetta USB nella sua porta; notare che questo esempio rispetta abbastanza bene il ragionamento scientifico: c’è una tesi di partenza (esiste un verso che permette di inserire la chiavetta), si formulano ipotesi (quale sia il verso giusto), si verificano le ipotesi con degli esperimenti (si inserisce la chiavetta per vedere se il verso scelto sia giusto), si raccolgono i risultati (inserisco la chiavetta, non entra; la giro, non entra lo stesso; la giro nuovamente, la chiavetta entra), si formula una teoria che spiega il fenomeno (la chiavetta USB esiste in uno spazio quadri-dimensionale). Applichiamo il metodo scientifico nella risoluzione di problemi più spesso di quanto pensiamo, nella vita di tutti i giorni. La differenza fra il trovare il verso in cui entra una chiavetta USB e lo scoprire le cause di una malattia sta infatti non nel metodo, ma nel livello di complessità dato dalle variabili in gioco, che nel caso di una malattia sono infinitamente di più.
Tempo fa un fortunatissimo post del sovracitato Burioni ha riportato in auge la frase “la scienza non è democratica”. Burioni ha ragione al 100%, ma capisco come dichiarazioni del genere possano inasprire il dibattito, soprattutto allontanare ancora di più proprio quelle persone che sentono di voler dire la loro, pur non avendone i mezzi, e che si sentono sminuite dal sentirselo dire.
Ribadisco quindi la necessità di “educare alla complessità”, in contrasto al tipo di informazione episodica e semplicistica fatta spesso anche da testate nazionali. Si pensi ai titoloni “SCOPERTA MOLECOLA CHE UCCIDE I TUMORI”, “TROVATO L’INTERRUTORE DELL’ALZHEIMER” e così via. Dopo questo lungo preambolo si arriva al dunque della questione. Un buon modo per “educare alla complessità” può essere quello di conoscere “veramente” in cosa consiste il metodo scientifico, perché sia così potente e il modo migliore che abbiamo a disposizione al momento per interpretare la realtà, ma soprattutto, in che modo viene utilizzato per arrivare alle risposte che trova. Nei miei prossimi articoli cercherò quindi di spiegare i vari aspetti di questo affascinante metodo, che nella sua eleganza può essere considerata una delle più alte espressioni del pensiero umano che tenta di conoscere la natura delle cose. Partirò con un po’ di storia del pensiero scientifico, fino ad arrivare alla formulazione dei due grandi metodi, induttivo e deduttivo, di cui poi entrerò nel dettaglio del secondo, in quanto quello attualmente in uso. La prossima volta si parlerà di storia della scienza! Stay tuned! Immagini tratte da: 1-https://us.123rf.com/450wm/kzenon/kzenon1108/kzenon110800249/10260906-woman-in-a-supermarket-at-the-vegetable-shelf-shopping-for-groceries-a-shop-assistant-is-helping-her.jpg?ver=6 2-http://media.ifunny.com/results/2016/05/23/iq5th74uho.jpg 3-https://lh6.googleusercontent.com/-Bmy7lWOcK0s/Ttq57d8upBI/AAAAAAAADxI/_kweOfpbj9g/w500/usb-4d.png
0 Commenti
Una branca di studio molto interessante è la pedologia, una disciplina che si occupa di studiare i suoli. Cos’è un suolo? In un certo senso tutti sappiamo cos’è, poiché copriva la maggior parte delle terre emerse (prima della creazione di strade e cittadine), a esclusione di vette montane, ghiacciai e deserti.
Forse la nostra visione sull’argomento è però un po' ristretta: il suolo è una preziosa e fragile risorsa che riesce a sostenere quasi la totalità degli esseri viventi presenti sulle terre emerse. Questo corpo, assimilabile a una membrana sottile e semi-permeabile, presente tra la nuda roccia e l’atmosfera, è un immenso strumento di riciclo di nutrienti che dirige la maggior parte delle interazioni tra litosfera, idrosfera, biosfera e atmosfera. I suoli non sono sempre stati dove li troviamo adesso: sono il prodotto di lenti processi atti a riequilibrare le rocce presenti sulla superficie terrestre. Le rocce superficiali non sono originate dalle condizioni di pressione, temperatura e attività biologica che noi viviamo e per questo motivo subiscono un lento processo di alterazione fisica, chimica e biologica. Questi prodotti di alterazione non possono essere ancora chiamati suolo, poiché per poterlo definire tale gli ingredienti sono ancora molti. Abbiamo definito il suolo un serbatoio di riciclo proprio perché andrebbe inteso come un sistema aperto avente degli input, quali nutrienti provenienti dalla roccia madre (la roccia dalla quale si è originato gran parte del suolo); acqua proveniente dalle precipitazioni; gas provenienti anch’essi dall’atmosfera e dall’attività degli organismi; energia solare; materia organica e apporto di sedimenti da parte di vento e acque superficiali; e degli output, quali nutrienti presi in carico dalle piante o da altri organismi; nutrienti persi con la percolazione all’interno del suolo stesso da parte delle acque piovane; evaporazione delle acque e la perdita per erosione di parti del suolo stesso. Dal momento in cui un suolo inizia a crescere entrano in gioco vari meccanismi di modifica dei suoli stessi alle diverse condizioni climatiche e idrologiche che vengono detti processi pedogenetici. È lo sviluppo di tali processi comandati da clima, fattore biologico, geografico-topografico, roccia madre e fattore tempo che ha permesso la differenziazione dei suoli nelle diverse aree del mondo, rendendoli in qualche modo unici. Vorrei terminare questo articolo parlando di erosione dei suoli.
Come abbiamo già detto, l’erosione del suolo è uno dei processi naturali sopraelencati ma l’uso dell’agricoltura intensiva e dell’allevamento aumenta di centinaia di volte i tassi naturali di perdita di suolo. Con la perdita di suolo vi è anche perdita di nutrienti che attualmente vengono rimpiazzati grazie all’uso dei fertilizzanti. Tale operazione ha un costo enorme e viene pagato dall’ambiente con perdita di biodiversità e inquinamento delle falde acquifere.
Il costante aumento di domanda è a sua volta seguito da un aumento esponenziale nell’uso di fertilizzanti e pesticidi che diventano sempre meno efficienti. L’agricoltura convenzionale mediante l’uso di fertilizzanti e l’aumento dei tassi di erosione sta quindi minando lo sviluppo delle società umane future.
Immagini tratte da:
1 http://www.greenews.info/wp-content/uploads/2014/12/suolo12.jpg 2 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2016/01/deserto.jpg 3 crucified land alexandre hogue
Cosa hanno in comune omeopatia e vaccini.
Due mondi che sembrano all’apparenza completamente agli antipodi, potrebbero in realtà avere più cose in comune di quanto si pensi.
I vaccini sono lo strumento di medicina preventiva per eccellenza e hanno permesso, dalla loro prima formulazione, di debellare il vaiolo, di abbattere drasticamente la mortalità infantile e, grazie all’immunità prolungata, che spesso dura tutta la vita, di aumentare l’aspettativa di vita media. Grazie ai vaccini è possibile tenere a bada la maggior parte delle malattie infettive, soprattutto le più pericolose.
L’omeopatia è una pratica “pseudo-medica” (pseudo perché pratica non riconosciuta dalla medicina ufficiale) nata nell’800, che si fonda su due presupposti fondamentali: 1) la sostanza curante deve essere diluita. MOLTO diluita. Più è diluito, più un rimedio omeopatico è potente; 2) “Similia similibus curantur” ovvero “il simile cura il simile”.
Per capire quanto debba essere diluita una soluzione omeopatica, bisogna capire come viene preparata. Si tratta di un procedimento semplice e divertente che tutti potrete provare a casa vostra, e visto che i rimedi omeopatici non sono propriamente economici mi ringrazierete. Supponiamo di voler preparare una soluzione omeopatica di oscillococcinum. Per i neofiti, l’oscillococcinum è un rimedio omeopatico contro l’influenza, contente un batterio, l’oscillococco, di forma sferica e che oscilla ripetutamente, da cui il nome. In seguito si è scoperto che l’oscillococco non esiste: il medico che l’aveva scoperto era semplicemente poco bravo a montare i vetrini e quello che aveva osservato altro non erano che bollicine d’aria, e posso assicurare per esperienza diretta, che è qualcosa che accade più spesso di quanto chiunque si trovi a montare vetrini sia a suo agio ad ammettere. Torniamo alla nostra preparazione di oscillococco, nonostante la sua non esistenza. Quello di cui abbiamo bisogno a questo punto è di prendere fegato e cuore di anatra e sminuzzarli in 100ml d’acqua. Una volta sminuzzati i tessuti si procede alla “dinamizzazione”, ovvero si scuote il flacone energicamente e rigorosamente in senso verticale; dopodiché si svuota il contenuto del nostro flacone. Il liquido che rimarrà alle pareti del flacone costituisce circa l’1% della soluzione di partenza ed è esattamente la quantità che ci servirà per il passaggio successivo, che consiste nel riempire nuovamente il flacone con 100ml d’acqua. In questo modo abbiamo diluito la nostra soluzione di partenza di 100 volte. Si continua dunque con un nuovo ciclo di dinamizzazione, svuotamento e riempimento e si ripete il procedimento per 200 volte. La soluzione finale sarà così diluita da non avere nessuna possibilità di trovare nemmeno una molecola di principio. Ma non è questo il punto, l’omeopatia è più qualcosa di metafisico (sic) per cui ragionare in termini di principi attivi è fallace. I vaccini funzionano in maniera diversa. Tanto per cominciare non sono lontanamente complessi come un rimedio omeopatico. Anche la loro indicazione è diversa. I vaccini infatti servono a prevenire una malattia, inducendo uno stato di immunizzazione persistente. Questo stato viene ottenuto grazie alla presenza, solitamente, di batteri o virus “attenuati”. Un batterio, o un virus, attenuato, è un patogeno reso innocuo, per esempio, eliminando o danneggiando il suo DNA; non avendo quindi un patrimonio genetico funzionante, il batterio non può riprodursi e di conseguenza non può dare origine alla malattia. Nonostante questo però, rimane molto utile per il nostro sistema immunitario, che può riconoscere le proteine presenti sulla superficie del batterio, e quando questo avviene, si ha la proliferazione delle cellule immunitarie che producono gli anticorpi contro il batterio in questione. Queste cellule rimarranno in circolo nel corpo e costituiranno un’efficace prima linea difensiva nel caso l’organismo dovesse entrare in contatto successivamente con lo stesso patogeno. Le proteine sulla superficie dei batteri o dei virus, costituiscono per il nostro sistema immunitario, una vera e propria carta di identità la cui identificazione permette all’organismo di riconoscere e successivamente avere memoria di quel batterio o virus.
In un certo senso è quindi giusto definire il vaccino come un rimedio omeopatico. Certo non è ugualmente “potente” in quanto non abbastanza diluito, ma rispetta perfettamente il principio del “similia similibus curantur” in quanto per proteggere da una determinata malattia, si somministra una piccola dose del patogeno che la causa.
Una grossa differenza fra le due pratiche, “forse” la più grande, sta nei risultati ottenuti. Su questa pagina potete trovare la storia sintetica di come i vaccini abbiano permesso di sconfiggere malattie devastanti come il vaiolo, la difterite o la poliomielite: http://www.wikivaccini.com/storia-dei-vaccini.html Qui invece una lista completa di tutti gli studi scientifici condotti in doppio cieco che hanno dimostrato in maniera conclusiva l'efficacia dell'omeopatia: http://rationalwiki.org/wiki/List_of_Scientifically_Controlled_Double_Blind_Studies_which_have_Conclusively_ Demonstrated_the_Efficacy_of_Homeopathy N.B. si tratta di un articolo di sfida, se avete dati, studi, casi, che dimostrano che si possa curare una qualsiasi cosa con l’omeopatia, fatevi avanti. Probabilmente a Stoccolma c’è una medaglia che aspetta di essere incisa col vostro nome. Immagini tratte da: Figura1 da http://www.gamingrebellion.com/wp-content/uploads/2015/01/WildIsle-Ink-ScientistClose.jpg Figura2 da https://humorinamerica.files.wordpress.com/2015/06/court5.jpg Figura3 riadattata da “Siamo fatti così” episodio 6 “Il sistema linfatico”
Il Continente Antartico è ormai conosciuto da tutti ma spesso non ci rendiamo conto di quanto sia grande e inesplorato. Nei mappamondi è sempre difficile guardarlo perché il suo centro si trova proprio al Polo Sud e i planisferi tendono a proiettarlo fortemente deformato.
Le dimensioni si capiscono bene se la confrontiamo con altri territori che conosciamo meglio come, per esempio, l’Europa.
L’Antartide ha una superficie totale di 13.828.000 km2, si trova oltre il 60° parallelo sud e la copertura dei ghiacci raggiunge spessori di 4.776 m.
Questo continente non è sempre stato nella posizione attuale, in verità ha raggiunto il completo isolamento solo 30 Milioni di anni fa (guardando la cosa nell’ottica del tempo geologico, si tratta di un avvenimento molto recente), dopo essersi staccato prima dall’Australia e poi dal Sud America. Il distacco e l’isolamento dell’Antartide non è però cosa da poco e non ha influenzato solo il suo raffreddamento, poiché probabilmente ha modificato il moto delle correnti oceaniche che si occupano di trasportare quasi 1/4 dell’energia proveniente dal Sole (non sembra ma è tanto). Il continente Antartico è il posto più freddo al mondo, non solo perché riceve energia dal Sole soltanto in estate o perché la maggior parte di essa viene riflessa dal bianco dei ghiacci che la coprono quasi interamente: un altro motivo potrebbe essere la Corrente Circumpolare. Tale corrente circonda tutto il continente e lo isola dalle correnti termoaline oceaniche che trasportano acque calde dalle aree tropicali. L’Antartide è così immensa da essere bagnata da tre diversi oceani (Atlantico, Pacifico e Indiano) e ha una costa piuttosto regolare, interrotta da una lingua di terra detta Penisola Antartica e da due insenature, la prima in corrispondenza del Mare e della Piattaforma di Ross e la seconda in corrispondenza del Mare di Weddell. In media l’Antartide, grazie alla presenza delle calotte glaciali, ha un’altitudine di 2500 m ma in alcune zone tocca i 4700 m. Le continue ricerche hanno permesso di delineare la forma dei ghiacciai e del continente sottostante. Sono state suddivise due calotte principali: la prima, detta Occidentale, si appoggia sul fondale oceanico e su vari arcipelaghi di isole mentre la seconda, detta Orientale, risulta per buona parte appoggiata su terre emerse. Nonostante l’enorme spessore dei ghiacci, a volte fanno capolino enormi catene montuose che dividono i ghiacciai e limitano la morfologia pseudo-piatta del continente, tra le maggiori troviamo la Catena Transantartica che divide le due massime calotte.
Nella parte centrale del continente la presenza dei ghiacci determina la formazione di uno strato d’aria detto Strato D’inversione, caratterizzato da temperature più basse rispetto all’aria sovrastante (fatto molto particolare); questa peculiare stratificazione dell’aria permette la formazione dei Venti Catabatici, venti con velocità di 100-200 km/h che toccano in particolari luoghi anche i 300km/h.
Tali venti viaggiano dalle zone centrali verso la periferia del continente bloccando i cicloni che dal mare portano aria umida all’entroterra e limitando le possibili precipitazioni, per questo motivo in Antartide nevica molto raramente (a differenza del lontano Polo Nord), le minime in particolari aree restano al di sotto dei 50 mm/annui di precipitazione.
Il Continente Antartico potrebbe quindi essere definito un “bianco e ventoso deserto ghiacciato”.
Immagini tratte da:
http://www.mna.unisi.it |
Details
Archivi
Ottobre 2022
Categorie |