Negli anni ’70, l’antropologo Edmund Carpenter condusse degli esperimenti di “ecologia dei media” su una popolazione di uomini della Papua Nuova Guinea: l’etnia dei Biami. L’obiettivo di Carpenter era quello di filmare i papuani guardarsi per la prima volta allo specchio, in fotografia o in video, studiare le loro reazioni e infine valutare l’impatto dei media moderni sull’uomo.
Come riporta lo stesso antropologo, i Biami rimasero spiazzati quando si videro per la prima volta: “erano paralizzati, si coprivano la bocca con le mani e si toccavano la testa. Una volta che capirono di poter vedere la loro anima, la loro immagine, la loro identità al di fuori di sé stessi, rimasero stupiti” (Prins and Bishop 2000:207; Carpenter 1972: 129-30).
La reazione di stupore dei Biami (comune anche nei bambini alla scoperta dello specchio), viene spiegata da psicologi e antropologi come il prodotto dell’acquisizione di una nuova visione di sé, attraverso una prospettiva diversa. I Biami, grazie allo specchio, non solo scoprirono loro stessi, ma ottennero anche una maggiore autoconsapevolezza scoprendo come venivano percepiti dagli altri.
Ma cos’è esattamente l’autoconsapevolezza e qual è il ruolo dello specchio in questo processo?
A sinistra: Rita Kernn-Larsen – Autoritratto (Conosci te stesso), 1937
A destra: René Magritte – La riproduzione vietata, 1937
Per autoconsapevolezza, in inglese self-awareness, si intende il riconoscimento della propria esistenza e la capacità di riconoscere sé stessi come entità separata dall’ambiente e dagli altri individui. É stata definita da Philippe Rochat, Professore di Psicologia alla Emory University, "probabilmente LA questione essenziale della psicologia, sia relativamente allo sviluppo che da un punto di vista evolutivo".
Sebbene fino a qualche decennio fa si pensava che l’uomo fosse l’unica specie in grado di riconoscersi allo specchio, oggi sappiamo che non è così. Nella lista di animali che posseggono questa capacità troviamo: bonobo, scimpanzé, orango, tursiope, orca, ma anche elefante asiatico e persino la gazza ladra. ![]()
E la lista si sta allungando. Recentemente, un gruppo di ricerca dell’Università di Pisa si è chiesto se anche i cavalli avessero questa capacità: “per ora non possiamo dire un categorico SI dal momento che il nostro è stato uno studio pilota che ha coinvolto 4 cavalli” spiega alla redazione de Il Termopolio Elisa Demuru, coautrice dello studio insieme a Paolo Baragli, Chiara Scopa ed Elisabetta Palagi. “I nostri risultati vanno però verso una risposta affermativa perché alcuni cavalli testati, hanno mostrato comportamenti che supportano l'esistenza di questa capacità cognitiva”.
Ma perché questo genere di ricerca è importante? “Il test allo specchio è in realtà uno strumento per indagare delle capacità cognitive molto complesse, che legano la coscienza di sé alla capacità di stabilire complesse relazioni sociali e mettere in atto comportamenti su base empatica” ci spiega Demuru. “La coscienza di sè, infatti, implica anche la coscienza di sé all'interno di un gruppo sociale e quindi la capacità di distinguere tra SÉ e ALTRO. Basti pensare che anche nella nostra specie, il riconoscimento di sé allo specchio compare in concomitanza con l'emergenza di abilità empatiche, a partire dai 20 mesi di età”. Il test dello specchio, o Test di Gallup, rappresenta quindi uno strumento che, nonostante le sue limitazioni (è poco adatto per specie animali che usano primariamente l’olfatto invece della vista), ci dice molto di più di un semplice “riconosce sé stesso”. Infatti, una maggiore coscienza di sé sembrerebbe essere fortemente legata allo sviluppo di sistemi empatici implicati nella formazione di gruppi sociali coesi e maggiormente inclini alla cooperazione. Bibliografia
Immagini tratte da:
0 Commenti
La settimana scorsa abbiamo parlato di glaciazioni e interglaciali per raccontare dei movimenti orbitali meno conosciuti del nostro pianeta. Ma come siamo venuti a conoscenza di tali periodi? Per poterlo spiegare dobbiamo necessariamente parlare dei Marine Isotope Stages, o semplicemente MIS.
Cominciamo quindi parlando della figura di un importantissimo scienziato, Cesare Emiliani.
Emiliani fu un geologo bolognese, naturalizzato statunitense che, senza troppe lusinghe, potremmo considerare il fondatore della paleo-oceanografia.
Nel ventesimo secolo le perforazioni per fini scientifici erano un must della ricerca geologica ed Emiliani sfruttò proprio i campioni di sedimenti marini acquisiti da tali perforazioni. Il suo lavoro si basò sull’analisi dei gusci di carbonato di calcio o calcite di particolarissimi organismi acquatici (marini e non) chiamati Foraminiferi. Questi organismi sono unicellulari, sono presenti nella massa d’acqua (planctonici) e sui fondali oceanici (bentonici); la loro unica cellula è fortemente protetta da un guscio carbonatico che loro sviluppano per tutta la vita e che alla loro morte rimane come unica traccia delle loro esistenza, all’interno degli stessi sedimenti marini che questi “carotieri” campionavano.
Emiliani fu il primo a sfruttare la chimica di tali gusci per ricreare un segnale continuo nel tempo delle variazioni climatiche che hanno ciclicamente imperversato sul pianeta Terra.
La curva prodotta da Emiliani (il cosiddetto segnale continuo) era, ora possiamo dirlo, molto poco precisa, ma mostrava grosse variazioni con intervalli e picchi più positivi e più negativi; dovendo differenziare tali intervalli decise di definire MIS1 l’attuale e di enumerare i successivi di conseguenza. Capì col tempo che tali variazioni erano dovute all’oscillazione delle temperature dell’acqua negli oceani campionati e al quantitativo di ghiacci presenti sulla Terra. Usando questa assunzione poté successivamente individuare periodi di tempo più caldi e più freddi dell’attuale, i freddi presero i numeri pari e i caldi i numeri dispari.
Con i successivi studi si è giunti alla conclusione che non tutti i MIS dispari sono veramente periodi interglaciali; alcuni, come il MIS3, non lo sono o, come il MIS5, lo sono solo in parte. A loro volta le glaciazioni possono essere individuabili in un MIS solo, come per esempio il MIS12, o come somma di più MIS: un esempio è l’ultima glaciazione individuabile come somma dei MIS2, 3 e 4.
Ancora una volta le cose si complicano, soprattutto se pensiamo che, per milioni di anni, il nostro pianeta non ha visto la presenza di calotte glaciali, che hanno cominciato a formarsi solo 35-40 milioni di anni fa con il raffreddamento del Continente Antartico. In tal senso dovremmo, da allora, considerarci in un’era glaciale al cui interno si sviluppano ciclicamente periodi glaciali ed interglaciali.
Ricapitolando, siamo in un periodo interglaciale all’interno di un’era glaciale. Emiliani, in tal senso, non fu che il fondatore di una ricerca scientifica tutt’ora in espansione a cui diede però un fondamentale contributo scientifico.
Quello che dobbiamo riconoscere a Emiliani, a successive generazioni di paleo-climatologi e a molti altri scienziati, è l’identificazione del pianeta quale sistema in continua evoluzione, un vero e proprio “organismo” con un suo “metabolismo”, su cui viviamo ma che non comprendiamo ancora a pieno.
Immagini tratte da:
Immagine1 https://en.wikipedia.org/wiki/Cesare_Emiliani#/media/File:Cesare_Emiliani_in_the_early_1950s.jpg Immagine2 https://it.wikipedia.org/wiki/Foraminifera#/media/File:Benthic_foraminifera.jpg Immagine3/4 dispense personali Immagine5 http://moraymo.us/wp-content/uploads/2014/04/lr04stack_mis1.jpg
Tanti sono gli scienziati che hanno cambiato il nostro modo di vedere e, nell’ambito delle scienze della terra, uno dei più importanti è Milanković.
. Milutin Milanković fu un ingegnere, matematico e, forse oggi potremmo aggiungere, climatologo serbo che lavorò a cavallo della prima e seconda guerra mondiale. La massima del suo lavoro riguarda lo studio delle variazioni dei parametri orbitali e il loro collegamento alla storia climatica del pianeta. Già da tempo gli studiosi sapevano che nel passato si erano susseguite glaciazioni e periodi interglaciali ma solo con Milanković si poté correlare tali fluttuazioni climatiche alla radiazione solare. Milanković, nella sua “Teoria glaciale”, ipotizzò che fosse la variazione dell’insolazione solare estiva al top dell’atmosfera dell’emisfero nord a forzare formazione e scioglimento degli ammassi glaciali. A suo tempo questa ipotesi non era considerata una teoria e dovremo aspettare un altro Big della climatologia per renderla tale. Cerchiamo però di andare per gradi: perché l’emisfero Nord e cosa sono i parametri orbitali? Milanković citò l’emisfero Nord perché qui abbiamo il maggior numero di terre emerse e quindi il maggior numero di spazio utile all’accumulo dei ghiacci. I parametri orbitali del pianeta sono molto più interessanti e si dividono in variazione di eccentricità, inclinazione dell’asse terrestre e precessione. Eccentricità: la Terra gira intorno al Sole disegnando un’ellisse di cui il Sole occupa uno dei due fuochi; tale affermazione ci è stata insegnata da Keplero ma quello che non dice è che questa ellisse passa da valori di bassa eccentricità (orbita quasi circolare) a valori tali da formare una discreta ellisse. I cicli di passaggio tra questi valori hanno un periodo di 100.000 e 413.000 anni.
Inclinazione dell’asse terrestre: l’angolo varia tra valori di 22.1 e 24.5° con periodi di 41.000 anni.
Precessione: mettete insieme due distinti movimenti, il primo è assimilabile al moto di una trottola quando perde stabilità (la trottola inclina il suo asse ma continua a girare formando due coni virtuali sopra e sotto di lei), il secondo riguarda una rotazione dell’ellisse formato dal moto della terra intorno al Sole che ha come fulcro la stella stessa; i due moti sono assimilabili a uno solo con periodicità a 23.000 anni.
Per trasformare la sua ipotesi in teoria dobbiamo aspettare Nicholas Shackleton, un altro grande della climatologia. Shackleton per primo capì come sfruttare le perforazioni oceaniche per analizzare i cicli di comparsa e scomparsa delle calotte glaciali sul pianeta. Da queste, produsse una curva continua dei volumi dei ghiacci del passato e, scomponendola con la trasformata di Furier (strumento matematico che permette di scomporre un segnale in un insieme di curve sinusoidali), correlò le curve risultanti con la ciclicità dei parametri orbitali.
Il risultato più importante dello studio di Shackleton fu quello di verificare l’ipotesi di Milanković.
Quello di cui vi ho parlato è forse uno degli episodi, magari un po' romanzati, alla base della climatologia. Sfortunatamente la teoria è piena di problematiche e di domande alle quali non si può dare risposta. Prima di una teoria davvero funzionante dovranno passare ancora molti anni di ricerca, molti altri brillanti scienziati e molte altre ipotesi da verificare e/o confutare. Immagini tratte da: Wikipedia Italia, voce "Cicli di Milanković"
Il metodo scientifico – Episodio 1
Parlare di metodo scientifico a partire da Socrate, Platone, e Aristotele. Qualcuno potrebbe dire che la stia prendendo molto larga. Ovviamente non è così, e va chiarito che quello che mi prefiggo di trattare in questi primi articoli è, non tanto la storia della scienza, quanto la storia del “pensiero scientifico”.
Il pensiero scientifico non nasce nell’antica Grecia, ma i tre signori di cui sopra hanno contribuito enormemente alla formulazione di un modo di ragionare che nel corso dei secoli ha portato allo sviluppo del metodo scientifico, tanto da poter essere considerati dei veri e proprio Titani per la disciplina.
A noi uomini moderni alcune delle cose di cui parlerò in questo articolo sembreranno superflue se non delle ovvietà. In realtà siamo abituati a dare per scontate un sacco di cose del modo in cui ragioniamo, e credo che sia doveroso invece conoscere un minimo chi ha contribuito ad assemblare i mattoni che costituiscono la mente moderna.
Il primo di questi mattoni fu gettato da Socrate. Potete immaginarvi Socrate come un simpatico, barbuto e canuto vecchiettino che vaga per il paese facendo una serie di bizzarre e spesso complicate domande a chiunque incontrasse, con l’intento di mettere in difficoltà il suo interlocutore. Le sue domande preferite riguardavano la natura delle cose, celeberrima la sua “ti esti?” (che cosa è?). Lo scopo di queste domande era di stimolare nell’interlocutore una riflessione su quale fosse la vera natura di quello che si aveva davanti. Può farci sorridere l’idea di come possa una domanda apparentemente semplice mettere in crisi. Pensiamo a una scrivania. Se avessimo davanti Socrate a chiedere “ti esti?” potremmo rispondere, una scrivania. Se ce lo chiedesse nuovamente risponderemmo, una struttura di legno. E ancora cosa è il legno, un materiale ricavato dagli alberi, gli alberi una forma di vita vegetale. E quando, nello sguardo del vegliardo una punta di soddisfazione, ci chiederà ancora “ti esti”, cosa è la vita, allora avremo capito quanto quella semplice domanda possa rapidamente mettere in crisi tutto la nostra convinzione di sapere qualcosa del mondo. Socrate era anche famoso per la sua idea che “il vero sapiente è colui che sa di non sapere”.
Per queste sua abitudine di mettere in crisi le persone, immagino anche traendone un certo godimento, Socrate non era molto ben visto dai suoi concittadini, che alla fine, per non rischiare di incappare in uno dei suoi tediosi interrogatori mentre erano intenti a fare cose importanti, come andare al tempio a sacrificare capre a Zeus, lo condannarono a morte.
Si può dire che Socrate ci abbia insegnato il “pensiero critico”, a porci nuove domande e a non dare mai per scontata la risposta anche a una domanda apparentemente semplice. E sono grandi insegnamenti. L’ordine cronologico imporrebbe che adesso io passassi all’allievo di Socrate, Platone, ma siccome reputo Platone come il più interessante dei tre sia per idee che per apporto, passerò direttamente all’allievo di Platone stesso, Aristotele. Aristotele è quello, fra i tre, che forse considereremmo, a torto, come il più scientifico. È convinto che nel mondo esista una realtà unica e conoscibile attraverso il ragionamento. A differenza di Socrate non si interroga sul “cosa” siano le cose, ma sul “perché” delle cose. Quello che effettua è un ragionamento a ritroso simile a quello del suo predecessore, ma indagando le cause. Perché una pietra cade a terra? Perché vuole tornare al suo luogo d’origine, risponde. Perché l’aria calda sale verso l’alto? Di nuovo, torna al suo luogo d’origine, e il calore viene dal sole. Perché il sole è caldo? Perché è proprio dove è? Perché gira intorno alla terra? Perché si muovono i pianeti? Aristotele cerca insomma di risalire alle cause prime delle cose. Aristotele fu il primo filosofo a costruire un pensiero sistematico che abbracciasse ogni campo del sapere. Fra le altre cose che ha fatto Aristotele, c’è l’aver fondato la “dialettica”, ovvero l’arte di avere ragione, e le sue costruzioni sono talmente eleganti che in futuro tutti si convinceranno che qualunque cosa avesse detto Aristotele non potesse che esser vera. Questo, unito al suo modello cosmologico che, ripreso da quello Tolemaico, pone la terra al centro dell’universo, i pianeti in sfere concentriche via via più lontane dalla terra, e tutti racchiusi dal “Primo Mobile” (ovvero il motore che muove tutti gli altri pianeti, per alcuni, Dio), causerà non pochi problemi negli anni a venire. Ne riparleremo in futuro.
Tuttavia le domande che si pone Aristotele ampliano l’opera di Socrate. Non bastano il senso critico e il dubbio, bisogna anche interrogarsi sul “perché” delle cose. E anche questo è notevole.
Arriviamo dunque al terzo e ultimo dei Titani. Platone fu maestro di Aristotele, ma non è da lui che Aristotele apprende che esista una natura fissa e conoscibile che spieghi la realtà. Tutt’altro. Platone sostiene che il nostro mondo, la nostra realtà, non sia in fondo così reale, bensì solo il riflesso di una realtà ideale e perfetta, che lui definisce Iper-Uranio. Ogni concetto che possiamo pensare e immaginare è in realtà una versione imperfetta del vero concetto che risiede nell’Iper-Uranio. Platone dunque è in aperto contrasto col suo successore, Aristotele, in quanto professa fondamentalmente che la conoscenza che possiamo avere della realtà non potrà mai essere perfetta. Per meglio illustrare questa triste condizione crea il famoso “Mito della caverna”. In una caverna, al buio, ci sono alcuni prigionieri in catene dalla nascita. Questi prigionieri non vedono che la loro ombra, proiettata sulla parete della caverna dalla luce proveniente dall’entrata; tuttavia, non possono vedere il luogo da cui proviene la luce a causa della loro costrizione. Per questi schiavi la realtà è costituita solo da quelle ombre che vedono proiettate. Ho notevolmente semplificato questo mito, a dire il vero, ma quello che è importante è il concetto. Noi sappiamo benissimo che la realtà è qualcosa di più rispetto a quella che vedono i prigionieri di questo mito, ma possiamo noi essere sicuri di vedere tutta la realtà? D’altra parte se uno di quei prigionieri potesse liberarsi e uscire dalla caverna, se dunque giungesse a un livello superiore di interpretazione, si accorgerebbe subito di tutti gli aspetti di cui era all’oscuro durante la sua prigionia. Platone arriva con secoli in anticipo a domande molto spinose a cui poi le neuroscienze moderne hanno cercato di dare risposta, ma con esiti non del tutto convincenti. Se la nostra conoscenza della realtà è basata sui nostri sensi, e i nostri sensi sono imperfetti, possiamo essere sicuri che la nostra esperienza della realtà sia attendibile e completa? La realtà esiste a prescindere dei nostri sensi oppure i nostri sensi sono solo uno dei tanti modi possibili di interpretarla? A queste domande credo che ancora nessuno abbia trovato una risposta soddisfacente. Da qui la mia fascinazione per Platone.
Ma per il pensiero scientifico moderno le dissonanze fra Platone e Aristotele sono solo apparenti. È mia personalissima opinione che i due sistemi siano in realtà complementari. Da una parte Aristotele alimenta l’ottimismo e la curiosità che ci spinge a conoscere e a capire il mondo che ci circonda, dall’altra Platone ci ricorda che siamo essere umani e come tali abbiamo delle limitazioni e queste limitazioni le dobbiamo abbattere cercando dei sistemi che ci permettano di salire a un livello superiore di comprensione. A chiudere il quadro, Socrate, con il suo Senso Critico e il suo Dubbio, che saranno, e sono tuttora, i motori del futuro Metodo Scientifico.
Ecco il germe del pensiero scientifico. Questi tre Titani, non Giganti, sulle cui spalle in tanti saliranno in futuro.
Immagini tratte da:
Figura 1 https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/736x/af/07/51/af075152a48958b77070f5b1b8d9a0b1--famous-quotes-on-life-quote-life.jpg Figura 2 https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/736x/70/75/02/707502e3cb859fd40dbc2ca417fd3182.jpg Figura 3 https://2.bp.blogspot.com/-tbm0IvUWVXA/VsrZ1ZrIcuI/AAAAAAAAmh0/JNoJhIq3x8o/s1600/bowie103%2B%2Bflammarion.jpg Figura 4 https://i0.wp.com/www.smbc-comics.com/comics/1441809270-20150909.png |
Details
Archivi
Ottobre 2022
Categorie |