IL TERMOPOLIO
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25/7/2018

Il caldo influisce sulle capacità cognitive

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di Enrica Manni
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​L’estate è la stagione del sole, del mare, del caldo, del relax e del divertimento ma non per centinaia di migliaia di studenti universitari, alle prese con la sessione d’esame. Temutissima, specie in questo particolare periodo dell’anno in cui frequentemente si assiste a una progressiva perdita di concentrazione, ad affaticamento cognitivo, segnali, questi, spesso attribuiti alla stanchezza cumulata durante tutto l’anno accademico. Questa teoria è assolutamente ragionevole ma va comunque sottolineato che non è l’unica ragione per cui il rendimento nello studio subisce un inevitabile calo con l’arrivo della bella stagione e del caldo. Le alte temperature, infatti, influiscono sulle prestazioni cognitive e quindi sulle capacità decisionali. Il caldo indebolisce la capacità di prendere decisioni complesse e spinge addirittura il soggetto a rimandarle, al contrario gli ambienti più freschi sembrerebbero portare l’individuo a compiere scelte cruciali con risultati assolutamente entusiasmanti. Il fenomeno sarebbe dovuto al fatto che il caldo provoca un consumo maggiore di risorse energetiche fondamentali come il glucosio, indebolendo le funzioni cognitive. Tuttavia, a quanto pare, ciò che conta non è il valore assoluto della temperatura, ma la sua variazione. Benché l'idea che le nostre decisioni siano influenzate dalla temperatura dell'ambiente possa apparire bizzarra, bisogna ricordare che il cervello è un organo e, come tutti gli altri organi, ha bisogno di energia per funzionare. Che si tratti di atti fisici o mentali, quasi tutto ciò che facciamo usa sempre la stessa fonte di energia: il glucosio. Usiamo il glucosio per camminare, parlare, respirare ed eseguire altre funzioni fisiche della nostra vita quotidiana. Usiamo il glucosio anche per funzioni mentali complesse, come prendere decisioni, esercitare l'autocontrollo, sopprimere le risposte emotive e studiare. Ma il glucosio è una risorsa limitata.
Uno dei compiti più importanti del corpo è il mantenimento di una temperatura costante. Quando la temperatura è eccezionalmente alta (nelle regioni equatoriali, ad esempio) o eccezionalmente bassa (come ai poli), bisogna usare energia, in forma di glucosio, per mantenere una temperatura interna salutare. Quindi, quando la temperatura esterna è di gran lunga più elevata rispetto a quella corporea il corpo reagirà principalmente disperdendo calore mediante la sudorazione, mentre quando esternamente si avvertirà una temperatura molto più fredda di quanto non sia definibile nel range della normalità nel nostro organismo avverranno fenomeni di vasocostrizione periferica (per preservare un corretto apporto ematico agli organi interni) cui consegue pallore cutaneo e brividi prolungati. Questi due processi di correzione però non hanno lo stesso “costo” in termini energetici: raffreddare il corpo sembra richiedere più energia rispetto a quella necessaria per riscaldarlo.
Le temperature elevate, quindi, hanno maggiori probabilità di esaurire le nostre risorse energetiche (sempre in termini di glucosio); il lavoro richiesto per mantenere l’omeostasi è superiore a temperature elevate di quanto non lo sia a temperature rigide. Poiché il glucosio è usato anche per i processi mentali, è possibile che lo sforzo fisico imposto dall'eccesso di calore riduca la nostra capacità cognitiva, influenzando in modo negativo le nostre capacità decisionali.
Questa eventualità negli anni ha incuriosito diversi ricercatori fra cui un gruppo di ricerca costituito da medici indiani che sul Medical Journal, Armed Forces India ha pubblicato uno studio riguardante l’impatto negativo dello stress termico sulle prestazioni cognitive dei soldati nei deserti. Questa valutazione ha dimostrato come, sebbene i soldati fossero tutti in ottima salute, di età compresa fra i 20 ed i 30 anni e fossero stati tutti addestrati alla sopravvivenza nel deserto, con l’inasprimento delle condizioni climatiche, abbiano riscontrato notevoli difficoltà nelle prove che richiedevano elevata attenzione, concentrazione e memoria. Ulteriore conferma proviene da uno studio effettuato recentemente da un team di ricerca dell’università di Harvard. Sono stati posti a confronto due gruppi rispettivamente di 24 e 20 studenti che abitavano in due diversi dormitori di Boston, studiandoli durante un'ondata di calore - ossia una serie di giorni consecutivi caratterizzati da temperature eccezionalmente alte persino per la stagione estiva. Uno dei due gruppi alloggiava in un dormitorio degli anni '90 con aria condizionata centralizzata, l’altro in strutture degli anni '30-'50 prive di aria condizionata e con poche finestre per ogni parete.  Al risveglio i ragazzi dovevano completare alcuni test sul cellulare, quali discriminare correttamente il colore di alcune parole, o risolvere piccoli problemi di aritmetica. Gli studenti dei dormitori senza aria condizionata oltre ad avere tempi di risposta decisamente più lunghi, hanno riportato anche punteggi decisamente inferiori rispetto ai risultati ottenuti dai loro colleghi che alloggiavano in ambienti adeguatamente climatizzati. In virtù di questi e di tutti gli studi sull’argomento che seguiranno possiamo, in conclusione, alleggerire le nostre coscienze: non è la forza di volontà a mancarci d’estate, è il caldo che fisiologicamente non permette alla nostra mente di rendere adeguatamente!
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É inutile opporsi ad un processo fisiologico, meglio buttare via tutto e correre al mare!

Fonti:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29386712

http://www.lescienze.it/news/2013/02/23/news/come_la_temperatura_influenza_le_decisioni_complesse-1524830/

https://www.focus.it/scienza/salute/caldo-calore-peggioramento-memoria-ragionamento

  
Immagini tratte da:
 
https://www.healthandsafetysigns.co.uk/product/high-tempreature-sign/
 
https://www.accountingweb.com/technology/accounting-software/why-automation-will-liberate-you
 

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18/7/2018

Il furto del XXI secolo: le nuvole

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di ​Pietro Spataro
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Come sapete scrivo circa una volta ogni 2 settimane e cioè passano circa 14 giorni tra un mio articolo e quello seguente. In ogni caso cerco sempre di parlarvi di argomenti “più attuali possibili” sperando di parlare a un pubblico ancora disinformato, “vergine” e meno condizionato possibile. Oggi però devo tornare a un articolo del Messaggero datato al 4 luglio dal titolo “Iran, la guerra della pioggia, Israele ci ruba le nuvole”. Leggere di questo articolo sui più noti blog di clima mi ha fatto letteralmente scompisciare. L’Iran quest’estate è stata colpita da una forte siccità e la colpa è, secondo l’alto ufficiale delle Forze Armate di Teheran Gholamreza Jalali, di Israele e delle potenze straniere. Israele infatti starebbe sfruttando la pioggia per mettere in ginocchio l’Iran. Siamo di fronte al furto del XXI secolo: le nuvole.A nulla sono servite le dichiarazioni del capo dell’Organizzazione meteorologica iraniana, secondo il quale queste accuse siano irrealistiche e poco scientifiche. La dichiarazione dell’ufficiale ha comunque fatto il giro del mondo e le migliaia di cospirazionisti ci hanno sguazzato dentro.A parte gli scherzi, il processo a cui “forse” l’ufficiale fa riferimento è l’inseminazione delle nuvole; processo che produrrebbe pioggia su una data regione mediante la sottrazione di umidità alle regioni limitrofe. Questo processo non è di per sé surreale poiché sin dagli anni ’50 numerose operazioni di questo tipo furono condotte per provarne l’efficacia. Efficacia, ahimè, mai verificata. In questo senso la teoria non sarebbe di per sé una balla ma sfortunatamente possiamo dire di non disporre di tecnologie e conoscenze adeguate per sviluppare delle operazioni efficaci.Quanto alle affermazioni di alcuni secondo cui strani aerei grigi, senza etichette e sotto copertura, osservabili durante il giorno in tutto il globo, controllino il clima mondiale penso si possano paragonare alle “micidiali scie chimiche”.

Immagini tratte da:
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https://it.wikipedia.org/wiki/Lupin_III_(anime)

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18/7/2018

Xylella fastidiosa: facciamo chiarezza

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di Lorenza Mariggiò
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Di recente l’ex leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, ha pubblicato sul suo blog un articolo, a cura di Petra Reski e datato 1 luglio, in cui si legge chiaramente che la Xylella fastidiosa, un batterio che negli ultimi anni sta colpendo gli ulivi secolari della Puglia causando ingenti danni, “è una bufala”. Ovviamente ne sono scaturite polemiche alle quali sono intervenuti vari esponenti politici come l’ex Presidente della Regione Raffaele Fitto, il Commissario UE all’Agricoltura e Sviluppo Rurale Paolo de Castro e il Commissario UE alla Salute e alla Sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis. Ovviamente non siamo qui per parlare di polemiche o politica, ma di scienza. Cerchiamo allora di rispondere a qualche domanda.

Cosa è la Xylella fastidiosa?
 La Xylella fastidiosa è un batterio che vive e si riproduce nei vasi xilematici delle piante, ossia nei tessuti che hanno il compito di trasportare la linfa grezza, ricca di acqua e sali minerali, dalla radice alle foglie. Questo batterio è in grado di diffondersi rapidamente, a volte senza manifestare alterazioni nella pianta ospite. Vi sono numerose sottospecie che colpiscono diversi tipi di piante come gli agrumi, gli oleandri e le viti, ma una di esse, la Xylella fastidiosa sub. pauca, è quella responsabile del cosiddetto “complesso del disseccamento rapido dell’olivo” che sta colpendo la Puglia negli ultimi anni.
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​Come si manifesta?
Sebbene alcune piante non manifestino alcun sintomo, in altre una possibile avvisaglia è quella del disseccamento di parte delle foglie e dei rami. Il disseccamento è dovuto al fatto che il batterio crea un gel che ostruisce i vasi linfatici della pianta bloccandone il nutrimento. Proprio in mancanza di questo nutrimento, la pianta fatica a germogliare e crescere.

Come si diffonde?
Il vettore del batterio è un piccolo insetto lungo 12 mm, Philaenus spumarius, comunemente chiamato Sputacchina. Il suo nome deriva dal fatto che produce una schiuma protettiva, simile alla saliva, che aderisce alle piante erbacee in cui è solito vivere. Si nutre della linfa delle piante causando varie malattie. Per gli ulivi meno giovani, si è notato anche che la malattia viene aggravata da attacchi di larve della falena leopardo e infezioni fungine.
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Sputacchina 
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​Sputacchina nascosta dalla sua schiuma
Come si cura?
Al momento non esiste una cura alla malattia. L’unica misura adottata per bloccare la diffusione è stata quella di eliminare le piante erbacee vicine agli ulivi, di eradicare gli ulivi infetti (e ulivi sani in prossimità di quelli malati) e bruciarne i resti, in modo da creare una sorta di quarantena per gli ulivi considerati sani. Tutto ciò non sempre è sufficiente perché è difficile valutare quali sono gli ulivi infetti, dato che alcune piante non manifestano sintomi.
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Studi e pratiche effettuati:
Gli agricoltori non si sono arresi e hanno iniziato a trattare gli ulivi con la massima cura e costanza (attraverso trattamenti con zolfo in polvere e solfato di rame, arature assidue del terreno e potature di una certa entità) e in alcuni casi gli sforzi sono stati ripagati, anche se dal punto di vista scientifico bisogna aspettare un po’ per avere dei riscontri certi. Inoltre, sono stati finanziati dei progetti con i soldi della regione Puglia. Uno fra tutti è quello proposto nel 2015 dal primo cruster universitario TAPASS (Tecnologie Abilitanti per Produzioni Agroalimentari Sicure e Sostenibili) per la creazione di un mezzo biocompatibile da iniettare direttamente nella pianta per bloccare l’infezione, di cui attualmente non si hanno notizie.
Tuttavia è del 2018 uno studio effettuato da una collaborazione tra vari istituti di ricerca, come il Joint Research Centre europeo di Ispra, in provincia Varese, l’istituto per la protezione sostenibile delle piante del CNR di Bari e il Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti dell’Università di Bari, e pubblicata su Nature Plants, in cui si illustra lo sviluppo di un sistema tecnologico che effettua delle riprese spettroscopiche da una piattaforma aerea. Queste riprese mettono in luce l’estensione delle aree in cui sono presenti piante malate, fin dai primi stadi dell’infezione, evidenziando anche gli ulivi senza alcun sintomo visibile ma che sono infetti dal batterio. Questo metodo, quindi, potrebbe essere rivoluzionario per contenere la diffusione della malattia.
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Ripresa aerea di un campo di Ulivi: in rosso tenue e verde quelli infetti
La malattia ha iniziato a diffondersi dal 2008 nella provincia di Lecce ed è man mano arrivata fino alla zona settentrionale della Puglia, causando innumerevoli danni. Non si hanno certezze a livello scientifico sulla gestione della malattia ma autorità competenti, agricoltori e ricercatori, con o senza risultati, cercano di trovare rimedi alla diffusione della Xylella fastidiosa per evitare di eradicare quegli alberi secolari, simbolo di rigenerazione, vita e forza.
 
Immagini tratte da:
https://www.corriere.it/cronache/18_maggio_14/xylella-milioni-ulivi-colpiti-un-miliardo-di-danni-fabb1620-56e1-11e8-8dce-9e466002592e.shtml?refresh_ce-cp
​
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45176526
 https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1117814
 https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=846208
 http://www.lescienze.it/news/2018/06/25/news/monitoraggio_contagio_xylella_aereo-4024840/

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11/7/2018

“Il vaccino non è un’opinione”

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di Enrica Manni
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Prime Vaccinazioni
​Sembra davvero assurdo dover ripetutamente tornare a ribadire l’importanza dei vaccini, conquista importantissima della medicina moderna, come se ogni mese occorresse affermare che la Terra è rotonda, che è la Terra a girare intorno al sole e non il contrario. Eppure è questo che accade da quando gli effetti di malattie come la poliomelite o la difterite, sconfitte proprio grazie all’introduzione dei vaccini, non sono più visibili sulla popolazione. In molti sostengono che 12 vaccinazioni obbligatorie siano troppe, parlano di “sovraccarico immunologico” termine che fondamentalmente non esiste: basti pensare che quando un bambino nasce passa da un ambiente sterile, il grembo materno, all’ambiente esterno, in cui viene invaso in pochi millisecondi da miliardi di microrganismi che stimolano il suo sistema immunitario senza sovraccaricarlo. Cosa sono al confronto 12 vaccini in 15 mesi?!?
Ma veniamo al punto fondamentale della questione: molti sostengono che, dal momento che le vaccinazioni non sono totalmente scevre di rischi, tanto varrebbe non farle e correre il rischio di contrarre la malattia, non è proprio così. Sì, certo, è vero che i vaccini spesso hanno delle controindicazioni, si tratta di medicinali e TUTTI i medicinali ne hanno, anche la semplice aspirina che assumiamo (spesso anche abusandone) durante i mesi invernali per curare i nostri raffreddori, eppure stranamente nel caso dell’aspirina le controindicazioni non ci distolgono dal proposito di prenderla, nel caso dei vaccini ci convincono immediatamente a non farli. Eppure se andassimo ad analizzare i vaccini proposti dal Sistema Sanitario Nazionale vagliandone controindicazioni vaccinali e possibili complicanze cui quel virus/batterio potrebbe condurre ci renderemmo conto in pochissimi secondi della convenienza della medicina preventiva. Prendiamo il caso del morbillo, ad esempio, 1/10 delle persone che lo contraggono potrebbe sviluppare conseguentemente una otite, 1/20 una polmonite, 1/1000 una encefalite con gravissime conseguenze che in 1-2 casi su 1000 potrebbe perfino condurre a morte; le possibili complicanze del vaccino trivalente Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR) sono convulsioni febbrili in un caso su 3/4.000 bambini vaccinati oppure una condizione di momentanea riduzione di piastrine nel sangue (trombocitopenia transitoria) in 1 caso su 40.000. Nel caso della parotite (comunemente nota come “orecchioni”) invece 1-10 pazienti colpiti su 100 potrebbero sviluppare una meningite, 1/1000 una encefalite e nei giovani maschi ¼ delle volte conduce ad una orchite, infiammazione dei testicoli cui talvolta consegue lo sviluppo di sterilità. Naturalmente i possibili effetti collaterali del vaccino sono esattamente gli stessi già elencati per il morbillo trattandosi dello stesso MPR. Stessa situazione per la rosolia che, qualora venga contratta nel primo trimestre di una gravidanza può condurre a pesanti alterazioni genetiche del feto e/o ad aborto. Un paziente colpito da difterite invece ha 1-2 possibilità su 20 di morire, probabilità che aumenta nel caso si tratti di un paziente pediatrico a 1/5. Nel caso in cui effettui la vaccinazione, in cui l’immunità è garantita dal tossoide antidifterico (somministrato insieme al tetanico ed agli antigeni per la pertosse nel vaccino trivalente DPT), al più potrà manifestare pianto inconsolabile in un caso su 1000 o convulsioni in un caso su 14.000. Il tetano, allo stesso modo, in 1-2 casi su 100 conduce a morte; mentre la pertosse nei bambini di età inferiore ad 1 anno può dare polmonite in 1 caso su 10, convulsioni in 1 caso su 20, morte in 1 caso su 1000. Chi si ammala di meningite invece 1 volta su 10 rischia di morire o, in caso sopravviva, può sviluppare gravi complicanze quali amputazioni, sordità, emiplegia (paralisi di metà corpo), etc…
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Immunità di gregge

Quindi, di fronte alla paura di possibili conseguenze vaccinali, non bisogna mai dimenticare che le complicanze delle differenti patologie potrebbero essere molto più gravi e in virtù di questa considerazione continuare a vaccinarsi e vaccinare anche per il raggiungimento delle soglie di sicurezza che garantiscano l’immunità di gregge. Migliaia di persone, infatti, sono fortemente immunocompromesse e le loro attività quotidiane potrebbero risultare estremamente ridotte a causa dell’impossibilità nel vaccinarsi che le espone all’elevatissimo rischio di contrarre patologie apparentemente “banali” (che banali, poi, di fatto non sono) ma che per loro potrebbero addirittura risultare letali: nel caso di raggiungimento di una buona copertura vaccinale la protezione deriverebbe proprio dal fatto di esser circondate da persone vaccinate, sulle quali il virus/batterio non può proliferare e diffondersi. Di conseguenza, l’introduzione dell’obbligatorietà vaccinale, bersaglio di tante polemiche e al centro di accesi dibattiti politici e non, si è resa necessaria per rimediare al calo delle coperture vaccinali, e garantire le coperture necessarie alla tutela della salute pubblica, specie quella delle fasce più deboli della popolazione nazionale.

Fonti:
https://www.facebook.com/pg/PoliclinicoDiSantOrsola/posts/?ref=page_internal
https://www.facebook.com/iovaccino/
 
 
Immagini tratte da:
​

http://www.ilsestantenews.it/rubriche/salute/veneto-nelle-scuole-rischio-obbligo-vaccinazione/
​

https://twitter.com/Aifa_ufficiale

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4/7/2018

Climate Warming vs Vulcani Antartici

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di Pietro Spataro
Dato che il mio ultimo articolo dal titolo “L'Antartico fonde, l'Antartico cresce“ ha trattato dell’evoluzione glaciologica del Polo Sud, oggi vorrei seguire la stessa linea parlandovi dell’articolo uscito su NATURE COMMUNICATIONS dal titolo “Evidence of an active volcanic heat source beneath the Pine Island Glacier”.
Questo nuovo paper tratta del monitoraggio dell’attività vulcanica al di sotto dell’area del Pine Island Glacier, localizzato nell’Antartide occidentale. 
Il nome può non ricordarvi nulla ma ci penso io: a novembre dello scorso anno lo stesso ghiacciaio vide il distacco di un enorme iceberg di 1,6 km, spiegato come frattura di “assestamento” conseguente al traumatico distacco, durante il 2015, di un iceberg di 580 chilometri quadrati.
Iceberg 2017
Iceberg 2015
La grave instabilità di questo ghiacciaio era stata imputata al Climate Warming, probabilmente però in questi giorni qualche giornale o sito si sarà sentito in diritto di negare tale affermazione.
Cerchiamo quindi di fare chiarezza insieme.
Il nuovo articolo stima l’attività vulcanica al di sotto del ghiacciaio sfruttando il monitoraggio del quantitativo dell’isotopo Elio-3 all’interno delle acque sotto il ghiaccio.
I risultati mostrano un’importante flusso di calore prodotto dal vulcanismo. La stima di questo flusso sembra essere di circa 2500 MW e cioè circa il 50% del Vulcano Grimsvötn in Islanda. 
Tale lavoro mette in evidenza come ignoriamo la portata dell’attività vulcanica nell’Antartico occidentale.
A scanso di equivoci, però, gli autori tengono a specificare come il calore prodotto dal vulcanismo poco influenzi lo scioglimento del ghiacciaio, il cui colpevole è senza ombra di dubbio il Global Warming. 
Allora chissà perché qualcuno si è sentito in diritto di alzare il dito e dire: questo dimostra che il Global Warming non esiste! Probabilmente la risposta non l’avremo mai, speriamo solo che in futuro sempre meno gente si fiderà di queste affermazioni.

Immagini tratte da:
https://www.livescience.com/57915-iceberg-breaks-off-antarctica-pine-island-glacier.html (iceberg del 2017)
https-//earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=82392
(iceberg del 2015)

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