28/8/2018 Formazione specialistica in medicina, la Regione Toscana finanzia 25 contratti per oltre 3 milioniRead NowFIRENZE - La Regione finanzia venticinque contratti di formazione specialistica in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2017-18 alle Università di Firenze, Pisa e Siena. Un finanziamento che avviene ormai da diversi anni. Un decreto ministeriale stabilisce infatti che, in aggiunta a quelli statali, possono essere attivati contratti finanziati dalle Regioni, per colmare, ove possibile, il divario tra numero dei contratti statali e reale fabbisogno. In seguito alla valutazione del fabbisogno regionale e delle risorse disponibili, e sulla base delle richieste pervenute dalle tre Università, con una delibera presentata dall'assessore al diritto alla salute Stefania Saccardi e approvata dalla giunta nella seduta di ieri, la Regione ha deciso di finanziare, a partire dall'anno accademico 2017-18, i seguenti contratti di formazione specialistica: - a favore dell'Università degli Studi di Firenze cinque contratti aggiuntivi di cui: uno in Anestesia rianimazione, terapia intensiva e del dolore, due in Pediatria e due in Medicina d'Emergenza-Urgenza; - a favore dell'Università degli Studi di Pisa dieci contratti aggiuntivi di cui: tre in Anestesia rianimazione, terapia intensiva e del dolore, tre in Medicina d'Emergenza-Urgenza, due in Pediatria e due in Radiodiagnostica; - a favore dell'Università degli Studi di Siena dieci contratti aggiuntivi di cui: due in Anestesia, rianimazione, terapia intensiva e del dolore, uno in Ematologia, tre in Medicina d'Emergenza-Urgenza, due in Pediatria e due in Radiodiagnostica. Il finanziamento dei venticinque contratti aggiuntivi assegnati deve essere assicurato per l'intera durata delle specializzazioni, che è di 4 anni per i contratti in Ematologia e Radiodiagnostica e di 5 anni per i contratti in Anestesia, rianimazione, terapia intensiva e del dolore, Medicina d'Emergenza-urgenza e Pediatria. La somma complessiva messa a disposizione dalla Regione per tutti gli anni di corso è di 3.070.000 euro, così ripartita per i diversi anni: 625.000 per il 2018; 625.000 per il 2019; 650.000 per il 2020; 650.000 per il 2021; 520.000 per il 2022. Per salvaguardare il fabbisogno regionale, i contratti di formazione specialistica non potranno avere parere positivo nel caso in cui la domanda preveda un trasferimento verso altre regioni. E l'assegnazione dei contratti sarà subordinata all'impegno a prestare la propria attività lavorativa, entro i 5 anni dal conseguimento del diploma di specializzazione, nelle strutture e negli enti del Servizio regionale toscano per un periodo di due anni.
0 Commenti
di Enrica Manni Procurarsi piccoli tagli accidentali è un evento piuttosto frequente nelle nostre giornate: possiamo tagliarci mentre facciamo la barba, oppure con dei fogli di carta o dei biglietti del treno; può succedere di ferirsi, molto banalmente, mentre si cucina; ma cosa accade esattamente nel nostro corpo nel momento in cui ci facciamo male? Per prima cosa, se il taglio non è molto profondo nei primi secondi non uscirà nulla dalla ferita, perché verrà messa in atto una pronta vasocostrizione per impedire la perdita di sangue, ma questo effetto non durerà molto: dopo i primi secondi il sangue inizierà a uscire ugualmente, quasi come un fiume in piena, e allo stesso tempo i microbi presenti sulla superficie dell’oggetto con cui ci si è procurati la lesione tenderanno, al contrario, ad entrare. Per questo è molto importante disinfettare accuratamente la cute in corrispondenza della lesione, pulire bene la ferita anche avvalendosi, se necessario, di aghi o pinzette sterili. Naturalmente, qualora il taglio fosse troppo profondo/esteso sarebbe opportuno rivolgersi al medico o al pronto soccorso più vicino. Ma il nostro organismo come reagisce a una ferita? Innanzitutto inviando sul luogo della lesione un gran numero di cellule di difesa, in modo tale da arginare sul nascere l’eventuale infezione microbica che potrebbe provenire dall'ingresso dei microrganismi di cui abbiamo precedentemente parlato e poi, ovviamente, cercando di riparare il danno. Il processo emostatico o riparativo serve, appunto, per creare un tappo, si parla infatti di tappo emostatico per arginare la fuoriuscita del sangue mentre l’organismo ripara la lesione, cosa che gli richiederà non poco tempo. Ciò che dà avvio al processo è la lesione vascolare perché, quando questo accade, il sangue verrà a contatto con qualcosa di diverso rispetto all’endotelio vascolare, la parete del vaso con cui è generalmente in contatto. Il processo può essere semplicisticamente diviso in diverse fasi:
Le fasi descritte costituiscono la cosiddetta EMOSTASI PRIMARIA. Questo però non è un buon tappo perché, soprattutto nelle zone caratterizzate da un forte flusso, può andare incontro a disaggregazione. È necessario dunque che alle fasi descritte finora ne segua un’altra, nota come COAGULAZIONE che porta alla costituzione del tappo definitivo mediante la conversione del fibrinogeno in fibrina. Questo è un processo che avviene in tre tappe: la proteolisi che prevede il distacco dalla molecola di fibrinogeno di due piccoli frammenti e la liberazione di due siti di legame corrispondenti a due “sporgenze” presenti sulla stessa molecola; la polimerizzazione spontanea per la quale i diversi monomeri di fibrina, per effetto della creazione di quei siti di legame, tendono a polimerizzare e man mano formano una struttura che si allunga sempre di più; il cross-linking grazie al quale i legami di natura fisica, elettrostatica (e quindi abbastanza deboli) fra le molecole di fibrina vengono rafforzati da legami crociati. A questo punto non uscirà più sangue dalla ferita e quindi l’organismo può cominciare a riparare il tessuto danneggiato. Man mano che il processo riparativo viene svolto adeguatamente, il tappo emostatico deve esser rimosso attraverso l’ultima fase della FIBRINOLISI. Conclusa quella e riparato il vaso tutto torna alla normalità. Immagini tratte da: https://blog.helpling.it/consigli-per-pulire/rimuovere-macchie-colore-rosso/ https://www.centrobasile.it/news.asp?id_news=61 di Pietro Spataro Tutti voi, lettori affezionati e non, sapete almeno a grandi linee cos’è il Climate Change e quale è la sua importanza, i pericoli, gli effetti e le ripercussioni che tali effetti hanno nella nostra vita di ogni giorno e nelle vite delle popolazioni dell’intera palla blu. C’è chi ne soffre di più, pensiamo ad esempio alle popolazioni che abitano le piccole e basse isole del Pacifico e chi ne soffre di meno come noi italiani che ci lamentiamo del caldo record della prima parte di agosto, in casa davanti a un ventilatore o, ancor meglio, sotto l’ombra di un ombrellone, in una spiaggia affollata di gente. È semplicissimo tirare in ballo il Climate Change quando ci svegliamo sudati di notte, quando ci lamentiamo del prezzo del pesce in vetrina o della benzina dopo aver fatto il pieno. I media sono davvero bravi in questo genere di cose: Climate Change quando piove troppo o quando non piove affatto; Climate Change quando il settore agricolo arranca; Climate Change quando si stacca un Iceberg o quando fa il giro del mondo la foto di un orso polare in difficoltà. Non sempre i media sono nel giusto parlando di Climate Change ma aiutano, in ogni caso, a non far mai dimenticare il problema. Questo è un bene dato che tutt’ora qualcuno continua a credere si tratti di una delle molte bufale diffuse da qualche lobby del fotovoltaico o dalla mafia dell’eolico. Ci sono però volte in cui dare la colpa al Climate Change è pericoloso, stupido o semplicemente politica di disinformare. Ogni qualvolta sento parlare di Climate Change accostato al fenomeno dell’emigrazione[J1] , mi chiedo chi ci guadagni ad abbassare i toni di guerre razziali o religiose e di terrorismo e jihad supportate da governi esteri per il controllo delle risorse di paesi ricchissimi definendole mere conseguenze climatiche. Un esempio viene da la Repubblica che parla con un articolo del 22 giugno delle stragi delle popolazioni contadine Nigeriane ad opera di un gruppo di pastori di etnia Fulani, conflitto che ogni anno porta alla morte di circa 2 mila persone e che si è intensificato negli ultimi anni. Si stima che solo nell’arco del 2018 siano state sterminati tra 1.750 e 6.000 contadini ad opera dei pastori Fulani. Nell’articolo, la Repubblica tenta di dimostrare l’assoluta efficienza del Climate Change nella produzione di conflitti come questo, mettendo da parte il contrasto religioso tra contadini a maggioranza cristiana e pastori mussulmani, un’efficienza che mette i brividi e grazie alla quale ci si chiede se magari anche Boko Haram si può spiegare con il Climate Change. Queste dichiarazioni vanno di pari passo col racconto dei giornali internazionali più “liberali” e del presidente nigeriano Muhammadu Buhari. Certo non sono dello stesso parere i leader nigeriani di religione cristiana che parlano di terrorismo jihadista a loro volta appoggiati dagli attivisti che parlano di derubricazione del conflitto da parte dei media internazionale, denunciano il declassamento delle stragi a meri effetti delle variazioni climatiche in modo da giustificarli e portando anche qualcuno a simpatizzare per un ben conosciuto gruppo terroristico. Attenti quindi a parlare di colpe del Climate Change e qualora ne troviate qualcuna in giro per i giornali o blog d’informazione valutate sempre perché magari qualcuno sta tentando, anche a livello internazionale, di negare qualcosa di più grosso. Per ora, almeno, gli orsi polari non hanno ancora imbracciato i fucili contro di noi ma se mai succedesse sono sicuro che qualche giornale darebbe la colpa alle politiche di qualche nazione del nord, tipo Norvegia o Faroe piuttosto che al Climate Change. Perché con quello si spiega il numero di zanzare tra le piante bagnate dei balconi. Valutate gente, valutate. Immagini tratte da: https://www.commondreams.org/views/2015/12/01/time-drop-climate-war-talk di Enrica Manni Nelle ultime settimane non si fa che parlare dell'emergenza legionella nei comuni a Nord di Milano (tutti i casi si registrano a Bresso, eccetto uno a Cusano Milanino e un altro a Cormano) ed il bilancio, allo stato attuale, conta 4 morti e 53 casi di contagio. Ma qual è e come si diffonde il batterio responsabile dell’ondata di epidemia nel milanese? I microrganismi appartenenti al genere legionella sono parassiti che causano soprattutto infezioni a carico delle vie respiratorie. La famiglia Legionellaceae include 34 specie il cui habitat normale è rappresentato dal suolo e dalle acque, incluse le torri di raffreddamento per gli impianti di condizionamento e gli impianti di distribuzione dell’acqua. Circa l’85-90% della malattia umana è causata da una singola specie, la Legionella Pneumophila. La maggior parte delle infezioni derivano dalle inalazioni degli organismi veicolati da particelle di aerosol ma, occasionalmente possono esistere altre fonti di esposizione come l’acqua contaminata delle piscine. La malattia può manifestarsi sia in forma sporadica sia in forma di focolai epidemici; un famoso episodio epidemico si è presentato nel 1976 tra i partecipanti ad un raduno di reduci dalla II guerra mondiale, in un albergo di Filadelfia. Il microrganismo è resistente al cloro, tanto da sopravvivere ai vari processi di disinfezione delle acque. Precedentemente, a Pontiac, Michigan, nel corso del 1968 si era manifestata una serie di casi simil-influenzali (definiti come la "Febbre di Pontiac") la cui causa venne scoperta nella Legionella Pneumophila proprio in occasione dell'epidemia avvenuta a Philadelphia. L’organismo penetra nelle vie aeree superiori per aspirazione di particelle d’acqua contenenti le legionelle o per inalazione di un aerosol contaminato. La mancata eliminazione dei microrganismi consente loro di raggiungere i polmoni; infatti, i macrofagi alveolari che costituiscono normalmente una importante linea di difesa in grado di eliminare gli organismi invasori, fagocitato L.pneumophila, e tuttavia il fagosoma che ne risulta non riesce a fondersi con un lisosoma; gli organismi perciò si moltiplicano all’interno dell’ambiente protetto del fagosoma fino a quando la cellula non si rompe, liberando nuovi batteri. Le Legionellacee causano soprattutto infezioni delle vie respiratorie e le due più importanti forme morbose tra le cosiddette legionellosi sono: la malattia dei legionari e la febbre di Pontiac. I fattori scatenanti non sono ancora del tutto chiari, tuttavia le condizioni generali ed in particolare quelle immunitarie dell’ospite al momento dell’infezione svolgono un ruolo essenziale nel condizionare l’evoluzione nell’una o nell’altra forma dell’infezione.
Il contagio si previene a livello condominiale e comunale con la manutenzione degli impianti idrici, con un controllo microbiologico delle acque, e con eventuali interventi che possano inibire la formazione di batteri e microrganismi come la legionella. In termini di prevenzione “personale” sarebbe il caso di provvedere con attenzione e periodicità alla manutenzione dei rubinetti e degli erogatori di casa e giardino, attraverso la sostituzione dei filtri, e così anche per gli impianti di riscaldamento. E’ raccomandabile inoltre non utilizzare acqua di rubinetto per gli apparecchi di aerosolterapia e ossigenoterapia. Fonti: - Le basi della microbiologia con approfondimenti clinici, Zanichelli, 2012 Immagini tratte da: - Cellule di Legionella, piccoli bacilli gram negativi [https://www.settenews.it/unaltra-vittima-della-legionella-a-bresso-e-la-quarta/] - Principali fonti di contagio [http://www.aqagroup.it/consulenza/procedura-prevenzione-legionella/] di Pietro Spataro Quando si parla di GW (Global Warming) bisogna qualche volta trattare anche il rognoso argomento della climate policy. Ammettendo a priori che più l’argomento è spinoso e più stuzzica la mia vena da scrupoloso rompiscatole, oggi scrivo basandomi su un illuminante articolo scritto da Roger Pielke Jr. su Issues in Science and Technology. Partiamo dalle basi: come funziona la politica climatica? Scienziati e politici conclusero tra gli anni '80 e '90 che il problema del Global Warming si sarebbe potuto risolvere mediante la negoziazione di azioni comuni a tutti gli stati del mondo. Questo percorso ha permesso, tra le altre cose, la strutturazione della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) nel 1992, la formulazione del Protocollo di Kyoto nel 1997 e dell’Accordo di Parigi nel 2015. Per giustificare le azioni di politica climatica nacque l’Intergovernment Panel on Climate Change (IPCC) che tra i tanti obiettivi ha anche quello di creare e implementare, anno dopo anno, scenari futuri che mostrano l’effetto del GW sul pianeta con e senza l’adozione delle varie politiche dell’UNFCCC. La politica climatica si è attualmente prefissata l’obiettivo di non oltrepassare la soglia dei 2 gradi d’aumento globale delle temperature; obiettivo che per molti è già irrealizzabile. In ogni caso, tale obiettivo è stato designato sulla base degli scenari IPCC, scenari che però mutano ampiamente anno dopo anno. Un fattore implementato all’interno degli scenari solo di recente è chiamato BECCS e si tratta di tecniche e tecnologie di bioenergia che permettono la rimozione dei gas serra presenti in atmosfera. Un altro fattore d’estrema importanza e attualità all’interno degli scenari è detto Decarbonizzazione spontanea e indica il tasso di decarbonizzazione all’interno della produzione di energia che si sviluppa in assenza di politiche di mitigazione climatica e che segue un trend autonomo. L’assunzione all’interno degli scenari futuri di BECCS e Decarbonizzazione Spontanea porta a un drastico ricalcolo delle risorse in nostro possesso per risolvere il problema, o per meglio dire, restare al di sotto dei 2° di risalita delle temperature. Un’aggressiva assunzione di questi fattori all’interno degli scenari potrebbe portare alla risoluzione spontanea dei problemi legati dal WG mentre assunzioni meno aggressive potrebbero dimostrare l’insufficienza degli approcci correnti. In questo senso, gli scenari dell’IPCC assumono un valore inestimabile nel giudizio delle attuali politiche climatiche. Vogliamo poi parlare della correttezza degli scenari stessi? L’IPCC ha prodotto nel tempo 4 diversi scenari, dei quali quello più citato è sicuramente l’RCP 8.5. Questo è lo scenario più spaventoso prodotto dall’IPCC e si basa sull’assunzione di un drammatico ed esponenziale aumento delle emissione durante tutto il XXI secolo. Tale scenario è fortemente sfruttato sia da politici sia da giornalisti e anche gli scienziati ne fanno spesso uso all’interno delle ricerche su riviste importanti come Nature e Science. Dalla loro però, gli scienziati si sono più volte dimostrati consci del fatto che si tratta di uno scenario irrealistico. Perché svilupparlo e perché parlarne se ne conosciamo a priori l’inesattezza? Forse perché è lo scenario che torna più comodo poiché ci mostra il futuro più pauroso e con il rapporto benefici/costi più alto. In definitiva sembra esistere una miopia generale all’interno della politica climatica. Risulta indispensabile ridiscutere gli obiettivi con target più “quantitativi” poiché la soglia dei 2° e l’attesa di scenari più scientificamente corretti non sta facendo altro che motivare l’immobilità della politica climatica globale. Dobbiamo poi chiederci se lo sviluppo di scenari futuri e soprattutto di quegli scenari atti a enfatizzare gli effetti del global warming (alla The day after Tomorrow per intenderci) aiutano davvero la comprensione e la risoluzione del problema. In ultima istanza, ha senso studiare i rapporti costi/benefit della politica climatica sulla base di scenari di difficile costruzione e interpretazione? Non potremmo invece sviluppare e calendarizzare politiche con prospettive brevi dell’ordine di uno o pochi anni? Immagini tratte da: L’immagine in copertina è un fumetto del disegnatore Tom Toles |
Details
Archivi
Ottobre 2022
Categorie |