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26/9/2018

HIV: il virus che per proteggersi attacca il sistema immunitario

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di Enrica Manni
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Le cellule grandi e rosse rappresentano i nostri linfociti T, quelle più piccole e arancio il virus sul punto di infettarle.
​Sebbene la sindrome da immunodeficienza acquisita sia stata riconosciuta come patologia distinta solo nel 1980, è rapidamente diventata una delle malattie più devastanti nella storia dell’umanità. L’AIDS è causata dall’infezione da HIV. Sono attribuiti all’AIDS più di 25 milioni di decessi, con un ritmo di 1-2 milioni l’anno. Sono stati sviluppati farmaci antiretrovirali efficaci che tuttavia riescono solo ad arginare la proliferazione del virus senza eliminarlo definitivamente.
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Ciclo vitale del virus HIV
​Il virus ha una costituzione piuttosto semplice, con una doppia elica di materiale genetico sottoforma di RNA (a differenza di quello umano costituito da una doppia elica di DNA), un involucro proteico chiamato core ad avvolgerlo e ancora più esternamente un rivestimento lipidico, chiamato envelope. Questo virus infetta principalmente alcune cellule del nostro sistema immunitario, determinati tipi di linfociti T perché una glicoproteina del suo envelope riconosce determinati recettori presenti sulla superficie di queste cellule umane. Una volta avvenuto il riconoscimento, dunque, lo strato lipidico più esterno del virus si “fonderà” con il doppio strato fosfolipidico della cellula umana, il virus risulterà denudato e rilascerà l’RNA all’interno del citoplasma. Qui un enzima, la trascrittasi inversa, si occuperà di copiare il materiale genetico del virus, che abbiamo detto essere differente da quello umano, in una copia di DNA che si andrà poi a integrare con quello dell’ospite. Quando una di queste cellule infettate verrà attivata per un qualsiasi motivo, avvierà la trascrizione di alcuni geni (da cui verranno prodotte proteine utili nella difesa immunitaria dell’organismo) però nello stesso tempo avverrà la trascrizione dei geni del virus che sarà così in grado di formare una nuova particella virale completa (RNA-core-envelope). Questa, dopo essere fuoriuscita dalla cellula in cui si è formata sarà in grado di infettare un’altra cellula.
Le modalità di trasmissione sono molteplici: ci si può infettare attraverso il sangue (per trasfusioni con del sangue infetto, com’è accaduto spesso negli anni ’80-’90) attraverso sperma o secrezioni vaginali (per rapporti sessuali non protetti) oppure attraverso il latte materno (durante l’allattamento).
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Le modalità di trasmissione
Clinicamente, subito dopo l’infezione, i pazienti possono avere sintomi assolutamente aspecifici, tipici di una influenza: febbre e malessere generale. Dopo l’infezione entra in una fase di latenza durante la quale si assiste a una perdita progressiva dei linfociti T che da essere 1500/mm3 di sangue diventano 200/mm3 e questo rende il soggetto estremamente sensibile alle infezioni di qualsiasi genere. Segue la fase dell’AIDS conclamato con un’aumentata suscettibilità oltre che alle infezioni anche ad alcuni tipi di tumore come conseguenza del deficit immunologico.
La risposta del nostro sistema immunitario nei confronti dell’HIV è frustrantemente inefficace poiché abbiamo detto che il virus colpisce selettivamente i linfociti T che proprio quando essi vengono attivati si scatena tutta la forza replicativa dell’HIV. Perché allora non intervengono i linfociti B? In realtà lo fanno, si attivano e iniziano a produrre anticorpi diretti contro le glicoproteine virali di superficie che però hanno la capacità di mutare in continuazione proprio per eludere le difese dell’ospite.
Le attuali strategie terapeutiche prevedono la somministrazione di un cocktail di farmaci che blocchino la replicazione virale nelle cellule dell’ospite (vanno ad agire sugli enzimi che permettono la produzione di una copia di materiale genetico sotto forma di DNA, che gli permettono poi di integrarsi al genoma umano, etc…) Questi farmaci, riconosciuti come altamente efficaci, non sono in grado di eradicare completamente l’infezione, ma nonostante questo, i pazienti trattati sembrano sopravvivere più a lungo e a decedere per cause assolutamente indipendenti dall’infezione da HIV. La prossima sfida da affrontare sarà senza dubbio la creazione di un vaccino efficace che sappia raggirare la capacità di mutazione del virus. Tutti i tentativi effettuati fino a ora sono risultati però assolutamente inefficaci.
 
Immagini tratte da:
 https://tech.everyeye.it/notizie/un-nuovo-studio-suggerisce-modo-per-fermare-hiv-313680.html
 http://hivforum.info/forum/viewtopic.php?f=8&t=3887
https://www.lettera43.it/it/guide/salute-e-benessere/2013/12/03/come-si-trasmette-laids/4809/

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12/9/2018

Nutrizione e Global Change

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di Pietro Spataro
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​Salve lettori, parliamo della fusione di due mondi complicatissimi: nutrizione e Global Change.
Il tutto parte dall’articolo di Smith e Meyers uscito il 27 agosto su Nature Climate Change e che tratta degli effetti del futuro aumento di anidride carbonica (CO2) in atmosfera sullo sviluppo di colture.
Il problema non ci è nuovo e di certo non può passare inosservato, sfortunatamente però Nature, una delle riviste scientifiche più famose, fa di nuovo scalpore con un articolo con tendenze apocalittiche che fa pensare i lettori più preparati ma tende a terrorizzare, soprattutto quando la notizia vola tra le righe dei media generalisti, i lettori medi.
L’articolo mostra come l’aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera determini una più difficile acquisizione di ferro e zinco da parte di piante quali ad esempio riso, grano e mais, e una generale diminuzione del tenore proteico medio delle nostre colture di base. Tale concetto causerebbe lo sviluppo, mediante una previsione al 2050, di 175 milioni di persone in più con deficit di zinco e 122 milioni di persone in più con un deficit proteico mentre 1,4 milioni di donne in gravidanza e bambini sotto i 5 anni soggetti all’anemia potrebbero perdere più del 4% di ferro dalla loro dieta.
Il tutto parte dalla previsione secondo la quale il quantitativo di CO2 in atmosfera, e che ha da qualche anno superato i 400 ppm, potrebbero raggiungere i 550 ppm entro il 2050 e i 940 ppm verso la fine del secolo.
Senza nulla togliere ai ricercatori, il cui lavoro è encomiabile, va detta qualche parola in più poiché, nonostante l’effetto dannoso che ha l’alta concentrazione di CO2 in atmosfera sul quantitativo di ferro e zinco, il suo aumento non determina un deficit del tenore proteico univoco in tutte le coltura ma, anzi, tende ad aiutarne alcune. Altro carattere da tenere di conto è l’aumento di produttività delle colture dovuto all’aumento della CO2 che potrebbe portare, col raggiungimento delle suddette 550 ppm del 2050, a un incremento potenziale tra il 23% e il 13% di riso, frumento, orzo, soia, mais e sorgo.
Ciò non vuol essere un “ben venga alla CO2”, preferirei un fulmine sulla testa che essere un negazionista del Global Warming ma preferisco fare chiarezza quando mi trovo davanti alle notizie apocalittiche di giornali come lo statunitense Times o l’italiano Corriere.
 
Immagini tratte da:
https://es.wikipedia.org/wiki/Triticum#/media/File:Trigo.jpg

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5/9/2018

Che cosa sono e perché abbiamo le allergie?

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di Enrica Manni
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Circa il 20% della popolazione mondiale soffre di un qualche tipo di allergia
Quando una sostanza estranea penetrata nel nostro organismo viene percepita come potenzialmente dannosa o lesiva è in grado di suscitare l’attivazione del nostro sistema immunitario che interviene eliminandola. In alcuni casi però le risposte immunitarie possono esse stesse causare danno tissutale e malattia. Queste risposte immunitarie “patologiche”, eccessive, vengono definite reazioni di ipersensibilità o allergie. Si tratta delle patologie immunologiche più frequenti, interessano circa il 10-20% della popolazione mondiale e questa percentuale è in continuo aumento, specie nei paesi industrializzati.
Ma concretamente cosa accade nel nostro organismo? Come è possibile che si scateni una risposta immunitaria di tali dimensioni?
I principali “attori” della vicenda sono i seguenti: una particolare classe di anticorpi, chiamati IgE, e i mastociti, cellule del sangue ricche di granuli al loro interno. La prima fase del processo prende il nome di sensibilizzazione: le IgE specifiche contro un determinato allergene si dispongono intorno al mastocita, rivestendolo. Il mastocita va da sé che per poter interagire con le IgE deve possedere uno specifico recettore di membrana in grado di riconoscere una parte della molecola delle IgE (Fc o frammento cristallizabile). Nei soggetti non allergici questo processo di rivestimento non causa alcunché perché intorno al mastocita si disporranno IgE dirette contro allergeni differenti, ciascuno teoricamente in grado di generare una risposta, ma praticamente non sufficientemente forte per farlo. Quando invece due o più allergeni dello stesso tipo legano IgE sullo stesso mastocita vengono avviati dei segnali intracellulari che scatenano la “reazione” del mastocita che immediatamente rilascia il contenuto dei suoi granuli nell’ambiente circostante.
Cosa contengono i granuli dei mastociti?
  • Ammine vasoattive: come l’istamina che causano vasodilatazione dei capillari e contrazione delle cellule muscolari lisce.
  • Proteasi: causano danni localizzati ai tessuti circostanti
  • ​Metaboliti dell’acido arachidonico: fra cui le prostaglandineche causano vasodilatazione e leucotrieni che stimolano la contrazione della muscolatura liscia.
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Meccanismo d’azione dei mediatori chimici mastocitari
Quali sono le caratteristiche patologiche e cliniche delle allergie?
Le manifestazioni cliniche delle reazioni di ipersensibiltà sono piuttosto varie: nel  raffreddore da fieno la degranulazione mastocitaria porta a un aumento delle secrezioni mucose del naso; nelle allergie alimentari invece il rilascio di istamina accelera la peristalsi intestinale causando nausea e diarrea; nell’asma bronchiale oltre ad aumentare la produzione mucosale si presenterà anche un’accentuata broncocostrizione; ma la manifestazione clinica più grave a cui può condurre un allergene è l’anafilassi. Si tratta di una reazione sistemica caratterizzata da edema tissutale, caduta pressoria e broncospasmo. Alcune tra le più comuni cause di anafilassi sono le punture di insetti, l’iniezione o l’ingestione di farmaci appartenenti alla famiglia delle penicilline e il consumo alimentare di frutta secca o frutti di mare.
Cosa fare, dunque, quando si presenta una reazione di ipersensibilità?
Le terapie per le allergie sono principalmente rivolte ad inibire la degranulazione dei mastociti, prevenendo gli effetti dei mediatori rilasciati e riducendo l’infiammazione. I farmaci comunemente impiegati sono gli antistaminici, quando si tratta di allergie di lieve entità, agenti che inducono il rilassamento della muscolatura liscia bronchiale per l’asma e l’epinefrina per l’anafilassi. Recentemente si è dimostrato efficiente sottoporre il paziente a ripetute somministrazioni di piccole dosi di allergene, trattamento noto come desensibilizzazione o immunoterapia specifica.
 
Immagini tratte da:
www.stamfordallerg.com
Foto tratta da Le basi dell’immunologia, fisiopatologia del sistema immunitario, 2017, edizioni Edra, pag. 244.

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