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A ognuno di noi sarà capitato, almeno una volta nella vita, di avere il singhiozzo per una mezz’oretta, in seguito a un pasto molto abbondate o a una fragorosa risata; molti si saranno certamente chiesti come e perché si generi questo fastidioso (e spesso inopportuno) ‘hic’.
Il singhiozzo è una contrazione spastica del diaframma seguita, dopo appena un quarto di secondo, da un successivo rilassamento dello stesso muscolo con contemporanea chiusura della glottide; a questo si associa una leggera contrazione del petto, del torace e/o della gola. Si ripete generalmente dalle 4 alle 60 volte in un minuto. Non si tratta di una manifestazione clinica dolorosa, però, essendo questi episodi ritmici e persistenti, potrebbero essere fonte di imbarazzo sociale e, se si prolungassero per giorni o per mesi, potrebbero perfino diventare debilitanti perché interferirebbero con le attività quotidiane del soggetto, dal riposo all’alimentazione, dalla respirazione al lavoro. Molteplici sono le cause da cui il singhiozzo può essere generato. In generale possiamo dire che l’introduzione di una quantità eccessiva di aria porta all’irritazione del diaframma e, conseguentemente, alla comparsa del singhiozzo. Quindi, qualsiasi circostanza ci porti a ingerire più aria del normale può essere considerata responsabile dell’insorgenza di questo fastidio come, ad esempio, pasti eccessivi o consumati troppo velocemente, l’abuso di bevande gassate, condizioni di forte stress o eccitazione, risate fragorose. Qualora il singhiozzo si prolunghi per più di 48h però potrebbe “nascondere” qualcosa di più rilevante di un pasto eccessivo, una causa patologica di ambito gastroenterico:
![]() Il singhiozzo passa per lo più spontaneamente entro pochi minuti dalla sua comparsa, in altre occasioni invece con semplici “rimedi della nonna” che facciano rilassare il muscolo diaframma favorendo in questo modo l’interruzione delle contrazioni. Fra le più note soluzioni fai-da-te ricordiamo il trattenere il respiro per 15-20 secondi, farsi spaventare, bere acqua ghiacciata, portare le ginocchia al petto, mangiare un cucchiaino di zucchero o respirare da un sacchetto di carta appoggiandolo alla bocca. Qualora sia causato da un disturbo concreto e cominci a interferire con le attività quotidiane del soggetto, invece, è necessario eseguire una corretta diagnosi e, in attesa della stessa, si tenta un approccio farmacologico mediante farmaci antipsicotici, antinausea, antiepilettici, miorilassanti oppure inibitori della pompa protonica, qualora il disturbo sia di natura gastroenterica. Nulla di tutto ciò funzionò contro il singhiozzo di Charles Osborne, statunitense entrato nel Guinness dei primati per il suo, durato ben 68 anni, dal 1922 al 1990. Fonti: Focus [https://www.focus.it/scienza/salute/singhiozzo-serve] Malattie dell’apparato respiratorio, edizioni Minerva medica Immagini tratte da: Hiccup [https://www.huffingtonpost.com/prevention/the-scary-thing-your-hicc_b_7956300.html]; Get rid of hiccups [https://www.wikihow.com/Get-Rid-of-Hiccups-When-You-Are-Drunk]; Fisiopatologia del singhiozzo [https://medicinaonline.co/2016/09/11/perche-abbiamo-il-singhiozzo-quando-puo-diventare-pericoloso-e-come-farlo-passare/]
1 Commento
Il metodo scientifico – episodio 5
C'era una volta un tacchino che razzolava felice nell'aia. Ed era decisamente felice, anche perché di preoccupazioni non ne aveva. Ogni mattina si svegliava e sapeva di avere a disposizione tutta la giornata per razzolare, andarsene in giro per il campo e fare il gradasso con le altre tacchine, che sempre avevano per lui qualche gloglottio di ammirazione. E nemmeno del cibo aveva di che preoccuparsi, perché sapeva, e lo sapeva perché ci aveva prestato particolare attenzione, che ogni giorno, a mezzogiorno in punto, il suo padrone andava a riempirgli la mangiatoia. Il tacchino viveva dunque spensierato. Dalla sua sensata esperienza aveva appreso che ogni giorno aveva l'aia a disposizione e il padrone che gli portava il cibo. Questo fino alla vigilia del "Giorno del ringraziamento", quando a mezzogiorno il padrone, anziché riempirgli la mangiatoia, gli tirò il collo.
Questa simpatica storiella fu ideata da Bertrand Russel come critica al pensiero induttivo. Questo metodo, di cui ho parlato nello mio precedente articolo, consiste nel formulare un'ipotesi per spiegare un fenomeno e nello sviluppare un esperimento per dimostrare l'ipotesi, la quale poi può essere ritenuta vera o falsa a seconda dell'esito.
Russel capì che questo metodo porta con sé una fallacia enorme. Benché possa essere più o meno efficace nello spiegare un certo tipo di fenomeni, si rivela decisamente inefficiente nello sviluppare modelli che possano prevedere il comportamento di un sistema nel futuro. Questo perché il metodo induttivo tende a trovare spiegazioni generali partendo da situazioni particolari. Il passo successivo nella storia del metodo scientifico è la nascita del metodo deduttivo. In questo caso si ribalta il processo: l'obiettivo è partire da considerazioni di carattere generale per arrivare a prevedere gli aspetti particolari di un fenomeno.
Il metodo deduttivo è un po' più complesso da capire, per questo mi limiterò a darne una spiegazione più pratica che filosofica.
Partiamo dalla cosa più contro-intuitiva facendo un semplice esperimento mentale: vogliamo indagare se fra il sesso maschile e femminile esiste una differenza nell'altezza media degli individui. Prendendo un campione di 100 individui, di cui 50 maschi e 50 femmine, qualcuno sarebbe tentato di dire che semplicemente basterà misurare l'altezza di tutti e poi confrontare i valori ottenuti. Benché sia effettivamente questo il modo con cui si svolge l'esperimento, ciò non basta, perché avremmo applicato l'induzione, e se trovassimo una differenza fra i due gruppi, questa potrebbe essere solo una fortunata coincidenza. Bisogna fare un passo indietro. Quando si usa la deduzione, non vogliamo più dimostrare che la nostra ipotesi sia vera, ma al contrario, vogliamo dimostrare che sia FALSA. Spiazzante, non è vero? Eppure è proprio quello che si fa. Quando si disegna un esperimento, la prima cosa da fare è formulare la cosiddetta Ipotesi nulla, ovvero la condizione che rende falso il nostro assunto di partenza, in questo caso che l'altezza dei maschi e delle femmine sia diversa. Questo avverrà se i valori medi dell'altezza dei due gruppi non differisce abbastanza da essere considerata una differenza significativa (su questo ci torneremo in futuro). Per sapere se accettare o meno l'ipotesi nulla, vengono usati dei test statistici, i quali non fanno altro che valutare se il set di dati conferma o smentisce questa ipotesi. Solo quando si riesce a rendere falsa l'ipotesi nulla si può procedere a dimostrare l'ipotesi di partenza, che nel nostro caso può avere due esiti diversi: o i maschi sono più alti delle femmine, o le femmine sono più alte dei maschi.
Torneremo su questi concetti in maniera più approfondita in futuro, oltre che a parlare di altri aspetti fondamentali del metodo deduttivo, come il principio di falsificabilità e di riproducibilità.Per il momento lasciate sedimentare questa strana idea per cui se vuoi dimostrare qualcosa, devi provare in tutti i modi a dimostrare il suo contrario fino a che non è chiaro che questo non è possibile.
Foto tratte da: http://food.fnr.sndimg.com/content/dam/images/food/fullset/2011/10/5/0/FNM_110111-Mix-And-Match-035_s4x3.jpg.rend.hgtvcom.1280.960.suffix/1382540845964.jpeg http://www.dima.unige.it/~denegri/PLS2/PENSIERO_SCIENTIFICO%20DEF/FILOSOFIA%20DELLA%20SCIENZA/Images/induttivo.bmp http://phdcomics.com/comics/archive/phd121911s.gif
Donare il sangue? Io?! No assolutamente, non posso farlo, mi sentirei troppo debole, non sono in grado” Affermazione, questa, purtroppo piuttosto frequente, specie fra i più giovani che sarebbero invece i candidati ideali alla donazione. I motivi per cui compiere questo gesto sono tantissimi, riassumibili in 10 semplici punti: ![]()
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Ottobre 2022
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