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27/11/2018

Uguaglianza di genere

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di Pietro Spataro
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Quando parliamo di diritti per le donne possiamo anche parlare di scienza, in questo caso non parliamo di scienze naturali o mediche ma di scienze sociali, politiche ed economiche.
La gender-equality, termine inglese traducibile in “uguaglianza di genere”, è un termine tanto semplice quanto complesso, comprende al suo interno l’idea che entrambi i generi dovrebbero avere stessa dignità e stessi trattamenti.
Il 35% delle donne sperimentano nella loro vita qualche forma di disuguaglianza, dal più semplice maschilismo per strada o al lavoro fino al fenomeno delle spose-bambine, all’FGM (Female Genital Mutilation), dal piede fasciato alle donne-giraffa e molti altri esempi.
In quei paesi in cui è comune la pratica di disuguaglianza di genere la mortalità è tre volte maggiore, mentre restano sotto la media i valori di istruzione, sviluppo tecnologico e GNH (Gross National Happiness).
Il tasso di uguaglianza di genere può essere usato come indice sociale data la sua relazione con miglioramento del settore lavorativo, oltre che con crescita economica e sviluppo di un paese.
Per questo motivo all’interno dell’Agenda 2030, quel documento che individua i 17 obiettivi di sviluppo comuni a tutti i paesi delle nazioni unite a partire dalla sua sottoscrizione nel 2015 e fino al 2030, l’obiettivo numero 5 riguarda proprio il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione del genere femminile.
All’interno di tale punto, gli obiettivi delineati sono nove:
 
  1. porre fine alle forme di disuguaglianza di genere;
  2. porre fine alle forme di violenza contro le donne;
  3. eliminare le pratiche dannose contro le donne (FGM, spose-bambine, matrimoni forzati, ecc....);
  4. valutare il lavoro domestico;
  5. garantire la partecipazione e la rappresentazione del genere femminile in politica;
  6. garantire accesso ai diritti riproduttivi e sessuali;
  7. formulare ed eseguire riforme sociali per garantire alle donne pari accesso a risorse economiche, servizi finanziari e proprietà;
  8. promuovere l’uso della moderna tecnologia per migliorare l’emancipazione femminile;
  9. creare e promuovere politiche costruttive.
 
Perché a oggi nessun paese è ancora libero da queste problematiche? La risposta si ritrova all’interno delle “norme sociali”. Una norma sociale è una regola esplicita o implicita che riguarda la condotta dei membri all’interno di una società e raramente viene decisa a tavolino poiché si tratta di un risultato derivante dalle circostanze storiche della società stessa. Sono il risultato dei nostri modelli mentali e di come questi affliggono il nostro modo di percepire e interpretare tali percezioni mediante la costruzione di schemi (strutture cognitive) ed elaborati (schemi relativi ruoli sociali e stereotipi). Mediante questi, i nostri modelli mentali formano la nostra comprensione su cosa è giusto, naturale e possibile.
Combattere queste norme sociali significa cambiare i nostri modelli mentali e talvolta questo risulta davvero complicato. Spesso per fare questo serve un approccio sociale non lineare poiché questi problemi risultano a loro volta distribuiti su più dimensioni con pratiche di adattamento, riorganizzazione e co-evoluzione con la società nella quale sono inseriti. Gli approcci utili per risolvere tali problematiche sono multidimensionali. Si passa dall’approccio legale mediante cui costruire norme giuridiche, all’economico con la costruzione di un vantaggioso processo costo-beneficio, al commerciale mediante la pubblicizzazione dei benefici e per finire al comportamentale che tenta di istituire nuove norme sociali da sostituire alle precedenti.
La lotta alle scorrette norme sociali non è correlata solo all’eguaglianza di genere ma a un numero illimitato di pratiche quotidiane.
La disuguaglianza di genere resta presente sia nei paesi più poveri che in quelli più ricchi e dimostra che c’è ancora molto lavoro da fare.
 
Immagini tratte da:
 
sdg-tracker.org

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21/11/2018

I falsi miti sul raffreddore

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di Enrica Manni
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Le secrezioni nasali sono fra i sintomi più frequenti del raffreddamento
Il raffreddore è il classico malanno di stagione che fa capolino con l'arrivo dei primi freddi. È un'infiammazione acuta di origine virale che colpisce prevalentemente le prime vie respiratorie, il naso e la gola. Può durare pochi giorni o anche intere settimane ed è molto contagioso. Si trasmette principalmente in due modi: per via aerea, respirando aria infetta (il virus può essere disperso nell'aria dalla persona raffreddata attraverso le minuscole gocce d'acqua emesse con starnuti e colpi di tosse) e per contatto diretto con oggetti contaminati che tocchiamo quotidianamente, soprattutto con le mani. Dopo un breve periodo di incubazione che va dalle 4 alle 72 ore, esordisce  generalmente in modo piuttosto brusco con naso “chiuso”, starnuti, mal di gola, secrezioni nasali, malessere generale e mal di testa. A proposito di raffreddore molte delle nostre credenze in merito (o meglio, delle credenze di madri, zie, vicine di casa che si prendono la libertà di darci consigli medici) sono soltanto dei falsi miti che è bene sfatare.

 “IL FREDDO È LA CAUSA DEL RAFFREDDORE”: in realtà non è così, il freddo non è una causa, ma una condizione predisponente. A provocare il raffreddore, in realtà, sono i virus. Se ne contano più di 200 e appartengono a diverse famiglie. I maggiori responsabili del raffreddore sono quelli della famiglia dei Rhinovirus (dal greco rhis che significa naso). Ne sono stati identificati più di 100 e sono la causa del 30-50% di tutti i raffreddori. A seguire ci sono i virus appartenenti alla famiglia dei Corononavirus, responsabili del 15-20% dei raffreddori che si prendono agli inizi e alla fine dell'inverno. Il freddo invernale contribuisce, tuttavia, a rendere il nostro organismo più vulnerabile all’ingresso di questi microrganismi. Perché? La risposta va ricercata nell’istologia delle vie aeree superiori: le cellule delle narici e delle alte vie aeree sono tappezzate sulla loro superficie da peluria e da una sorta di ciglia, il cui compito principale è quello di filtrare l’aria e garantire il mantenimento di una quantità di muco che sia quella necessaria e sufficiente a regolare il livello ottimale di umidità e gli equilibri termici della zona interessata. Ebbene, quando l’aria è troppo fredda e non si usa l’accortezza di respirare attraverso una sciarpa (ottimo mezzo per riscaldare un po’ l’aria stessa, prima di introdurla attraverso narici e bocca), le ciglia di cui sopra non riescono a muoversi come dovrebbero e si creano, in tal modo, le condizioni ideali per subire l’attacco di uno dei numerosissimi virus del raffreddore.
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I Rhinovirus, responsabili di circa il 50% delle sindromi da raffreddamento
“È MEGLIO PRENDER SUBITO L’ANTIBIOTICO”: gli antibiotici sono farmaci efficaci contro infezioni batteriche, ed essendo il raffreddore, come abbiamo più volte sottolineato, di origine virale, sarebbe assolutamente inutile assumerlo. Di conseguenza gli unici prodotti efficaci contro il raffreddore servono per lo più a limitarne i sintomi come il naso chiuso e il mal di testa: contengono sostanze come analgesici, antistaminici e/o vasocostrittori che riducono temporaneamente la congestione delle mucose.
“È UN MALANNO ESCLUSIVAMENTE INVERNALE”: in realtà non è proprio così, ci si può raffreddare anche d’estate o in  primavera, anche se è innegabile siano l’autunno e l’inverno le stagioni con la più alta incidenza di questo malanno. Questo perché a causa del freddo si tende a uscire di meno, a rimanere in casa o in altri luoghi chiusi dove è più facile entrare in contatto con i virus rilasciati, per esempio,  da un semplice starnuto di una persona infetta. Inoltre, sempre a causa delle temperature gelide, anche negli ambienti più affollati (scuole, uffici, negozi) si tende a far cambiare l’aria meno frequentemente, facendo permanere i microrganismi nell’ambiente in cui si passa la maggior parte del tempo.
“È UNA COSA DA POCO”: Anche se si tratta di un disturbo lieve, il raffreddore non va trascurato: in alcuni casi, infatti, potrebbero presentarsi delle complicazioni.
Otite
Il raffreddore può provocare anche un'otite, un'infiammazione che interessa l'orecchio ed è più frequente soprattutto nei bambini. Può presentarsi con dolori all'orecchio, diminuzione dell'udito, rialzo della temperatura.
Sinusite
È una delle complicazioni più frequenti in seguito a un raffreddore. Consiste in un'infiammazione della mucosa che riveste i seni paranasali. Se le mucose che rivestono le pareti interne si gonfiano a causa di un'infiammazione, i condotti si chiudono, l'aria e le secrezioni di muco rimangono imprigionate, i batteri si moltiplicano, si forma del pus che preme contro le pareti dei seni, provocando forti dolori. Premendo con un dito le zone che circondano il naso, si prova una sensazione di dolore, che peggiora quando ci si china, ci si sdraia o si tossisce. La sinusite può presentarsi anche con un gonfiore e con un arrossamento delle palpebre di un occhio, altre volte può comparire con mal di testa frequenti e attacchi di tosse che si verificano soprattutto quando si è sdraiati.
Altre complicazioni
Nelle persone che soffrono di malattie croniche delle vie respiratorie dopo un raffreddore si può avere un riacutizzarsi della bronchite cronica. Le persone con asma e bronchite spesso hanno un aggravamento dei sintomi respiratori in seguito a infezioni virali.
“ASSUMERE TANTA VITAMINA C TI FARÀ GUARIRE PIÙ IN FRETTA”: certamente, una dieta ricca di vitamine e sali minerali aiuta al mantenimento di un buono stato di salute, così come mantenere costantemente una buona idratazione del corpo (bere tanta acqua), ma non per questo assumere quantità sovraumane di spremute d’arance farà passare il raffreddore più rapidamente. La quantità di vitamina C che il nostro organismo è in grado di assorbire è costante e non aumenta in base alle necessità.
Immagini tratte da:
http://www.meteoweb.eu/2013/10/come-prevenire-e-combattere-il-raffreddore-con-alimenti-e-rimedi-naturali/234613/]
https://www.youtube.com/watch?v=22ZVpcEOrJk

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14/11/2018

L’economia della felicità e del benessere

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di Pietro Spataro
L’essere umano ha sempre, dalla sua comparsa sulla Terra, rincorso la felicità. Solo di recente, però, alla parola felicità si è affiancata la parola ricchezza. Oggi crediamo che per essere felici sia necessario essere ricchi. Ci siamo mai chiesti se questa visone delle cose sia corretta o se la ricerca di questo binomio ricchezza/felicità comporti qualche sgradevole effetto sulla società in cui viviamo?
Se andiamo a correlare il tasso di realizzazioni personali con il tasso di disuguaglianza economica all’interno di ogni paese scopriamo che laddove è più semplice il movimento all’interno delle scale del reddito, e quindi maggiori sono le probabilità di auto-realizzazione/tracollo finanziario, maggiore è anche la disuguaglianza salariale.
Maggiore disuguaglianza salariale significa minore felicità?
A questa domanda tenta di rispondere il paper Inequality and happiness di Alesina, Di Tella e MacCulloch. L’articolo mostra l’esistenza di una diversa visione della cose tra cittadini americani (USA) ed europei. I primi sembrano pensare che i poveri siano tali per svogliatezza e che le differenze salariali non siano un problema per quest’ultimi. Al contrario gli europei sembrano invece credere che una parte del tasso di povertà sia da imputare alle differenze salariali all’interno della società.
Se chiediamo, mediante sondaggio, se alla base della realizzazione personale ci sia un buon tasso di fortuna i sondaggiati di USA, Francia, Giappone, Corea e Germania risponderanno con un sonoro No mentre a rispondere Si saranno Italiani, Cinesi, Indiani e Bengalesi.
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Alla domanda “la ricchezza fa la felicità?” risponde il Paradosso di Easterlin che mettendo a confronto il PIL a persona e la percezione della felicità dei singoli, ci mostra come i soldi siano importanti per chi è più povero ma tendano a dimostrarsi ininfluenti sulla felicità all’aumentare della ricchezza personale.
Il paradosso si osservò per la prima volta analizzando i due valori nelle loro variazione storica a partire dal dopoguerra in poi. I due parametri si mossero in parallelo dal dopoguerra fino agli inizi degli anni ‘60 per poi prendere direzioni opposte: il PIL continuò a crescere con relativa regolarità mentre la felicità cominciò un trend di diminuzione. Si può quindi affermare che i soldi fanno la felicità quando sono utilizzati per affrontare fame, malattie, problemi abitativi e spese famigliari ma perdono di importanza al superamento di una soglia funzionale.
Se confrontiamo il numero di relazioni interpersonali con il sentimento di felicità vediamo come i paesi col più alto tasso di individualismo siano proprio quelli col minor tasso di felicità.
La correlazione tra disuguaglianza salariale e un indice complesso, comprendente aspettativa di vita, analfabetismo, mortalità infantile, tasso di omicidi, imprigionamenti, tasso di nascite da genitori adolescenti, mancanza di fiducia nel prossimo, obesità, malattie mentali, mobilità sociale, mostra come una bassa disuguaglianza salariale comporta un miglioramento in salute e nei problemi sociali. Se però si prova a sostituire al tasso di ineguaglianza il salario pro-capite medio per i cittadini di ogni paese non si riesce più ad osservare alcuna relazione.
Ancora una volta possiamo usare la diseguaglianza salariale come fattore di correlazione con altri parametri come il tasso di salute dei bambini nei vari paesi del mondo (prodotto UNICEF) o con il tasso di fiducia fra persone. Entrambi questi confronti mostrano, in effetti, le correlazioni che ci aspettiamo.
Interessante è notare come la fiducia diminuisca all’aumentare della disuguaglianza salariale anche tra stati a simil-economia come i 50 Stati che compongono gli USA.
In ultima analisi si osserva anche una correlazione tra la frequenza degli stati di stress e depressione e la disuguaglianza.
Questi sono i dati, a voi spettano le conclusioni!
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Immagini tratte da:
https://geerthofstede.com/

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La Fast Fashion

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7/11/2018

Si sta come d’autunno sulla testa i capelli

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di Enrica Manni
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La perdita dei capelli si accentua durante il periodo autunnale
​​È vero che in autunno cadono più capelli?
In autunno i capelli cadono, al pari delle foglie, e non si tratta solo una diceria popolare, corrisponde alla verità ed è perfettamente fisiologico, non è nulla per cui allarmarsi. In realtà i capelli cadono durante tutto l’anno poiché ogni capello ha una vita media che può andare dai due ai sei anni trascorsi i quali cade e ricresce; questo ciclo vitale si ripete parecchie volte prima che, a causa dell’atrofia del bulbo, il capello cada definitivamente per non ricrescere mai più. Questo fenomeno coinvolge uomini, donne e bambini, anche se sembra manifestarsi in modo più accentuato in chi ha i capelli più lunghi; la primavera (fra aprile e maggio) e l’autunno (nel periodo che va da settembre a novembre) non fanno altro che incrementare questo fenomeno del 20-30% circa.
​
Il fatto che la perdita dei capelli si accentui durante il periodo autunnale, se ci facciamo caso, segue proprio il ritmo della natura: l’autunno è il periodo in cui gran parte degli organismi animali e vegetali si adattano all’abbassarsi della temperatura in vista del freddo inverno, gli alberi rilasciano le foglie, gli animali cambiano il pelo e gli uomini perdono i capelli.
Perché questo accade?
Di recente la scienza ha spiegato che questo fenomeno pare essere legato all’azione di alcuni ormoni la cui attività è influenzata dalla quantità di ore di luce disponibile e che pertanto cambiano concentrazione proprio a seconda dei ritmi stagionali . Questo cambiamento  induce una variazione nei livelli di ormoni androgeni circolanti, fortemente coinvolti nel metabolismo dei follicoli piliferi. Anche la temperatura sembrerebbe avere un ruolo rilevante anche se non propriamente fondamentale. Con il caldo dei mesi estivi, infatti, la velocità di crescita aumenta enormemente e con essa anche la quantità di capelli che raggiungono la fase di telogen (fase terminale del ciclo vitale di un capello) preparandosi al distacco: son proprio questi i capelli che cadranno di lì a qualche mese, ovvero proprio nel periodo autunnale. Altro elemento da non sottovalutare è il fattore stress: per molti, infatti, la fine delle lunghe e rilassanti giornate estive e la ripresa delle mansioni quotidiane è molto più traumatico del normale e può accentuare la caduta autunnale dei capelli. Infine con la profusa sudorazione dei mesi estivi si avrà la perdita di una gran quantità di sali minerali (ferro, rame, zinco,…) che servono per la costruzione della cheratina la quale andrà a sua volta a formare il capello. Una perdita di questi sali minerali porterà alla formazione di una cheratina povera, poco compatta che è una delle cause della perdita di una buona quantità di capelli in autunno.
Come si può intervenire?
FotoL’attività fisica regolare e una buona alimentazione possono aiutare a prevenire la caduta dei capelli
Trattandosi di un fenomeno fisiologico, la perdita autunnale di capelli non può essere completamente evitata, tuttavia se ne possono limitare gli effetti. A partire da uno stile di vita meno stressante per l’organismo, adottando delle buone consuetudini utili per rinforzare non solo i capelli, ma il corpo nel suo complesso. Innanzitutto, è bene praticare attività fisica regolare, così da migliorare la circolazione sanguigna, incentivare l’afflusso di sangue fin sul cuoio capelluto, ridurre colesterolo e pressione. Inoltre, lo sport ha effetti benefici anche su ansia e stress, due dei fattori che più contribuiscono nella caduta stagionale. È consigliabile abbandonare, o quantomeno accantonare, vizi come quelli del fumo e dell’alcol, che possono decisamente indebolire il capello dalla radice alla punta. È inoltre necessario sposare uno stile alimentare sano ed equilibrato, particolarmente ricco in proteine e sali minerali (importanti per la formazione della cheratina) ma anche e soprattutto di vitamine. La vitamina C rinforza il sistema immunitario e facilita la rigenerazione cellulare: porterà a una ricrescita più rapida della chioma. La vitamina A, e qualsiasi alimento ricco di betacarotene, rafforza capelli e unghie rendendoli più resistenti agli agenti esterni, mentre la vitamina E contrasta efficacemente l’azione dei radicali liberi, prima causa dell’invecchiamento cellulare e dell’atrofizzazione dei follicoli. Certamente amica sarà la frutta secca – noci, mandorle e nocciole, proprio abbondanti in autunno – ma anche il triptofano contenuto in tutta la verdura verde, nonché l’apporto di potassio, magnesio e altri sali minerali di zucca, zucchine, patate e banane.

Fonti:
[http://www.greenstyle.it/caduta-capelli-autunno-cause-rimedi-234452.html]

Immagini tratte da:
http://www.pinkblog.it/post/315579/caduta-dei-capelli-4-consigli-contro-i-problemi-stagionali
https://www.lifestyleblog.it/blog/2017/06/benefici-dellattivita-fisica-consigli-lestate/


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