ORWELL, GLI INFLUENCER E GLI OLOGRAMMI AL VIA DOMANI A PISA INTERNET FESTIVAL 2022 Alle ore 12 la conferenza stampa in Comune, con taglio del nastro a seguire alle Logge dei Banchi alla presenza delle istituzioni regionali e pisane insieme agli organizzatori del Festival. Tra gli ospiti della prima giornata: la sociologa Donatella Della Porta, il regista Micheal Radford, il wine influencer Stefano Quaglierini, l’attivista Diletta Bellotti #Imperfezione è la parola chiave dell’edizione n. 12, dal 6 al 9 ottobre COMUNICATO STAMPA Pisa, 5 ottobre 2022 – Connessioni ubique, sistemi democratici alla prova della Rete, Orwell nel Metaverso: è pronto ad aprire le porte al futuro Internet Festival 2022, la manifestazione che da 12 anni indaga il nostro rapporto con l’innovazione e il digitale, declinato quest’anno sotto l’hashtag #imperfezione. Giovedì 6 ottobre a Pisa la prima giornata della kermesse sarà inaugurata dalla conferenza stampa ufficiale, ospitata dalla sede del Comune di Pisa (via degli Uffizi, 1) in Sala delle Baleari alle ore 12. Seguirà il taglio del nastro con le istituzioni regionali – attesi il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, il presidente del Consiglio regionale, Antonio Mazzeo, gli assessori regionali a Innovazione e Istruzione, Stefano Ciuoffo e Alessandra Nardini– insieme alle istituzioni pisane - il sindaco di Pisa, Michele Conti e il presidente della provincia, Massimiliano Angori – insieme ai rappresentanti di CNR, Università di Pisa, Scuola Superiore Sant’Anna, Scuola Normale Superiore e Camera di Commercio Toscana Nord-Ovest. L’appuntamento per il taglio del nastro è alle ore 13 alle Logge dei Banchi, destinate a ospitare installazioni interattive e punti informativi durante tutta la durata del festival (fino a domenica 9 ottobre), oltre a fare da quinta allo street-palco di Pisa Open Stage, la stazione tecnologica per suonare dal vivo prenotandosi tramite una app, già sperimentata con successo durante la scorsa edizione di Internet Festival. Decine gli appuntamenti in diverse sedi della città, aperti al pubblico (prenotazione consigliata su www.internetfestival.it), con una coda di appuntamenti online fino a dicembre. Tra gli appuntamenti principali della prima giornata “Toscana digitale diffusa e connessa. Opportunità e progetti per raggiungere tutti” (Scuola Normale Superiore, ore 14.30), incontro con il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, l’assessore regionale all’innovazione tecnologica Stefano Ciuoffo, il sindaco di Pisa Michele Conti, il sindaco del Comune di Vecchiano Massimiliano Angori, l’amministratore delegato di Infratel Italia Marco Bellezza, il direttore organizzazione, pianificazione e sviluppo progetti della Fondazione Ugo Bordoni, Alessio Beltrame. Modera il Responsabile della Transizione Digitale della Regione Toscana Gianluca Vannuccini. A sviscerare il rapporto tra i sistemi democratici e il web, invece, saranno la sociologa Donatella Della Porta e il docente della Scuola Superiore Sant’Anna ed editorialista Francesco Strazzari, intervistati da Claudia Vago rispettivamente alle 14.30 e alle 16 al Centro Congressi Le Benedettine dell’Università di Pisa, sui risvolti geopolitici della guerra. Al via anche le presentazioni dei libri per la sezione Book(e)Book, per uno sguardo alla letteratura ai tempi di internet: ospiti dell’incontro condotto da Francesca Gorini sempre al Centro Congressi Le Benedettine (ore 17) Ezio Alessio Gensini e Leonardo Santoli, a cui si aggiungerà in collegamento video Valerio Rossi Albertini, fisico nucleare ma anche volto televisivo reduce da una stagione di Ballando con le Stelle. Il regista di “Orwell 1984” Micheal Radford, invece, presenzierà – a distanza – l’incontro “Dal Grande Fratello orwelliano al Metaverso”, in programma alle ore 18 al Cinema Arsenale, con proiezione del film a seguire. La serata prosegue alle ore 21 con “Come la settima arte ha disegnato il Metaverso”. Da “Tron” a “Matrix” passando per “Nirvana” e l’immaginario spielberghiano. Incontro con il critico Emanuele Rauco, autore del volume “Bigger Boat: il cinema di Steven Spielberg”, e proiezione di “Ready Player One”. In collaborazione con Libreria Ghibellina. In parallelo si aprono anche i T-Tour, attività laboratoriali dedicate a ragazzi delle scuole e agli adulti, a condurre i partecipanti in un altrove popolato dagli ologrammi. Tra gli eventi clou l’incontro I Giovani e la rete, imperfezioni e perfettibilità (Centro Congressi Le Benedettine ore 11- 12.30) moderato da Bernard Dika, consigliere del presidente Giani per le politiche giovanili, con alcuni degli influencer più seguiti dalla Gen Z: il fiorentino Wikipedro il wine influencer Stefano Quaglierini, l’attivista Diletta Bellotti e Leila Belhadj Mohamed, esperta di geopolitica, diritti e protezione dei dati. Per tutta la durata di IF2022 la città di Pisa si presenterà ancora più interattiva, tra installazioni ed esperienze di gaming fruibili dal pubblico tra le Logge dei Banchi e il Centro Congressi Le Benedettine dell’Università di Pisa, tra cui quella di Legambiente in tema di Agenda 2030, il contest gourmet “Il gusto dell’imperfezione”, promosso da Confesercenti Toscana Nord in collaborazione con alcuni ristoranti cittadini, e il gioco Go, check, click, una sfida interattiva a spasso per Pisa che venerdì 7 e sabato 8 consentirà di vincere premi per 5mila euro e conoscere la città oltre la Torre. Il contest coinvolge 82 negozi ed è realizzato con il supporto di ConfCommercio e Confesercenti. Sono destinati a restare, invece, i percorsi turistici interattivi pensati dal Comune di Pisa per suggerire percorsi tematici alternativi a quelli più classici della città della Torre: una serie di QR Code identificati dalla Croce di Pisa guidano i viaggiatori tra storie, aneddoti, antico e contemporaneo, con testi, video e musica. L’iniziativa sarà presentata ufficialmente domenica 9, dalle 10 alle 11. Media partner di IF2022: Rai Cultura, Rai Radio1, Rai Radio3, Rai Radio Kids, La Repubblica, QN Quotidiano Nazionale – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione, intoscana.it, Punto Informatico, SestaPorta.News. La rete è fornita anche quest’anno da Devitalia. Internet Festival 2022 è promosso da Regione Toscana, Comune di Pisa, Registro. it e Istituto di Informatica e Telematica del Cnr, Università di Pisa, Scuola Superiore Sant’Anna, Scuola Normale Superiore insieme a Camera di Commercio Toscana Nord-Ovest, Provincia di Pisa e Associazione Festival della Scienza. La progettazione e l’organizzazione sono a cura di Fondazione Sistema Toscana.
0 Commenti
Il dolore sociale di Leandro Gentili Esattamente come un sistema di allarme, il dolore ci avvisa che qualcosa non va come dovrebbe.
Dalle neuroscienze abbiamo appreso che questo allarme ha una componente fisiologica - legata all’elaborazione delle qualità fisiche degli stimoli e una componente emotiva. Quando lo stimolo è di breve durata si attivano solo le aree sensoriali del cervello, che ci informano sulle qualità fisiche dello stimolo, come la posizione, l’intensità, l’estensione e molte altre. Quando invece il dolore si prolunga nel tempo, ecco che entrano in azione parti del cervello coinvolte nell’analisi delle informazioni emotive, ed è proprio questo tipo di analisi che ci permette di percepire il dolore quale un’esperienza negativa, estremamente personale e soggettiva. A questo punto arriva il dato interessante: recenti studi hanno osservato come le aree cerebrali deputate all’analisi del dolore - in particolare la corteccia prefrontale, l’amigdala e la corteccia cingolata anteriore - siano attivate dal dolore psicologico anche in assenza di un danno organico. I ricercatori definiscono questa esperienza come dolore sociale, identificandolo con qualsiasi tipo di dolore non fisico, in genere causato da isolamento o esclusione sociale. Quali sono le “ferite” sociali? Fenomeni come il bullismo, il cyberbullismo, il mobbing sono quasi sempre accompagnati da da vissuti di vergogna, umiliazione, imbarazzo e senso di inadeguatezza da parte della vittima. Inoltre la dimensione relazionale indica che non sono necessariamente le dinamiche del gruppo a esacerbare questo tipo di esperienza, anche la fine di una relazione può per condurre la persona a sperimentare lo stesso senso di esclusione e di isolamento, specialmente se si è vittima ghosting - il partner abbandona la relazione e si rende irraggiungibile senza fornire spiegazioni come fosse un fantasma - . Ci sono conseguenze a lungo termine? Sembrerebbe che il dolore sociale persista molto più a lungo rispetto a quello fisico, continuando a generare sofferenza anche molto dopo che ci si è allontanati dalla causa scatenante. Sul lungo termine le persone possono sperimentare un aumento dell’aggressività e dell’impulsività, ma anche cambiamenti significativi al livello fisiologico come: disturbi del sonno, alterazioni cardiovascolari e una minore efficienza del sistema immunitario. Ma non è tutto, pare infatti che un umore depresso si accompagni a una maggiore attività della corteccia cingolata anteriore - coinvolta dell’elaborazione del valore affettivo degli stimoli - rendendo difatti più intensa la percezione del dolore rispetto a chi invece vive uno stato emotivo neutro o positivo. Come lo si affronta? Purtroppo esiste ancora oggi un pregiudizio diffuso verso questo tipo di sofferenza, uno stigma che rende difficoltoso l’accettare e il chiedere aiuto e che porta le persone a mantenere il silenzio sul proprio disagio psicologico. Il prolungarsi dell’isolamento corrode le risorse a disposizione dell’individuo e aspettare che la cosa “passi da sé” può essere una strategia deleteria a lungo andare. Il modo migliore per contrastare il dolore sociale è quello di agire sui fattori che mantengono e alimentano il sintomo, come per esempio fattori “strutturali” quali il vivere da soli e la mancanza di contatto sociale. Allo stesso tempo è necessario costruire intorno a sé una rete di supporto emotivo - amici, parenti, colleghi, ecc. - che possa sostenere il peso delle angosce nei momenti di difficoltà. Infine è sempre opportuno e consigliabile rivolgersi a figure professionali per ricevere l’aiuto di cui si potrebbe avere bisogno. In conclusione le ferite dell’animo non si vedono, ma ci sono e sono dolorose quanto quelle fisiche poiché, per il nostro cervello, non c’è poi molta differenza tra le due. Immagini tratte da: - Foto di mohammed Hassan da Pixabay Bibliografia Articoli AIRInforma - Perché fa così male? Le basi neurologiche del dolore sociale AIRInforma: Il portale di divulgazione di AIRIcerca - https://www.fondazioneveronesi.it - Pubblicato il 18-01-2016 DONALD D. PRICE, Psychological and Neural Mechanisms of the Affective Dimension of Pain, SCIENCE, 9 Jun 2000, Vol 288, Issue 5472, pp. 1769-1772 , DOI: 10.1126/science.288.5472.1769 Schulz, E., May, E.S., Postorino, M., Tiemann, L., Nickel, M.M., Witkovsky, V., Schmidt, P. Gross, J. & Ploner, M. (2015). Prefrontal gamma oscillations encode tonic pain in humans, Cerebral Cortex. Xiao Xiao, Yu-Qiu Zhang, A new perspective on the anterior cingulate cortex and affective pain, Neuroscience & Biobehavioral Reviews, Volume 90, 2018, Pages 200-211, ISSN 0149-7634. Yoshino, A. et al. “Sadness enhances the experience of pain via neural activation in the anterior cingulate cortex and amygdala: An fMRI study.” NeuroImage 50 (2010): 1194-1201. di Chihuahua Anche tu hai bisogno di “parlare con qualcuno”? Per me è una soddisfazione poter rispondere a questa domanda anche se generalmente è posta con grande stupore. In realtà, forse, suggerisce che ci sono persone interessate alla salute mentale dello psicologo. Per noi è importante rivolgersi a un collega che si occupi della supervisione, uno spazio di ascolto che aiuti a “stemperare” un po’ la portata dei problemi che, per motivi di lavoro, abbiamo deciso di ascoltare. A parte questi dettagli, anche allo psicologo capita di fare esperienze sociali, conoscere persone nuove, coltivare amicizie più o meno profonde: un po' come tutti, affermerei, è una persona. Una persona qualsiasi che ha scelto questo lavoro ed è spinta dalla passione per la materia, azzarderei. Ho scelto per professione di ascoltare i pensieri dei pazienti, quello che non ho scelto è invece ascoltare i problemi di amici, parenti e conoscenti. Per questione deontologica ci è proibito prendere in carico persone con cui vi è o vi è stato un rapporto significativo, ma oltre la legge c’è proprio una questione di coerenza. La maggior parte dei laureandi in psicologia converranno con me nell’affermare che durante gli anni di studio (tanti anni!) si sono sentiti, almeno un po’, screditati e snobbati per la scelta formativa. Sono sicura che anche a loro è capitato di attendere in gloria una serata in compagnia, all’insegna del relax dello studente sfigato, per poi ritrovarsi ad affrontare ore ed ore di fiumi di problemi altrui. Nella mia statistica personale vanno per la maggiore i soggetti semisconosciuti che dicono di voler migliorare i propri rapporti interpersonali, e si aspettano la soluzione immediata. E la cosa non cambia molto una volta ottenuta l’abilitazione alla professione. Improvvisamente, da professione pressoché "inutile" sei catapultato nel vortice del “ti impongo i miei problemi prima ancora che tu possa ribellarti”. Al di là della valanga inesorabile di fatti, tanto dettagliati quanto sconnessi tra loro, personalmente penso che sarebbe opportuno chiedersi quanta coerenza ci sia in questi comportamenti. Andare dallo psicologo? Giammai! Se però lo psicologo si trova a cena tra amici deve valutare immancabilmente il rischio di cadere ostaggio di qualche situazione estremamente complicata. In altre situazioni invece dire di cosa ti occupi porta l’interlocutore a mettere in atto le classiche reazioni da stress acuto: si paralizza e ti scruta con l’occhio felino, fugge dalla conversazione e sposta l’attenzione sulla prima banalità, oppure si pone sulla difensiva. Si tratta di colui che non ha bisogno di parlare con nessuno perché non crede nella psicologia, e non argomenta ulteriormente perché tanto “se sei psicologo sai già cosa sto pensando”. Su un’altra questione resto perplessa: in alcuni casi quando dici che ti occupi di salute mentale stai parlando, guarda caso, con uno psicologo mancato. Sfortunatamente non tutti hanno potuto realizzare il sogno nel cassetto, mi è capitato di parlare con persone che purtroppo hanno dovuto fare altre scelte. Qualcuno ha mantenuto alto l’interesse per la materia, e anche se svolge un altro mestiere, si documenta e legge di tutto sull'argomento. Tuttavia mi incuriosiscono particolarmente quei casi limite che da una parte descrivono una frustrante situazione professionale inserita in una dura routine quotidiana, e dall’altra parte lasciano intendere di essere a conoscenza dell’algoritmo del benessere perché, pare, i problemi se li risolvano da sé. Si scorge un po’ di soddisfazione quando l’interlocutore approva il tuo lavoro, ti accoglie con ammirazione ed effettivamente riconosce che è una professione dignitosa come tutte le altre. E’ una sensazione di sollievo così intensa e rara che appena ne assapori il piacere l’altro ti serve la battuta –originalissima tra l’altro- che invita la moglie, o il marito, a fare un tagliando al cervello. Tutto svanisce improvvisamente, a commentare l’accaduto restano solo le espressioni allucinate. Inoltre è piuttosto diffusa la pretesa di farsi istruire su come far cambiare idea a qualcuno su qualcosa, una sorta di “bacchetta magica” presa in prestito per manipolare il prossimo. Si desidera una “pillola di saggezza” che possa risolvere all’istante una vita complessa. Sorpresa! Lo psicologo non pronuncia incantesimi, e soprattutto non impone niente a nessuno, come potrebbe quindi insegnare ad imporsi? Non è questa la scienza che impariamo con anni di fatica. Si, la psicologia è scienza. Per chi la ama è la migliore che ci sia, anche se a volte isola come niente altro è in grado di fare, nonostante lo psicologo abbia bisogno di stare tra le persone, osservare la società e le relazioni. Osservo e ascolto tutto ciò che mi circonda e il senso di solitudine è difficilmente spiegabile, perché da fuori non si vede. Il telefono squilla, le serate in compagnia non mancano, il punto è trovare un non collega che ascolta noi, con dubbi annessi e connessi. In questa professione regna la costante minaccia di rimanere schiacciato tra le parole di amici e conoscenti costantemente incastrati nelle mille difficoltà della vita, e poi non si sa né come e né se le affronteranno. Mi chiedo: chi ascolta i nostri momenti neri? Perché vi svelo un altro segreto: ce li abbiamo. La sensazione è quella di aver sbagliato proprio tutto, a partire dalla scelta del corso universitario, e la cosa più difficile è trovare qualcuno ascolti te e che ti accolga per quello che sei: un essere umano senza sfere di cristallo al seguito, ma con il naturale bisogno di confrontarsi con gli altri, la libertà di poter chiedere un semplice consiglio a un amico o a chiunque altro che non sia un collega, senza che il tuo lavoro venga strumentalizzato contro di te. Se lo psicologo ha un dubbio, figuriamoci gli altri. Mi chiedo quanti pregiudizi, credenze e aspettative verranno ancora riservati a questa figura professionale. Solo una cosa posso affermare con sicurezza: ogni psicologo che ho conosciuto è fiero del proprio percorso formativo, e non vorrebbe mai cambiare mestiere. Immagini tratte da: Immagine 1 da wayhomestudio da freepik Immagine 2 da John Hain da Pixabay dello Psicologo Leandro Gentili Dallo scorso anno in Toscana è attivo un servizio di psicologia che opera in collaborazione con alcuni medici di medicina generale per cercare di avvicinare l’assistenza psicologica alla popolazione. Ci siamo fatti raccontare come, in occasione del primo lockdown, quattro psicologhe abbiano unito le loro competenze e le loro esperienze. Proprio durante questo periodo emergenziale, abbiamo fortificato il nostro gruppo realizzando un progetto-pilota che possa unire gli intenti dell'emergenza Covid-19 a quelli dell'affiancamento dello psicologo al medico di medicina generale. Dallo scorso anno state portando avanti un progetto comune, dal titolo “Lo psicologo nelle Cure Primarie in emergenza da COVID19”, che rappresenta una sfida che va ben oltre la semplice consulenza psicologica, in che cosa consiste? Si tratta di un progetto nato per incontrare e raccogliere i bisogni delle persone in questo periodo emergenziale proprio perché è necessario un supporto alla salute in generale: in quanto professione sanitaria lo Psicologo nelle Cure Primarie può essere chiamato a rispondere e a sostenere la cittadinanza nei casi di grave emergenza, laddove è necessario attivarsi per raccogliere emozioni, elaborare i vissuti di lutto, ricostruire la propria vita su un nuovo equilibrio. Questo momento storico ci sta mettendo di fronte ad una forma di stress molto difficile da gestire, e proprio per questo in riferimento al concetto di salute dell’OMS (2011) come capacità di adattamento e di autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive, il nostro obiettivo è quello di sostenere il cambiamento e l’adattamento ai nuovi scenari psicosociali emergenti. Offrire uno spazio di ascolto permette di individuare precocemente le situazioni di disagio psicologico: è un servizio di consulenza e sostegno rivolto ad adulti, anziani, adolescenti e bambini. A proposito dell'accoglienza e dell'ascolto, lo psicologo Carl Rogers diceva che "quando si viene ascoltati ed intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili, si trasformano in ruscelli che scorrono relativamente limpidi". Riteniamo che da questo si debba partire, perché l'obiettivo è quello di avvicinare la psicologia a più persone possibili. In che modo è possibile ripensare la psicologia perché più persone possano beneficiare di questo servizio? L'obiettivo della psicologia nelle cure primarie è quello di garantire benessere psicologico di qualità nella medicina di base, sul territorio, vicino alla realtà di vita dei pazienti alle loro famiglie e alle loro comunità. Il compito dello Psicologo nelle Cure Primarie è quindi quello di fornire un primo livello di servizi di cure psicologiche, di qualità, accessibile, efficace, ed integrato con gli altri servizi sanitari, caratterizzato dunque anche da costi contenuti e contraddistinto da una rapida presa in carico del paziente. Il medico di famiglia può avvalersi del contributo dello psicologo? Il contatto diretto tra Psicologo e Medico di Medicina Generale o Pediatra di Libera Scelta permette di prevenire e curare la malattia con un approccio globale alla persona. In questo senso è importante strutturare un contesto dove l’assistito può esprimere il bisogno in termini di salute psicofisica, inteso come un servizio di ascolto e sostegno psicologico previsto per tutti, equo ed accessibile. Il nostro sogno, reso poi concretamente nel progetto che stiamo portando avanti con un gruppo di medici della provincia di Pisa, è che lo psicologo sia presente, accessibile, alla portata di tutti e soprattutto un punto di riferimento per i cittadini, di quel territorio, di quella comunità, come lo è da sempre il medico di medicina generale, in collaborazione con lui. Può essere questo il periodo storico più adatto per sviluppare una sensibilità maggiore verso il disagio psicologico? Lo è a maggior ragione, perché tutti stiamo vivendo un evento drammatico e come lo affrontiamo fa la differenza. Vogliamo far capire che la psicologia non vuole apporre etichette di malattia, ma anzi vuole essere uno spazio di parola, di confronto, di ricerca di risorse e sviluppo di resilienza. C’è bisogno di dare un significato, un senso a tutto questo, di riattivare la progettualità, ripensare al futuro con speranza, e questo non significa che ci sia bisogno di un lungo percorso psicologico. Il disagio può essere reattivo alla situazione, passeggero e non c’è niente di male ad affrontarlo con qualcuno di competenza prima che diventi dolore, prima che l’ansia diventi angoscia, prima che la tristezza possa sfociare in altro. Tutto ciò non è ineluttabile o da sopportare da soli, o in silenzio per forza, come la cultura ci insegna, ma è importante parlarne: il supporto sociale e il confronto sono fondamentali. In Italia la figura dello psicologo di base non esiste ancora, sebbene siano stati fatti dei passi avanti per la sua istituzione. Che cosa vi augurate per l’immediato futuro? La psicologia deve essere trattata sullo stesso piano della medicina, proprio perché la salute non è assenza di malattia ma benessere fisico, psichico e sociale. Siamo organismi, sistemi connessi in relazioni, in contesti. Dobbiamo tenere a mente che ci si può “ammalare” anche di relazioni, così come le stesse ci possono guarire. Questo cambiamento culturale, noi nel nostro piccolo lo abbiamo iniziato in maniera sperimentale. Il nostro intento è diffondere una cultura psicologica nelle cure primarie, dove si intende la prima forma di assistenza, la prevenzione di un disagio o di una psicopatologia, di una cronicità e significa quindi arrivare prima, esserci per dare spazio e parola al dolore. Come pensiero rivolto al futuro ci immaginiamo che sia importante dialogare con le istituzioni, la politica, affinché possa essere istituita questa figura a livello territoriale come già avviene in altre realtà europee. Sicuramente serve un cambio culturale e di prospettiva; noi siamo fiduciose che questo avvenga e il nostro progetto ne è una prova. Immagini tratte da: - Immagine 1 da freepik.com - Immagine 2 da rawpixel.com -Immagine 3 da freepik.com -Immagine 4 gentilmente concessa dalle proprietarie Psicologo Leandro Gentili ![]() Benché esista già da qualche tempo, lo smart work ha acquisito notevole rilevanza a partire dal lockdown, quando termini come zoom, videocall e webinar sono entrati a pieno titolo nel lessico quotidiano. In certi ambienti si è tratta di una vera e propria rivoluzione, come ad esempio nel mondo della scuola e della formazione, dove si è imposta una transizione massiccia da un modello didattico tradizionale a uno più dinamico e flessibile. Per approfondire questo tema abbiamo rivolto alcune domande a Roberto Luperini, formatore e autore su Public Speaking e formazione formatori. Da anni studia l’utilizzo dei webinar per la formazione e insieme ad altri colleghi ha appena pubblicato un libro sull’argomento: “Zoom sul webinar”. Durante il lockdown abbiamo assistito a una rivoluzione del modello lavorativo, ma non solo, ad essa si è accompagnata anche una rivoluzione della comunicazione tra persone. Certo la rivoluzione c’è stata sia da un punto di vista degli strumenti che dal punto di vista degli utenti. Moltissimi hanno utilizzato per la prima volta videoconferenza e webinar per scambiare informazioni o fare formazione. Quindi ai disagi dovuti alla comunicazione a distanza si sono sommati quelli dell’inesperienza e della strumentazione non adeguata. Un forte cambiamento ha investito anche chi utilizza i webinar da anni. Un conto è un uso sporadico, altro è averli come unico strumento di comunicazione professionale. Quali difficoltà ha incontrato nel passaggio alla formazione online? Questo passaggio l’ho compiuto anni fa ma non si assenta mai. Come cambiano gli strumenti, la frequenza e gli utenti. Mi spiego, storicamente passavo da due a quattro ore in webinar la settimana, oggi formatore e partecipanti rischiano di restare inchiodati dietro lo schermo tutto il giorno. Questo comporta una serie di problemi dovuti alla stanchezza fisica, psicologica e alla quantità enorme di possibili fraintendimenti dovuti allo scarso feedback. Le chiedo Roberto, dal suo punto di vista, quanto è importante il feedback visivo per un formatore? Beh è la base. Raramente le persone esprimono apertamente disagio, rabbia o incomprensione in un’aula di formazione, Questi sentimenti vengono colti dal non-verbale. In un webinar se va bene si vede la faccia. Inoltre molti partecipanti si sottraggono al video. In questo caso la situazione si aggrava, alla sensazione di parlare da solo, si somma l’impossibilità di adattare un corso alla comprensione, energia e impegno dei partecipanti. In che modo ha cercato di dare soluzione a questi problemi? Se le webcam sono aperte si può rimediare studiando con attenzione i volti dei partecipanti, se no bisogna utilizzare qualche trucco. In ogni caso penso che per i corsi sui soft skill ci vogliano le webcam aperte. Senza interazione non c’è apprendimento in queste aree. Nella relazione con le persone, che cosa è cambiato con lo smart work? Nel breve molti hanno sperimentato un aumento di produttività dovuto proprio ai limiti degli strumenti di comunicazione che spingono a concentrarsi sull’obiettivo, Nel prosieguo del lockdown, il moltiplicarsi di incomprensioni e conflitti ha portato molti a una “fame di incontro” e a perdita di motivazione. Lei è anche coautore insieme ad altri colleghi dell’eBook “Zoom sul webinar”, nato durante i mesi di lockdown, nel quale offrite una guida operativa per lo smart work. Noi ci siamo concentrati sulla formazione, forse la sfida più complessa. Siamo giunti alla conclusione che si possono tenere webinar efficaci anche su aree delicate ma è necessario molto impegno. Bisogna riprogettare i corsi e aggiungendo divertimento, calore e interazione profonda con e tra le persone. Senza dimenticarsi che senza esercizi fisici specifici, giochi e pause, la mente non può tenere. Il disagio fisico alla fine chiede il suo prezzo. Per approfondire: - Sito web di Roberto Luperini https://www.davantiatutti.it/ - Qui trovate il libro “Zoom sul webinar”. Immagini tratte da: - Immagine 1 realizzata da Roberto Luperini - Immagine 2 realizzata da Maurizio Passerini - Immagine 3 tratta da www.freepik.com di Enrico Esposito Nel negozio di vernici di suo nonno Elio De Filippo ha ricevuto quel battesimo che non l’ha più abbandonato. Le tonalità dei colori si sono impossessate del suo interesse più grande e l’hanno stimolato a dedicarsi al disegno e successivamente alle evoluzioni nel campo della grafica. Erano i tempi del liceo, ed allora Elio si era già dato il nome d’arte che oggi ha “trasferito in eredità” al suo studio di videomaking, graphic art e fotografia: Nubes. Un termine latino che fa riferimento all’immagine delle nuvole solo apparentemente oscura, ma in realtà depositaria di contenuti profondi, nascosti e significativi. Le nuvole che prendono il sopravvento al termine dell’estate, quando arriva il settembre e con questo l’autunno a riempire un periodo dell’anno per Elio senza pari, carico di ispirazione e nuove chances per i suoi progetti. Lo Studio Nubes è nato quattro anni fa in via Paolo Falciani a Sarno, paese natale di Elio e Jessica Squillante, sua compagna nella vita e in questa esperienza lavorativa importante. Dopo aver condiviso le loro attività negli anni passati, nel 2016 si è presentata la possibilità di trasferirsi all’interno di un proprio quartier generale, in grado di garantire ad entrambi la libertà di gestire e operare i loro progetti nella maniera migliore. Nubes è diventato la sede delle riprese dei videoclip di Elio e dei servizi fotografici di Jessica, ai quali si affiancano naturalmente i differenti lavori in esterna. Accogliente ed elegante, lo studio porta incise sulle sue pareti da una parte icone cinematografiche e musicali e dall’altra scatti di Jessica che testimoniano momenti particolarmente significativi della storia di Nubes. Sono quarantadue i videoclip che Elio ha diretto finora, ricoprendo un ruolo (quello del regista) imprevisto alcuni anni fa. Come raccontato nell'incipit di questo articolo, la grafica rappresenta da tempo il suo primo amore, il campo d’interesse al quale si è appassionato e perfezionato. Elio ha esplorato questo mondo a fondo, intraprendendo un percorso di studio ampio, a partire dai corsi di Openart a Napoli, fino ad arrivare a realizzare diversi progetti di grafica pubblicitaria per l’Università di Lugano. Sul sito ufficiale studionubes.com sono presenti diverse sezioni che evidenziano la passione e la versatilità nel settore della graphic art: dalle copertine di albums (Elio è inoltre anche un batterista e ha suonato in diverse bands locali), loghi ai depliants e locandine aziendali e alle illustrazioni, sono tanti gli ambiti in cui Elio si diverte a manifestare la sua creatività fondandosi tuttavia su un presupposto imprescindibile. La tecnica, lo studio, l’impegno sono fondamentali per produrre l’ispirazione, al di là del colpo di genio, dell’idea fulminante, come sostiene in una sua famosa massima David Lynch.
Elio ha preso parte a una masterclass del grande cineasta che gli ha permesso di entrare in diretto contatto con questo e molti altri concetti relativi ai principi della creatività e all'arte della pellicola, preziose conoscenze per la filosofia alla base della sua attività di videomaker. "Dry your eyes" degli Ash Code è stato il primo videoclip diretto nel 2013 da Elio, ad inaugurare questo nuovo percorso lavorativo, e inoltre una collaborazione significativa e duratura con la band napoletana e altri artisti (Hapax, Geometric Vision) dell'etichetta Swiss Dark Nights Label, punto di riferimento della scena dark wave internazionale. Era il 2016 e da allora sono stati portati a termine clips negli interni dello Studio e in differenti location esterne che hanno permesso a Elio, con l'assistenza fondamentale di Jessica, di poter sviluppare varie idee in termini di scrittura come di sperimentazione, come ad esempio la scelta di recuperare immagini e video di repertorio. Esperienze molto positive dal punto di vista compositivo e umano, che hanno visto la partecipazione di grandi nomi della scena musicale italiana come Clementino, Luca Persico Zulu, Marcello Coleman. Nei tempi recenti di lock-down e fase 2, un progetto di grande prospettiva che ha visto anche il contributo dello Studio Nubes è il Gothicat Festival, il più importante festival dark-wave a livello mondiale che a partire da marzo ha organizzato quattro concerti online della durata di tre ore e mezza e visualizzati da ben 180.000 fans. Mentre gli ultimi aggiornamenti socials raccontano del making of del nuovo video del duo trash-rock dei THE DEVILS, Elio e Jessica ci hanno rivelato un ambizioso progetto al quale stanno lavorando consistente in una serie di videoclips con protagonisti gli Ash Code, dando vita ad una narrazione articolata in episodi.
Dulcis in fundo, è bene ricordare che all'interno dello Studio Nubes Jessica allestisce i set per i suoi servizi fotografici, che spaziano dal backstage dei videoclip, alla moda, al campo sterminato della pubblicità, che ha visto lo stesso Elio produrre spot in particolar modo destinati a realtà imprenditoriali del territorio, tenendo ben saldo un legame viscerale figlio di un attaccamento e una fiducia autentici.
Contatti
Sito web Immagini tratte da foto Jessica Squillante ad eccezione dell'immagine 1 tratta dalla pagina facebook di Studio Nubes dello Psicologo Leandro Gentili Perché sorridiamo quando siamo nervosi? Come tutti sappiamo il sorriso appartiene ai momenti di felicità e benessere, perché allora lo sfoggiamo anche quando ci sentiamo a disagio e in imbarazzo? Non è un caso infatti che molte persone sorridono per mascherare situazioni imbarazzanti, persino quando l'ansia o la paura sono molto forti. RIdere nervosamente è una risposta riflessa a situazioni di potenziale minaccia, della quale non ci rendiamo pienamente conto se non quando ormai è già presente. Qual è l'origine di questo comportamento? Nel regno animale l'atto di mostrare i denti rappresenta generalmente un segnale di minaccia, si pensi per esempio ai cani o ai grandi felini che espongono le zanne per intimorire l'avversario. Tale comportamento prende il nome di fear grin e per diversi decenni si è pensato che il sorriso, tipico della specie umana, derivasse in linea evolutiva da quello dei primati. Gli scienziati hanno notato anche che alcune specie di scimmie scoprono i denti in segno di sottomissione piuttosto che di sfida, in questo modo riescono a evitare i conflitti nelle dispute tra membri del branco. Il sorriso può però assume significati e connotazioni diverse per noi umani: si sorride a una persona per salutarla e comunicarle che siamo felici di vederla, si sorride per stabilire un contatto amichevole, oppure per esprimere un'emozione di gioia, o per manifestare interesse. Insomma, quello che comunica è nella maggior parte dei casi che "va tutto bene, non sono una minaccia". Recenti ricerche (Davila-Ross et. al., 2015) hanno però confermato la presenza tra gli scimpanzé di un sorriso sociale molto simile a quello umano, qualitativamente diverso dal fear grin, ricostruendo in questo modo il legame evolutivo nel comportamento delle due specie. Il sorriso come negazione del pericolo Già Stanley Millgram nel suo famoso esperimento sull'obbedienza all'autorità ha evidenziato come i soggetti che si trovano a vivere situazioni di forte impatto emotivo e stress siano portati a sorridere o ridere nervosamente. Secondo questa tesi, il riso potrebbe costituire una forma di autodifesa volta a negare l'effettiva sgradevolezza e pericolosità delle circostanze alle quali non è possibile sottrarsi immediatamente. La funzione esorcizzante sarebbe confermata anche da Fritz Stack, il quale ha dimostrato che il sorriso è capace di stimolare il buon umore, in quanto la contrazione dei muscoli facciali viene interpretata dal cervello come segnale di felicità e, prescindendo dallo stimolo che l'ha generata, si sintonizza con stati d'animo più positivi. Semplificando molto, si può dire che sorridere mette di buon umore. Sembra dunque che ridere non sia un atto legato strettamente all'espressione di gioia o felicità, ma quanto più a convincere chi ci sta intorno che tutto vada bene. Il termostato sociale Nella teoria comunicativa delle emozioni si ipotizza che il sorriso non sia necessariamente legato all'espressione emotiva, ma piuttosto che venga impiegato come strumento regolatore dei rapporti sociali; grazie a esso è possibile infatti influenzare l'atteggiamento degli altri nei propri confronti e negoziare la qualità della relazione intrattenuta con l'interlocutore. La valenza sociale del sorriso è confermata anche da Ekman e Fernàndez-Dols, secondo i quali il nostro repertorio è ricco di quei comportamenti che hanno il preciso fine di garantire e conservare l'appartenenza al gruppo rendendoci più desiderabili, ben voluti e accettati. Per approfondire: Ekman Paul (2015). I volti della menzongna. Gli indizi dell'inganno nei rapporti interpersonali. Giunti Marsigli Nicola (2018). Stop all'Ansia sociale. Strategie per affrontare e gestire la timidezza. Centro Studi Erikson Milgram, S. (1963) Behavioral study of obedience. Journal of Abnormal Social Psychology, 67, 371–378. Psicologia del sorriso Chimpanzees can laugh and smile like us Why do we smile and laugh when we're terrified? di Leandro Gentili, psicologo
Quando la salute è a rischio, proteggersi dovrebbe essere un atto spontaneo di responsabilità verso sé stessi e verso gli altri. Le cose tuttavia non sono così semplici, specialmente se ci chiediamo come mai, in piena emergenza epidemiologica una parte della popolazione sembra voler ignorare la gravità della situazione, infrangendo, talvolta deliberatamente, le restrizioni imposte per arginare il contagio? La teoria della motivazione a proteggersi Secondo Ronald Rogers (1975) i comportamenti protettivi per la salute sono il prodotto della percezione della gravità della malattia, della sensazione di vulnerabilità personale e dell’efficacia della risposta di coping nel ridurre tale minaccia. Questo processo non è razionale e analitico, bensì guidato dalle credenze e dagli atteggiamenti nei confronti del rischio, nonché dalla personale esperienza con la malattia stessa (Kahneman 2012) . Quando la minaccia è ritenuta irrilevante, l’individuo non ritiene di dover adottare nessuna azione preventiva. Inizialmente il COVID-19 ha destato ben poco allarme nei singoli a causa dello scarso impatto emotivo, sia per la distanza geografica sia per l’atteggiamento del falso ottimismo - ritenere di essere immuni dal pericolo rispetto ad altre persone nella medesima situazione -. Dal punto di vista della massa, invece, la gravità di un pericolo viene stimata da quanto più diffusamente se ne parla; in questo senso la copertura mediatica ha influenzato in modo significativo la percezione del pericolo, per questa ragione solo dalla metà di Febbraio si è potuto assistere a fenomeni parossistici da panico generale. Se la percezione di rischio è alta, ma il senso di autoefficacia è basso le persone ha paura. Le misure disposte per prevenire il contagio vengono eseguite se le persone ritengono che vi sia un alto rischio e contemporaneamente nutrono fiducia nel fatto di riuscire a realizzarle (Bandura, 1994). In questo caso la strategia di adattamento - strategia di coping - è incentrata sul controllo del pericolo (Witte & Allen, 2000). Nel momento in cui non ci si sente in grado di attuare le misure preventive si generano sentimenti di paura e ansia che derivano dal senso di impotenza e incertezza del futuro. Le azioni degli individui, non potendo agire sulla causa, si orientano allora al controllo dell’emozione. “Non ho paura e se ho paura vado dove non possa raggiungermi” Nel tentativo di controllare le emozioni spiacevoli l’individuo è quindi capace di mette in atto comportamenti disadattivi - potenzialmente dannosi - come rifiutare o negare il messaggio di pericolo; ecco che per effetto contrario, egli si espone maggiormente al rischio di contagio. Ne sono un esempio la ricerca compulsiva dei gel disinfettanti, dei guanti e delle mascherine, il continuare a uscire e ritrovarsi, senza contare gli episodi della stazione di Milano, dove le persone si sono letteralmente precipitate nel tentativo di abbandonare la regione andando contro ogni cautela sugli spostamenti. “Se lo fanno gli altri lo faccio anche io” Quando la situazione è incerta diventa determinante l’influenza del gruppo dei pari (Santrock, 2017) Si guarda allora al modello delle persone che più ci assomigliano (per età, ruolo, posizione sociale, cultura, ecc.) quale modello da seguire. Probabilmente per questo motivo in molti hanno preferito continuare a viaggiare, a incontrarsi e a condurre pressoché lo stesso stile di vita incuranti delle restrizioni imposte. Come ci protegge veramente? Conoscere i meccanismi della motivazione a proteggersi e quali sono i fattori che influenzano le scelte è sicuramente il primo passo per monitorare e sorvegliare il proprio atteggiamento nei confronti del pericolo. All’inizio quello che spaventa maggiormente le persone è il cambiamento e la prospettiva di abbandonare la sicurezza delle proprie abitudini. Le trasformazioni devono però avvenire a piccoli passi, cominciando da quelle azioni che sono più facili e immediate da realizzare; il successo dei piccoli gesti rafforza l’autostima e contemporaneamente permette di controllare il sentimento di ansia. Una volta acquisite le nuove abitudini sarà più semplice passare a modificare comportamenti via via più complessi. Riferimenti Bandura, A. (1997) Autoefficacia: teoria e applicazioni. Tr. it. Erikson, Trento, 2000. Kahneman D. (2012) Pensieri lenti e veloci. Mondadori Rogers, R. W. (1975) A protection motivation theory of fear appeals and attitude change. Journal of Psychology. 91 (1): 93–114 Pasqua M. (2000) Il senso del rischio e devianza minorile. I.S.U. Università Cattolica Santrock J.W. (2017) Psicologia dello sviluppo. McGraw Hill Witte K. & Allen M. (2000). A Meta-Analysis of Fear Appeals: Implications for Effective Public Health Campaigns. Health education & behavior. 27. 591-615. Zani.B, Cicognani E.(2000) Psicologia della Salute. Il Mulino di Giulia Cartei Negli ultimi anni si sente molto parlare di Blockchain, una tecnologia che deve la sua notorietà al Bitcoin, una crypto-valuta, che per i suoi vertiginosi rendimenti, ha attirato l’attenzione di molti investitori, generando numerose divergenze, perplessità e talvolta anche leggende metropolitane. Ma che cosa è una Blockchain? Cercando di spiegarlo in modo semplice, senza eccedere con i tecnicismi, si tratta di un Distributed Ledger, ossia di un database distribuito e condiviso tra diversi PC, chiamati nodi, i quali sono connessi allo stesso network. In altre parole, si tratta di un registro condiviso in cui le informazioni sono disponibili contemporaneamente per tutti i nodi appartenenti alla rete. Allora cosa distingue la Blockchain da un classico database distribuito? La particolarità della Blockchain rispetto ad un database distribuito consiste nella regola del Consensus, secondo cui le informazioni vengono registrate mediante delle transazioni, che devono essere approvate dalla maggior parte dei nodi della rete. Solo dopo aver ottenuto il consensus della maggioranza dei nodi, la transazione e quindi l’informazione viene registrata in modo immutabile, grazie all’uso della crittografia e altre caratteristiche tecniche. Non vi è dunque un unico soggetto o controparte centrale, che in autonomia può registrare informazioni sulla Blockchain. Il concetto di consenso distribuito è il pilastro sul quale si fonda la ratio della tecnologia Blockchain, nata, nell’ambito del payment, proprio per risolvere il problema del trust, ossia della fiducia verso una controparte centrale, che autorizza e certifica le transazioni. Infatti, il passaggio da un consenso centralizzato, in cui vi è un unico soggetto che valida le informazioni, ad un consenso distribuito in cui le informazioni vengono registrate, solo con l’accordo della maggioranza dei nodi, consente di superare il problema dell’affidamento verso un unico soggetto. Nella figura[1] seguente si riporta l’esempio dell’iter di una transazione su Blockchain. [1] Fonte: “www.blockchain4innovation” Una volta che l’informazione viene registrata, essa è immutabile, quindi eventuali aggiornamenti potranno essere registrati senza cancellare l’iscrizione originale. Infatti, per poter apportare delle variazioni è necessario effettuare una nuova transazione, la quale a sua volta deve essere validata dalla maggioranza dei nodi. Una volta ottenuto il consensus, verrà aggiunto un nuovo blocco alla Blockchain, il quale conterrà le informazioni aggiornate, che si aggiungono alle precedenti creando un tracking history dell’informazione registrata, portando notevoli vantaggi in termini di trasparenza. Tale tecnologia risulta particolarmente utile negli ambiti che richiedono la necessità di immutabilità del dato. Infatti, un esempio di applicazione nel mondo reale si ha nel campo della notarizzazione, con l’utilizzo della Blockchain come registro delle proprietà immobiliari, per una vera e propria catena della trascrizione digitalizzata e condivisa con cui registrare in modo immutabile i passaggi di proprietà degli immobili. Ad oggi vi sono due tipologie di Blockchain: Permissionless Ledger e Permissioned Ledger. Le Permissionless Ledger sono blockchain aperte, pubbliche, non controllate da controparti centrali e alle quali chiunque può partecipare diventando un nodo della rete. In questo tipo di network non è possibile introdurre limitazioni e ciascun nodo può accedere alle informazioni salvate sulla rete e agire come nodo validatore (detto miner) delle transazioni, risolvendo le funzioni algoritmiche per la validazione. Un esempio tipico di Permissionless Ledger a cui chiunque può accedere è la Blockchain di Bitcoin, la quale consente gli scambi della stessa crypto-valuta, tracciando le informazioni della transazione e rendendola immutabile mediante il consensus distribuito e la crittografia. Le Permissioned Ledger invece sono Blockchain controllabili e private, alle quali possono accedere solo soggetti autorizzati e in cui è possibile introdurre limitazioni e regole di governance, che stabiliscono i ruoli dei diversi nodi. In altre parole, consentono di stabilire quali nodi possono vedere tutte le informazioni, o solo una parte di esse, quali nodi possono sia agire da validatori delle transazioni sia accedere alle informazioni, e quali invece possono solo visualizzare le informazioni registrate ma non validarle. Ad oggi si registrano numerosi tentativi di applicazione di Permissioned Ledger in vari settori che spaziano dal mondo banking e insurance, dalla supply chain per la tracciabilità del ciclo di vita dei prodotti e degli step della filiera produttiva, fino alla pubblica amministrazione, alla sanità e al mercato dell’energia. Tuttavia, in molti casi occorre fare attenzione, poiché pìù che di Blockchain si tratta di database sì distribuiti, nel senso di informazioni condivise tra diversi utenti, ma con un consenso ancora centralizzato e non distribuito, come invece deve essere per poter parlare di Blockchain.
In definitiva, si tratta di una tecnologia interessante, potenzialmente disruptive per alcuni settori, che potrebbe portare numerosi vantaggi in termini di trasparenza, sicurezza e velocità di scambio delle informazioni. Alcuni ritengono la Blockchain un’innovazione in grado di rivoluzionare le nostre vite al pari di internet, tuttavia, ad oggi, le applicazioni di successo, fuori dall’ambito payment per le cripto-valute, non sono ancora molte. Alla luce di ciò non possiamo ancora dire se sarà la nuova Internet e dobbiamo rimandare ai posteri l’ardua sentenza! 16/11/2019 Un documentario interattivo racconta 50 anni di informatica -L’anteprima a mezzo secolo dalla prima lezione all’Università di PisaRead NowNuovo appuntamento con Informatica50, sabato 16 novembre alle 21 al Palazzo dei Congressi di Pisa Un #webdoc e una serata a passo di danza col Nico Gori Swing 10Tet per celebrare i 50 anni del corso di laurea in Scienze dell’informazione dell’ateneo pisano, il primo in Italia Pisa, 15 novembre 2019 – Un documentario interattivo e un concerto a ritmo di swing a 50 anni esatti dalla data di inizio delle lezioni di Informatica: appuntamento sabato 16 novembre alle 21 al Palazzo dei Congressi (via Giacomo Matteotti, 1), nell’ambito di Informatica50, il ciclo di eventi dell’Università di Pisa che celebra il mezzo secolo del corso di laurea in Scienze dell’informazione dell’ateneo pisano, il primo in Italia. Un vero e proprio “web doc” che avrà per protagonisti professori, ricercatori ed ex allievi del dipartimento pisano di oggi e di ieri, per raccontare attraverso le loro testimonianze l’evoluzione dell’informatica. Nel corso della serata saranno svelate due anteprime, con tante anticipazioni e qualche curiosità: c’è chi si è laureato a Pisa per poi approdare a Google, chi è partito dall’ateneo all’ombra della Torre per fare ricerca in tutto il mondo, chi si è affermato come pioniere dell’intelligenza artificiale. Dall’economia alla medicina, dalla giustizia all’agricoltura fino all’industria, l’informatica investe ormai ogni sfera del quotidiano: una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica narrata attraverso le parole di chi la fa, la studia, la inventa. La serata proseguirà con il concerto del Nico Gori Swing 10Tet, frizzante ensemble di dieci musicisti, diretto dal clarinettista Nico Gori, che eseguirà, attualizzandoli, i capolavori della “Swinging era”: un ricco repertorio tra Goodman, Baise ed Ellington, per trasformare il Palacongressi sul Lungarno pisano in un moderno Cotton Club. Ufficio stampa Ps Comunicazione per Informatica50 – Università di Pisa |
Details
Archivi
Ottobre 2022
Categorie |