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5/10/2021

Le ferite che non si vedono

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Il dolore sociale

di Leandro Gentili
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Esattamente come un sistema di allarme, il dolore ci avvisa che qualcosa non va come dovrebbe.

Dalle neuroscienze abbiamo appreso che questo allarme ha una componente fisiologica - legata all’elaborazione delle qualità fisiche degli stimoli e una componente emotiva.

Quando lo stimolo è di breve durata si attivano solo le aree sensoriali del cervello, che ci informano sulle qualità fisiche dello stimolo, come la posizione, l’intensità, l’estensione e molte altre.

Quando invece il dolore si prolunga nel tempo, ecco che entrano in azione parti del cervello coinvolte nell’analisi delle informazioni emotive, ed è proprio questo tipo di analisi che ci permette di percepire il dolore quale un’esperienza negativa, estremamente personale e soggettiva.

A questo punto arriva il dato interessante: recenti studi hanno osservato come le aree cerebrali deputate all’analisi del dolore - in particolare la corteccia prefrontale, l’amigdala e la corteccia cingolata anteriore - siano attivate dal dolore psicologico anche in assenza di un danno organico.

I ricercatori definiscono questa esperienza come dolore sociale, identificandolo con qualsiasi tipo di dolore non fisico, in genere causato da isolamento o esclusione sociale.


Quali sono le “ferite” sociali?

Fenomeni come il bullismo, il cyberbullismo, il mobbing sono quasi sempre accompagnati da da vissuti di vergogna, umiliazione, imbarazzo e senso di inadeguatezza da parte della vittima. Inoltre la dimensione relazionale indica che non sono necessariamente le dinamiche del gruppo a esacerbare questo tipo di esperienza, anche la fine di una relazione può per condurre la persona a sperimentare lo stesso senso di esclusione e di isolamento, specialmente se si è vittima ghosting - il partner abbandona la relazione e si rende irraggiungibile senza fornire spiegazioni come fosse un fantasma - .


Ci sono conseguenze a lungo termine?

Sembrerebbe che il dolore sociale persista molto più a lungo rispetto a quello fisico, continuando a generare sofferenza anche molto dopo che ci si è allontanati dalla causa scatenante.
Sul lungo termine le persone possono sperimentare un aumento dell’aggressività e dell’impulsività, ma anche cambiamenti significativi al livello fisiologico come: disturbi del sonno, alterazioni cardiovascolari e una minore efficienza del sistema immunitario.

Ma non è tutto, pare infatti che un umore depresso si accompagni a una maggiore attività della corteccia cingolata anteriore - coinvolta dell’elaborazione del valore affettivo degli stimoli - rendendo difatti più intensa la percezione del dolore rispetto a chi invece vive uno stato emotivo neutro o positivo.


Come lo si affronta?

Purtroppo esiste ancora oggi un pregiudizio diffuso verso questo tipo di sofferenza, uno stigma che rende difficoltoso l’accettare e il chiedere aiuto e che porta le persone a mantenere il silenzio sul proprio disagio psicologico.

Il prolungarsi dell’isolamento corrode le risorse a disposizione dell’individuo e aspettare che la cosa “passi da sé” può essere una strategia deleteria a lungo andare.

Il modo migliore per contrastare il dolore sociale è quello di agire sui fattori che mantengono e alimentano il sintomo, come per esempio fattori “strutturali” quali il vivere da soli e la mancanza di contatto sociale.

Allo stesso tempo è necessario costruire intorno a sé una rete di supporto emotivo - amici, parenti, colleghi, ecc. - che possa sostenere il peso delle angosce nei momenti di difficoltà. Infine è sempre opportuno e consigliabile rivolgersi a figure professionali per ricevere l’aiuto di cui si potrebbe avere bisogno.

In conclusione le ferite dell’animo non si vedono, ma ci sono e sono dolorose quanto quelle fisiche poiché, per il nostro cervello, non c’è poi molta differenza tra le due.

Immagini tratte da:
- Foto di mohammed Hassan da Pixabay



Bibliografia

Articoli AIRInforma - Perché fa così male? Le basi neurologiche del dolore sociale AIRInforma: Il portale di divulgazione di AIRIcerca - https://www.fondazioneveronesi.it - Pubblicato il 18-01-2016

DONALD D. PRICE, Psychological and Neural Mechanisms of the Affective Dimension of Pain, SCIENCE, 9 Jun 2000, Vol 288, Issue 5472, pp. 1769-1772 , DOI: 10.1126/science.288.5472.1769

Schulz, E., May, E.S., Postorino, M., Tiemann, L., Nickel, M.M., Witkovsky, V., Schmidt, P. Gross, J. & Ploner, M. (2015). Prefrontal gamma oscillations encode tonic pain in humans, Cerebral Cortex.

Xiao Xiao, Yu-Qiu Zhang, A new perspective on the anterior cingulate cortex and affective pain, Neuroscience & Biobehavioral Reviews, Volume 90, 2018, Pages 200-211, ISSN 0149-7634.

Yoshino, A. et al. “Sadness enhances the experience of pain via neural activation in the anterior cingulate cortex and amygdala: An fMRI study.” NeuroImage 50 (2010): 1194-1201.

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