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27/6/2018

L’uomo alla conquista dello spazio…si, ma a quale prezzo?

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di ​Enrica Manni
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Astronauta nello spazio
​L’esplorazione dello spazio ha sempre affascinato molto gli uomini.
Le numerose esperienze di permanenza di mesi nello spazio e le previsioni di voli interplanetari della durata di alcuni anni nel prossimo futuro, pongono alla fisiologia umana e alla medicina dell’esercizio fisico una serie di “problematiche” da risolvere. La forza di gravità alla quale sono sottoposti sulla terra gli esseri viventi regola in modo determinante la funzione di tutti gli apparati dell’organismo. Il funzionamento del sistema cardiocircolatorio e respiratorio, la distribuzione dei liquidi corporei nei vari tessuti, la struttura dell’osso e la possibilità di mantenere elevato il contenuto minerale, la composizione del muscolo, sono stati per millenni condizionati dalla forza di gravità. Pertanto, la permanenza per periodi più o meno lunghi nello spazio, in condizioni di assenza di gravità, provoca una serie di squilibri a un organismo perfettamente adattato alla gravità terrestre.
SISTEMA OSTEOARTICOLARE
Sulla terra l’osso è costantemente sottoposto a processi di decalcificazione e ricalcificazione stimolati da vari fattori fra cui l’esercizio fisico, la dieta, il patrimonio genetico. Il mantenimento della posizione eretta, ad esempio, determina la contrazione dei muscoli antigravitari (quelli che ci permettono di rimanere in piedi senza che il nostro scheletro si accasci in avanti, i muscoli del tronco) e questo costituisce un impulso per la deposizione di osso, così come l’attività fisica. Nello spazio, in condizioni di microgravità, la funzionalità dei muscoli antigravitari sarà minima e questo contribuirà a favorire il processo di degradazione del tessuto osseo; a questo bisogna aggiungere che nello spazio è molto difficile lo svolgimento di una regolare attività fisica (anche se questo è uno dei meccanismi con cui gli astronauti provano a rallentare il processo di demineralizzazione ossea). Non tutte le ossa sono uniformemente coinvolte, il cranio, ad esempio, sembra esser risparmiato. Al rientro sulla Terra occorrono mesi perché il tessuto osseo riprenda il suo fisiologico contenuto minerale.
SISTEMA MUSCOLARE
Nello spazio molti muscoli che sulla Terra usiamo abitualmente, magari anche senza rendercene conto, come i sopracitati muscoli antigravitari, non servono quindi si deteriorano progressivamente, come dopo un lungo periodo di inattività. Dopo un anno nello spazio la forza muscolare può anche ridursi del 40/60% rispetto al valore originario.
SISTEMA VESTIBOLARE
L’apparato vestibolare, localizzato a livello dell’orecchio interno, ci consente il mantenimento dell’equilibrio e anche questo, in condizioni di microgravità, si disorienta completamente determinando l’insorgenza di una sindrome comunemente definita “mal di spazio”: si configura con una profonda sensazione di nausea per ogni, seppur minimo, movimento della testa, difficoltà di concentrazione, sonnolenza, perdita di appetito. Alcuni astronauti, i più sfortunati, vanno incontro a continui e ripetuti episodi di vomito. Il rientro sulla Terra non è affatto più semplice perché molti continuano ad avere vertigini per qualsiasi movimento, alcuni addirittura non sono in grado di scendere autonomamente dalla navicella.
SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO
Nello spazio c’è la tendenza ad accumulare sangue nei vasi di grosso calibro della parte superiore del corpo (torace) con conseguente aumento della pressione venosa centrale che, attraverso una serie di meccanismi regolatori, porta a un aumento della diuresi con successiva riduzione del volume sanguigno del 10/20% 
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SISTEMA POLMONARE
Aspetto particolarmente preoccupante è determinato dall’accumulo a livello delle vie aeree di microparticelle. Esse, sempre a causa della mancanza di gravità, non possiedono la capacità di sedimentare e quindi il loro accumulo prosegue indisturbato. Possono perfino arrivare agli alveoli e portare a una possibile alterazione della funzionalità polmonare.
Tutte queste alterazioni fisiologiche a cui gli uomini vanno incontro in condizioni di microgravità, non limiteranno la curiosità umana né fermeranno la volontà di esplorare l’universo (per fortuna) ma forniranno ai medici un valido strumento per comprendere fino in fondo cosa si modifichi ed eventualmente prevenirlo.
 
 
Fonti:
Fiorenzo Conti, Fisiologia Medica, ​Vol. II, Milano, Edi.Ermes, 2003.
 
Immagini tratte da:

http://www.clinicheblanc.com/chi-siamo/slider-astronauta-3/
Fiorenzo Conti, Fisiologia Medica, ​Vol. II, Milano, Edi.Ermes, 2003.

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