di Pietro Spataro Il problema delle plastiche in mare è sempre stato di dominio pubblico ma nessuno si aspettava di trovare grossi accumuli anche nel territorio Artico. Due ricerche, a distanza di un anno l’una dall’altra, riguardanti l’accumulo di plastica nel territorio Artico sfatano questo mito. La prima fu pubblicata su Science Advances l’aprile scorso e riguardava lo spostamento di plastiche galleggianti dall’Atlantico settentrionale all’oceano Artico. Questa ricerca, sviluppata da un gruppo internazionale di ricercatori rappresentati da Andrés Cozar (Università di Cadice), mostrava i risultati del campionamento di plastiche galleggianti tra la Scandinavia settentrionale e la Groenlandia e del monitoraggio del percorso delle plastiche all’interno del Nord Atlantico. Secondo questo studio le abbondanti plastiche provenivano dall’Europa settentrionale, dal Regno Unito e dalla costa orientale degli Stati Uniti. Anche se risultavano essere circa il 3% del totale delle plastiche galleggianti erano in ogni caso di primaria importanza vista la sensibilità dell’ecosistema marino polare. Questo lavoro fece quindi grosso scalpore poiché questa regione così remota era passivamente influenzata dalle lontane regioni densamente popolate. Ad approfondire questo scenario ecco un nuovo articolo sull’argomento uscito pochi giorni fa, il 24 aprile, su Nature Communications e scritto dai ricercatori dell’Alfred-Wegener-Institut per la ricerca marina e polare in Germania. Ilka Peeken (primo nome) e colleghi hanno infatti condotto delle campagne di carotaggio dei ghiacci artici per analizzare le quantità di microplastica presenti all’interno del ghiaccio marino. Le microplastiche sono frammenti di plastica aventi dimensioni tra i millesimi di millimetro e i 5 mm circa. La presenza di microplastica all’interno dei mari del pianeta è frutto di un grande numero di processi quali ad esempio il deterioramento delle plastiche e dei tessuti sintetici e l’alterazione dei pneumatici trasportati in mare grazie alle reti fognarie. Mediante l’uso di una nuova metodologia di analisi è stato possibile individuare particelle di microplastica dell’ordine di 11 micrometri di diametro (sei volte più piccole di un capello umano); mediante questo si è potuta contare la presenza di oltre 12.000 particelle di plastica per litro di ghiaccio. Questo nuovo metodo è stato vitale per il conteggio poiché il 67% delle plastiche intrappolate nel ghiaccio hanno un diametro inferiore ai 50 micrometri. Queste particelle, secondo lo studio, resterebbero intrappolate solo per pochi anni, tra i 2 e gli 11, il tempo necessario ai ghiacci per raggiungere lo stretto di Fram, luogo nel quale si ha la fusione di quest’ultimi e il rilascio delle microplastiche in acqua. Questi due lavori risultano quindi di primaria importanza per la comprensione del quantitativo di microplastiche presenti sul pianeta. Sarebbe altresì interessante conoscere la provenienza e il percorso grazie al quale queste microplastiche raggiungono l’Artico e quale è il fato una volta che la fusione del ghiaccio marino le ha liberate di nuovo in acqua. A futuri studi si spera sarà accostata una ricerca riguardante la risposta dell’ecosistema all’introduzione di queste plastiche, micro e non. Non ci resta che aspettare! Immagini tratte da: http://america.aljazeera.com/articles/2014/5/27/arctic-plastics-ice.html https://www.theguardian.com/world/2017/sep/24/arctic-plastic-pollution-polystyrene-wildlife-threat https://www.imperial.ac.uk/news/178771/floating-plastic-pollution-from-europe-us/
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Ottobre 2022
Categorie |