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17/3/2017

La solitudine dei Numeri 10

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di Marco Scialpi

Dopo anni di buio, dopo che la maglia azzurra per eccellenza, quella che ogni bambino sogna, è diventata più uno spauracchio, che un obiettivo, qualcosa finalmente si sta muovendo, stanno crescendo talenti che sembrano avere spalle larghe e personalità per indossarla.

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C'è una maglia azzurra, stinta, nuda e senza volto e senza un padrone vero che si aggira per l'Italia. Sulle spalle c'è il numero 10. Si tratta di un simbolo dell'immaginario collettivo, del sogno di ogni bambino.
In un momento dove Belotti e Immobile stanno incantando le platee a suon di gol, ricalcando le orme dei grandi centravanti del passato (Vieri, Riva, Rossi, Schillaci, Inzaghi, solo per citarne alcuni), facendo anche ben sperare per i Mondiali del prossimo anno, forse manca ancora quell'elemento che abbia nelle corde la giocata risolutrice, il passaggio illuminante, capace di cambiare le sorti di una partita in un secondo.
In questo momento il 10 è di Verratti, stella del Paris Saint Germain, mezzala di fantasia, considerato il nuovo Pirlo, ma molto diverso dall' ex Juventino; ai passati Europei è stato indossato da Thiago Motta, più per carisma e per una scelta fatta andando per esclusione, che per reali meriti tecnici e sportivi.
Finalmente però sembra esserci una nidiata di elementi brevilinei, tutti estro e fantasia, forse non ancora con le spalle abbastanza larghe per indossare una maglia così pesante, ma che fanno ben sperare un popolo di allenatori e direttori sportivi, come è da sempre quello del nostro paese.
Bernardeschi a Firenze, con disinvoltura si è preso la maglia che fu di Baggio, prima ancora di Antognoni e poi di Rui Costa, convincendo anche i più scettici a suon di magie, specialmente da calcio piazzato. Una manna dal cielo per i tifosi Viola, che avevano visto un simbolo così importante “profanato” da meteore come Santiago Silva, Aquilani e Ruben Olivera.
Berardi e Insigne, pur con percorsi e caratteristiche differenti, stanno, a loro volta, facendo vedere buonissime cose a Sassuolo e Napoli. Se il primo è stato frenato troppo spesso dagli infortuni e da un carattere difficile, ma comunque ha dimostrato di avere i colpi del campione, il secondo sta finalmente scrollandosi di dosso i paragoni pesantissimi e inevitabili con “El Dies” per eccellenza, ovvero Diego Armando Maradona.
Insomma, tre pretendenti per la maglia più bella e significativa che possa esistere, che dopo l'era Totti – Del Piero, non ha più trovato un inquilino stabile, pensare che solo una quindicina di anni fa, se la potevano litigare i due sopra citati, ma anche Signori, Mancini, Zola e Baggio; altri tempi, altra Italia, altro calcio.
Per mettere quel numero caro ai pitagorici però, il sacro dieci, che ha in sé la chiave di tutte le cose, ci vogliono gli attributi. Forse li avrebbe, per carisma Buffon, forse Bonucci, ma nessuno di loro è un fantasista vecchia maniera. Curioso il caso delle pre-convocazioni per gli europei dello scorso anno, dove i 27 preselezionati, scelsero di lasciare questa maglia libera.
In passato ci hanno provato prima De Rossi, poi l'eterno Peter Pan Cassano, rimasto mestamente a 35 anni senza squadra a pensare a quello che sarebbe potuto essere e non è stato, poi Giovinco, potenzialmente un fenomeno, ma tremendamente discontinuo. Il Bad-Boy Balotelli non ne ha mai voluto sapere, optando sempre per il meno pesante numero 9.
La solitudine dei numeri dieci può essere identificata come l'esito, il frutto di una battaglia culturale. Qui si inquadra quella voglia di rendere gli italiani quadrati, razionali, compatti, quasi come i tedeschi e non sempre in cerca di un miracolo o di un colpo di magia, come è sempre stato nella nostra indole di artisti, poeti, sognatori. Si vuole azzerare tutte le anomalie, vivere secondo schemi precostituiti, tutti uguali, per non creare invidie, perché alla fine dobbiamo assomigliarci tutti: il 10 se non lo catechizzi finisce che ti fa saltare il banco. Il 10 è un ostacolo verso la perfezione. Ma che gusto ci sarebbe ad avere una squadra composta solo da soldatini impeccabili?
Allora ben vengano i talenti, ben venga la naturalizzazione del promettentissimo Juventino Moise Kean, ben venga Bernardeschi che si prende la maglia di Baggio a vent' anni quasi sprezzante della critica. Non scordiamoci che il calcio è soprattutto un gioco, e un gioco è tale solo quando diverte.




Immagini tratte da:
- news.superscommesse.it
- gazzetta. it


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