Ranieri esonerato dal Leicester City.
Questa volta vi raccontiamo di una favola che non ha il lieto fine. Ieri sera Claudio Ranieri è stato esonerato dalla panchina del Leicester City dopo che pochi mesi prima l’aveva portato sul gradino più alto della Premier League. Un trionfo indimenticabile di un club medio piccolo che batte tutti i giganti inglesi. Guidato proprio dal nostro tecnico italiano, fino a pochi giorni fa osannato da tutti. Ma la nuova stagione è iniziata e sta continuando male col rischio addirittura della retrocessione e l’eliminazione nei primi turni della FA Cup . Nonostante un buon girone di Champions League, che ha visto il Leicester qualificato per gli ottavi come primo del girone, la decisione è stata presa esattamente dopo la sconfitta per 2-1 nell’andata degli ottavi contro il Siviglia.
Questo il comunicato della società: “Questa sera il Leicester City Football Club ha sciolto il rapporto con il suo allenatore della prima squadra Claudio Ranieri. Claudio è stato chiamato ad essere il manager del Leicester nel luglio 2015 ed ha portato le Foxes a raggiungere il più grande trionfo nei 133 anni di storia del club quando la scorsa stagione siamo stati incoronati, per la prima volta, campioni d'Inghilterra. Il profilo di Claudio Ranieri è senza dubbio quello del tecnico di maggior successo di tutti i tempi del Leicester. Tuttavia, i risultati raccolti quest'anno nella stagione in corso hanno posto il club campione di Premier in una situazione di pericolo, e per questo motivo il Consiglio, a malincuore, ha ritenuto che un cambio della guida tecnica, che sicuramente è doloroso, sia necessario per il più alto interesse del club”. ![]()
Comunicato a cui si aggiungono le parole del vicepresidente Aiyawatt Srivaddhanaprabha: “Questa è la decisione più difficile che abbiamo preso da sette anni a questa parte. Ma noi dobbiamo pensare agli interessi a lungo termine del club e prendiamo decisioni che vanno anche contro i sentimenti. Ranieri ha portato grandissime qualità: con la sua bravura manageriale e la sua motivazione ci ha dato molto. Ha trasformato le prospettive del club. Gli saremo per sempre grati. Non ci aspettavamo di ripetere i risultati dell'anno scorso. Ma restare in Premier era ed è il nostro unico obiettivo. Ma stiamo facendo fatica e stiamo lottando contro ciò e dobbiamo massimizzare le opportunità da qui alla fine, per le ultime 13 partite”.
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Decisione che le malelingue dei tabloid inglesi dicono sia stata presa in una riunione tra i senatori della squadra e la dirigenza del club. Quindi una sorta di tradimento dei suoi pupilli che devono molto all’allenatore romano.
Ovviamente tanta solidarietà da colleghi e non per Ranieri, anche da parte di José Mourinho che non ha mai parlato bene del tecnico italiano ma che questa volta commenta così l’esonero: “Campione d'Inghilterra e allenatore dell'anno FIFA, licenziato. Questo è il nuovo calcio, Claudio. Continua a sorridere amico, nessuno può cancellare la storia che hai scritto”". Tutti sulla tessa lunghezza d’onda, facendo riferimento all’inesistente riconoscenza verso un tecnico che solo pochi mesi prima aveva compiuto un vero e proprio miracolo sportivo. Luciano Spalletti, appena appreso la notizia, ha detto: “Claudio Ranieri esonerato dal Leicester? Mi dispiace molto, in questo sport si vede che non c'è nemmeno un po' di riconoscenza. Penso avesse molti meriti nell'aver creato quella chimica nello spogliatoio per andare al di là del possibile. E ora invece il ringraziamento è questo qui. Visto che è di Roma lo aspettiamo a casa perché noi gli vogliamo bene. Se viene a trovarci ci fa un favore”.
Anche una storica stella delle Foxes come Gary Lineker si scaglia contro la società : “Dopo quello che ha fatto per il Leicester, cacciarlo è inspiegabile, imperdonabile e maledettamente triste. Grazie mille di tutto, Mr. Ranieri.”
Sicuramente l’unica cosa che non preoccuperà ora il mister di Testaccio è lo stipendio, visto che a Luglio scorso aveva rinnovato il contratto fino al 2020 per ben cinque milioni di euro all’anno che, fino a quando non accetterà un’ altra avventura su un’altra panchina, si potrà godere da casa o da qualche meta turistica, magari pensando proprio al “miracolo Leicester” e ridendoci su.
Immahini tratte da:
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17/2/2017 Va in pensione una delle voci storiche di "Tutto il calcio minuto per minuto" : si chiude un'era per il giornalismo italianoRead Now
Dalla laurea in lettere, al concorso per giornalisti, ai consigli di Ameri, ai ricordi di bambino. Ecco chi è Riccardo Cucchi, storica voce di quel mezzo di comunicazione che è la radio, erede designato e pupillo di Ameri, voce di un mondiale vinto e di svariati trionfi olimpionici.
Riccardo Cucchi, classe 1952, una laurea in lettere ed una vita nelle case, nelle auto, nelle domeniche degli italiani. Chi ha vissuto l' era pre-smartphone non può non avere un ricordo associato ad un qualche fine settimana, magari in giro con amici o fidanzata, ma con la radiolina nelle orecchie, per seguire la squadra del cuore, anche con il rischio di litigare. Bastava sentire questa voce, ormai familiare, per capire di essersi sintonizzati sulla frequenza giusta. Dopo trentotto anni di onoratissima carriera, la prima voce di Tutto il Calcio Minuto per Minuto, appende il microfono al chiodo ed entra nell' olimpo del giornalismo sportivo radiofonico insieme ad Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Nicolò Carosio, Alfredo Provenzali e tutti gli altri straordinari narratori del calcio. Cresciuto e formatosi ascoltando i primissimi radiocronisti dell' emittente di stato, quando ancora trasmettevano solo i secondi tempi delle partite, quando ancora dominava la pubblicità della “Grappa Julia” ed il risultato se non si era allo stadio, era praticamente impossibile da sapere, Cucchi ha prima sognato e poi iniziato a fare questo mestiere. Le porte di Saxa Rubra, si spalancano nel 1979 grazie ad un concorso dove capo della commissione d’esame era Sergio Zavoli, un' istituzione. Durante il colloquio orale, chiese al giovane candidato: “Ma lei, se noi decidessimo davvero un giorno di assumerla, cosa vorrebbe fare?”. Cucchi rispose che avrebbe voluto fare il giornalista sportivo. “Allora mi faccia vedere come racconterebbe una partita di calcio”, incalzò Zavoli che, però, non poteva sapere che fin da bambino Cucchi giocava a fare la radiocronaca con le figurine Panini davanti. La Rai era solita affiancare le nuove leve ai professionisti già affermati, così che, spesso si trovava in cabina di commento con Enrico Ameri. La prima volta per un Milan-Juventus. Cucchi era poco più che un ragazzino, anche parecchio emozionato. Si permise di chiedere: ‘Maestro, ma cosa deve fare un radiocronista prima di iniziare una diretta?”. Mettendogli una mano sulla spalla, sorrise e rispose: “Vai in bagno, che dopo non ne hai il tempo”. Un insegnamento semplice, quasi scontato, ma seguito per tutta la carriera. Da lì in poi fu una crescita professionale continua, la prima performance ufficiale fu per Campobasso-Fiorentina di Serie B, quasi per caso, visto che Ezio Luzzi, che avrebbe dovuto recarsi in Molise, fu colto da febbre altissima ed improvvisa. Difficile dire quante partite da qui in poi siano state raccontate agli italiani. Il primo impatto con la Serie A fu un Roma-Ascoli, 2-1, stadio Olimpico. Era il 1982, la Roma vinse poi lo scudetto. La scaletta recitava: Ameri, Ciotti, Provenzali, Ferretti e Cucchi. Sarebbero tremate le gambe e la voce a chiunque davanti a quella parata di stelle, ma andò bene. Nel 1994, in vista dei mondiali Americani, grazie al suo stile pacato, ma mai banale, Cucchi fu promosso tra le voci di punta di Tutto il Calcio Minuto per Minuto, diventando inoltre il narratore delle partite della nazionale, sostituendo Sandro Ciotti e commentando anni dopo la storica vittoria di Berlino del 2006, ai calci di rigore contro la Francia. Ha partecipato anche a ben sei spedizioni olimpioniche, come inviato Rai al seguito delle rappresentative azzurre, raccontando sempre con compostezza ed imparzialità le grandi imprese degli atleti di casa nostra. Ha amato in maniera viscerale Maradona, definito uno spettacolo vivente, ha intervistato centinaia e centinaia di allenatori, ma solo con uno ha stretto un rapporto che sconfina anche dalla sfera professionale, quell' Osvaldo Bagnoli che a metà anni '80 riuscì a vincere un clamoroso scudetto sulla panchina del Verona. In una recente intervista, Cucchi, parlando della squadra che lo ha divertito di più in tanti anni di carriera, ha fatto un riferimento molto curioso, citando oltre al Milan degli olandesi di Sacchi, il Licata, guidato in Serie B, dall' allora sconosciuto Zdnenek Zeman, all' alba di quella che sarebbe stata poi a Foggia “Zemanlandia”. Domenica scorsa, da San Siro, in conclusione della sua ultima fatica, al termine di Inter – Empoli, ha voluto chiudere con un semplice: "questa volta è davvero tutto, a te la linea”. Cedendo poi il collegamento alla regia di Roma. Più tardi ai microfoni di Novantesimo Minuto ha rivelato un piccolo segreto: "Mi hanno dato dello juevntino, dell'interista e del milanista. Ma la mia vera passione è per la Lazio e negli anni in cui l'ho commentata per dovere sono stato il più severo possibile nei commenti sui biancocelesti". Immagini tratte da www.lamiaradio.it
Il più grande quarterback di tutti i tempi
Domenica scorsa l’intero mondo sportivo e non ha seguito uno degli eventi più catalizzatori dell’anno. Parliamo del cinquantunesimo SUPER BOWL disputato a Houston, Texas che ha visto trionfare per la quinta volta i New England Patriots contro gli Atlanta Falcons.
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Quinto successo che arriva dal 2001, e non a caso è presente un giocatore che nel 2000 è entrato nel mondo del Football professionistico dalla porta di servizio, perché venne draftato dalla squadra di Boston al sesto giro (centonovantanovesimo assoluto): Tom Brady, considerato “The GOAT” (the greatest of all time), il più grande di tutti i tempi. Oggi vogliamo parlarvi di questo giocatore, arrivato in NFL un po’ in sordina ma che ha riscritto tutti i record possibili di questa Lega.
Classe 1977, californiano di San Mateo, alla fine del suo quinto titolo vinto ha voluto dedicare il trionfo alla mamma che da diciotto mesi lotta contro il cancro “Lei è il mio tutto, la amo così tanto. È stata dura ultimamente per lei e mio padre le è stato vicino in ogni passo del suo cammino. I miei genitori sono un grande esempio per me. Tutte le famiglie attraversano momenti difficili, ma mia madre può contare su tanto sostegno e tanto amore. E sono davvero felice di aver potuto festeggiare questa vittoria con lei”. Dedica anche per la moglie e Top Model Gisele Buendehen e la figlia Vivian di quattro anni “Il merito? Di tutte le "ragazze" della mia vita”. Sedici stagioni, solo il primo anno non da titolare, tutti con la stessa maglia del New England, Brady è il simbolo di una squadra che prima e senza di lui non aveva mai trionfato. Brady ha cambiato questo sport per la continuità mostrata in questi anni e per la capacità di separare la parte mentale di questo gioco dalla dimensione fisica. La sua forza è il modo di pensare football e di farlo sulla stessa lunghezza d’onda del suo coaching staff, quella intesa perfetta soprattutto col mentore e capo allenatore Bill Belichick che hanno coronato la rimonta perfetta e più bella mai vista di tutti i cinquanta precedenti Superbowl. Ricordiamo che a metà del terzo quarto i Patriots erano sotto per 28-3 e sono riusciti a portare il gioco ai supplementari e dopo a realizzare il touchdown della vittoria. Successo che ha permesso a Brady di diventare il primo quarterback di sempre a vincere cinque Super Bowl in carriera e, con la nomina a MVP dell'incontro, il primo giocatore a ottenere questo riconoscimento per quattro volte. I yard su passaggio, i passaggi tentati e quelli completati da Brady in questa edizione sono tutti nuovi record per un singolo Super Bowl.
ALCUNE STATISTICHE INDIVIDUALI:
- dodici volte convocato per disputare il PRO BOWL; - ha lanciato più yard e touchdown di qualsiasi altro quarterback nella storia dei playoff; - lui e Joe Montana sono gli unici due giocatori nella storia della NFL ad aver vinto sia il titolo di MVP della NFL sia quello di MVP del Super Bowl più di una volta in carriera; - unico quarterback ad avere guidato la propria squadra a sette Super Bowl; - nel 2005 fu nominato Sportivo dell'Anno da Sports Illustrated; - vinse il premio di "Sportsman of the Year" di The Sporting News nel 2004 e 2007; - é stato nominato due volte MVP della lega, nel 2007 e nel 2010 (diventando il primo giocatore della storia ad aggiudicarsi il titolo di MVP con un verdetto unanime nel 2010) oltre che Atleta Maschile dell'Anno 2007 dall'Associated Press, il primo giocatore della NFL a ricevere tale premio da Joe Montana nel 1990;
E non ha intenzione ancora di smettere nonostante l’età e i multipli trionfi. Ha sempre dichiarato riguardo a un possibile ritiro “quando faro' schifo mi ritirero'” e, vista la gara di domenica e le sedici stagioni sempre ai massimi livelli, crediamo che ne avrà ancora per qualche anno. Il caro Tom “The GOAT” si sente ancora un ragazzino con la voglia di scrivere nuove pagine della sua vita dedicata a questo sport che gli ha dato tutto.
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http://www.huddle.org gazzetta.it pinterest.com 3/2/2017 Roger Milla: La storia di un leone indomabile. Quarantadue anni ed un gol per entrare nella storia.Read Now
Negli ultimi giorni praticamente tutte le testate giornalistiche hanno raccontato dell' incredibile vittoria di Roger Federer, trentacinque anni suonati, agli Australian Open, gridando al miracolo sportivo. L' impresa del tennista svizzero però non rappresenta un “unicum” nell' abbinamento vittorie-trionfi sportivi: come dimenticare le gesta, per esempio, dei nostri Mario Cipollini,Yuri Chechi e Josefa Idem, chi campione del mondo, chi medaglia olimpica, nonostante l'eta non fosse più così verdissima.
La storia che vogliamo raccontarvi oggi però è quella di Roger Milla, vera e propria icona del calcio africano e più anziano calciatore ad aver segnato in un Mondiale. Nazionalità camerunense ed esempio più unico che raro di longevità calcistica, nato a Yaoundé il 20 maggio 1952, non fa in tempo a conoscere bene la sua patria, che deve mettersi in viaggio, sempre al seguito del padre ferroviere, in giro per tutta l'Africa, respirando l' aria elettrica di paesi che si stavano ribellando al colonialismo. La carriera del Milla calciatore inizia ad appena tredici anni, quando nel 1965 firma il suo primo contratto da professionista nell’Eclair de Douala, uno dei club più importanti del Camerun. Nel 1970, ad appena diciotto anni, passa al Léopard de Douala dove rimane quattro anni. Sarà proprio con questa nuova squadra che Milla coglierà alcuni dei più importanti successi della sua carriera: vincerà infatti due volte il Campionato camerunense. Nei suoi quattro anni di militanza nel Léopard sigla la bellezza di 89 gol in 117 partite. A nemmeno ventuno primavere, arriva la chiamata in Nazionale, della quale non tarderà a diventare un elemento imprescindibile. Nel 1974, passa al Tonnerre de Yaoundé, con la sua nuova squadra, al primo tentativo, vincerà il suo primo trofeo continentale: la Coppa delle Coppe d’Africa. Conseguenza ovvia è la consegna del pallone d’Oro Africano. Roger ha solo venticinque anni, ma è già simbolo del proprio paese. Inevitabile arriva la chiamata del grande calcio europeo, in particolare della Francia, in terra transalpina Roger cambia quattro maglie (Valenciennes, Monaco, Saint Etienne e Montpellier) senza mai brillare. La nostalgia dell’Africa è tantissima, talmente forte che gli spenge il sorriso, inducendolo a fughe repentine verso la terra natia. Il nuovo Camerun indipendente è un Paese fiero del suo figlio, della sua storia e del suo spirito battagliero. La nazione dei “leoni” è finalmente libera da un secolo di dominio europeo ma è ancora attraversata da agitazioni interne, così che prova a riscattarsi anche tramite il calcio. Nel 1982 la Nazionale gialloverde accede alla fase finale dei Mondiali di Spagna, finendo in un girone eliminatorio durissimo: Polonia, Perù e soprattutto Italia. Ma gli africani non saranno affatto una squadra-cuscinetto. Dopo due pareggi a reti inviolate contro Perù e Polonia, arrivano perfino a giocarsi la qualificazione contro gli azzurri di Bearzot. Incrociano i tacchetti con leggende del calibro di Zoff, Cabrini, Scirea ed Oriali.
I giganti del campionato più bello e competitivo del pianeta, contro sconosciuti atleti semi-professionisti di un calcio in via di sviluppo. Una sfida sulla carta impari, invece è un sorprendente uno a uno: gli azzurri passano solo grazie alla differenza reti ed il Camerun abbandona la competizione imbattuto. Roger Milla diventa uno dei “Leoni Indomabili”.
Dopo aver trascorso praticamente tutti gli anni '80 in Francia, a trentasette anni abbandona il calcio importante. Nel 1989 si trasferisce nella tranquilla isola delle Réunion, situata nell’Oceano Indiano, per giocare nel club più titolato del Paese, il JS Saint-Pierroise, con uno stipendio decisamente importante per l'epoca. Sembra avviato al crepuscolo della sua carriera, ma ci sono da scrivere ancora pagine che profumano di leggenda.Anno Domini 1990: dopo aver lasciato la Nazionale per sopraggiunti limiti anagrafici, succede l’incredibile. Pochi mesi prima dell’inizio del Campionato del Mondo il Presidente del Camerun, Paul Biya, gli telefona per convincerlo a ritornare sui suoi passi e rindossare i colori della propria terra per la spedizione italiana. Milla dopo vari tentennamenti accetta. Sarà il trascinatore del Camerun, ma sarà anche una delle stelle dell’intera manifestazione mondiale, nonostante i trentotto anni. Nei cinque match giocati parte sempre dalla panchina, ma segna la bellezza di quattro gol che portano gli africani addirittura ai quarti con l’Inghilterra, gli inglesi passano in vantaggio, Milla si procura il rigore trasformato da Kundé e poi serve l’assist per Ekéké che vale il vantaggio, ma due rigori per gli inglesi, eliminano i leoni indomabili ai supplementari. Continua a giocare a pallone ed a gonfiare le reti dei malcapitati avversari di turno in patria, fino a che nel 1994 non decide di scrivere la storia: Mondiali di Usa 1994, ha la fronte stempiata e lo stesso numero nove di sempre, stampato nell' anima più che sulla maglia. Nella gara del girone eliminatorio contro la Russia, quando il Camerun è sotto di tre gol, allo scadere del primo tempo raccoglie l’assist di David Embé, difende la palla e l’allunga in rete alle spalle del portiere avversario: non basta alla sua Nazionale per rimettere in carreggiata una partita che finirà con un tennistico 6-1, con ben cinque marcature della meteora Oleg Salenko, ma è sufficiente per consolidare a quarantadue anni il primato di più anziano marcatore nella storia dei Mondiali di calcio.
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