Già otto giorni dalla morte
Era un normale giovedì quando otto giorni fa è piombato sul mondo del ciclismo e dello sport in generale la notizia dell’incidente e della conseguente morte di Michele Scarponi, ciclista italiano del Team Astana, che si stava allenando per prepararsi al meglio per il Giro d’Italia numero cento che lo avrebbe visto punta di diamante della squadra. Un ruolo che in carriera aveva svolto raramente perché era il gregario ideale per molti compagni e molto ambito dalle squadre più importanti. Queste parole dell'arcivescovo di Ancona-Osimo card. Edoardo Menichelli nell'omelia descrivono esattamente chi era il ciclista Scarponi: "Michele è esempio di sacrificio, non per primeggiare, ma per essere compagno; un esempio di collaborazione, dell'essere squadra".
Aveva trentotto anni e si è spento per le vie del suo paese a Filottrano. Un furgone l’ha travolto intorno alle otto del mattino, lasciando un vuoto incolmabile nella moglie Anna e nei due figli gemelli di appena cinque anni. Cinquemila le persone presenti al campo sportivo di Filottrano per dare l’ultimo saluto allo scalatore marchigiano, presente tutta la “sua” Astana, il suo amico e collega Vincenzo Nibali e anche il presidente della Federazione ciclistica italiana Renato Di Rocco, il quale ha dichiarato: "Oltre alla presenza di diverse migliaia di appassionati amici tifosi sono arrivate testimonianze di affetto da tutto il mondo per la morte di Michele Scarponi anche da paesi non abitualmente ciclistici come Sudafrica e il Marocco. Evidentemente era una figura grande, grande. Oggi per noi é una giornata di lutto, ma di quelle pesanti". Uno dei più commossi è stato sicuramente il CT della nazionale di ciclismo che, inginocchiandosi davanti la bara, ha poggiato la maglia azzurra della squadra precisando "per te non è un regalo" perché proprio qualche giorno prima della morte i due si erano incontrati. Il CT voleva portarlo ai prossimi mondiali e Scarponi, dopo alcuni rifiuti in passato perché non si sentita pronto, questa volta gli aveva sorriso; "forse era un sì" ha detto tra le lacrime Cassani. Il CT ha portato alla famiglia anche le condoglianze di Eddie Merckx che lo ha chiamato per esprimere il suo dolore. "Non hai vinto come Merckx ma sei un campione come lui, di dedizione e di lealtà. C'è la tua firma sul Giro vinto da Nibali. Nel pc, oltre al video di Cipollini del 2002 per dimostrare la forza della squadra, ho quello di quando l'hanno scorso ti sei fermato e hai aspettato Nibali".
Giro d’Italia che Michele Scarponi è riuscito a conquistare a tavolino nel 2011 dopo la squalifica di Alberto Contador per doping. Nello stesso anno vinse anche la Tirreno-Adriatico bissando il successo del 2009. E fu il gregario più importante per la conquista di Vincenzo Nibali del Tour de France 2014 e del Giro 2016. Soprannominato “L’aquila di Filottrano” per le sue caratteristiche da scalatore.
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7/4/2017 Buona la prima in F1 per Antonio Giovinazzi al volante della Sauber, sperando che non sia l'ultima.Read Now
In moltissimi hanno scritto, giustamente, di Vettel, per celebrare il ritorno alla vittoria della Ferrari, dopo un lungo digiuno. Forse però è passato troppo sotto silenzio il debutto di un giovane pilota, finalmente italiano, che ha da subito dimostrato ottime doti, alla guida di una monoposto, non tra le più competitive.
Il gran premio d’Australia 2017, ormai come da tradizione ultradecennale, tappa di apertura del Circus della F1, è stato decisamente da incorniciare per i tifosi italiani.
Questo non solo grazie allo spettacolare successo di Sebastian Vettel a bordo della Ferrari, che ha riportato in auge il binomio Rossa – Germania, facendo ricordare con un pizzico di nostalgia e malinconia i trionfi del “Kaiser” Michael Schumacher, la cui vita resta, purtroppo, appesa al sottilissimo filo della speranza, che con gli anni va piano piano consumandosi. Melbourne ha segnato anche il ritorno, sulla griglia di partenza, di un portacolori nostrano, a distanza di ben sei stagioni dall’ultima volta. Antonio Giovinazzi, ha ereditato idealmente il volante da Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi, ultimi piloti italiani a correre in F1, e prima ancora da Giancarlo Fisichella, Luca Badoer, Giorgio Pantano e Gianmaria Bruni, meteore su Jordan e Minardi di inizio millennio. Il nostro Giovinazzi ha corso il GP in sostituzione di Pascal Wehrlein, che ha deciso di ritardare il suo debutto stagionale a causa del perdurare di alcuni fastidiosi problemi fisici. Al termine della giornata di prova del venerdì, non sentendosi ancora pronto e in salute per affrontare un week-end duro, a maggior ragione alla guida delle nuove vetture, più estreme e difficili rispetto al recente passato, ha deciso di lasciargli la strada libera. Ovviamente, il fatto di essere stato chiamato a sorpresa, contro ogni aspettativa e pronostico, non ha potuto che rendere arduo il debutto del nostro portabandiera, con tutta una serie di conseguenze a cascata: jet-lag non del tutto smaltito, essendo arrivato più tardi in Australia rispetto ai piloti “titolari”, non essendo in programma il suo impiego sul tracciato; mancata conoscenza della storica pista dell’Albert Park, sicuramente tra le più insidiose in calendario, su cui il ventitreenne pugliese non aveva mai corso in precedenza; minore feeling con la vettura rispetto al resto dei piloti, avendo sì disputato la prima sessione di test a Barcellona, tra fine febbraio e inizio marzo, ma lasciando il posto nella seconda alla guida ufficiale Wehrlein, percorrendo nel complesso un chilometraggio inferiore; infine, il fatto di essere in ogni caso un debuttante assoluto nella categoria, dunque digiuno di competizione a certi livelli. Gli elementi per fare una figuraccia c’erano decisamente tutti, eppure le cose sono andate in maniera diversa: sedicesima posizione in qualifica, ad appena due decimi dal più navigato compagno di squadra Marcus Ericsson, con il rammarico di un errore alla penultima curva nel giro buono, che altrimenti gli avrebbe dato la possibilità di scalare ulteriori posizioni e di accedere alla Q2. In gara invece un onorevole dodicesimo posto, senza commettere errori grossolani e riuscendo, con il passare dei giri, ad avere sempre un crescendo di prestazioni, specialmente dal momento in cui è passato su gomme supersoft, più rapide rispetto alle soft montate per il primo segmento di corsa. Unica piccola macchia in fase di partenza, dove ha rischiato il contatto con il compagno di squadra Ericsson, ma per il resto tutto è finito liscio. Altri debuttanti, come Stoffel Vandoorne e Lance Stroll, pur avendo a disposizione vetture e pneumatici maggiormente performanti e competitivi rispetto ai suoi, si sono resi protagonisti di sbavature piuttosto evidenti, dando un’impressione di minore prontezza al grande salto in F1 rispetto a Giovinazzi. Tirando le somme, la sensazione è che il giovane originario di Martina Franca, nel roster attuale, ci possa stare eccome. Sia per ciò che ha dimostrato, ma anche per l’approccio avuto: calmo, quasi glaciale, allo stesso tempo sereno e voglioso di ben figurare, senza limitarsi di partenza a voler fare il semplice compitino, ma ambendo a dare il meglio senza cercare il sorpasso a effetto o la manovra rischiosa che avrebbe potuto vanificare tutto. Il tutto impreziosito anche dal livello della vettura a disposizione, non propriamente eccelso. La speranza è di poterlo rivedere in pianta stabile, cosa che difficilmente accadrà in condizioni normali nel Mondiale 2017, visto che Ericsson ha il posto blindato causa sponsor e Wehrlein in tempi brevi recupererà dalle sue noie fisiche. Non sarà facile, perché i piloti italiani nel mondo attuale della F1, al contrario del passato, specialmente degli anni '80 e '90, non godono di particolare considerazione e appoggi, soprattutto da parte di sponsor disposti a mettere la moneta sonante, ma sicuramente, con questo debutto, Antonio si è dato una mano a costruire una credibilità tra gli addetti ai lavori.
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