Altra morte su una bici, altra vita e famiglia distrutta.
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Nemmeno il tempo di aver pianto la scomparsa del ciclista Michele Scarponi, appena un mese fa, ed ecco che il crudele destino ci porta via, allo stesso modo, un altro sportivo. Lunedì scorso è stata dichiarata la morte del pilota di Superbike ed ex MotoGP Nicky Hayden, in seguito a un incidente in bici, il 17 maggio durante una sessione di allenamento. Incidente avvenuto in Italia sulla strada provinciale Riccione-Tavoleto. Investito da un auto che gli ha procurato un vasto edema cerebrale diffuso, oltre a fratture multiple dorsali e a una gamba, fatali per la propria vita. Aveva trentacinque anni e, nonostante avesse passato quasi tutta la sua vita al limite della velocità fra le moto, il fato ha voluto che morisse in bici come ormai troppe morti accadono. Probabilmente è stata una sua disattenzione che ancor di più fa venire rabbia e dolore.
Non poteva che essere un pilota Nicky che, seguendo le orme del padre, ha iniziato a correre fin da bambino e che, sempre come il padre, ha deciso di correre per l’intera carriera col numero sessantanove. Anche i suoi due fratelli, Roger Lee Hayden e Tommy Hayden, sono entrambi piloti professionisti. Dopo aver corso per molti anni nelle piste di casa statunitense, nel 2003 il giovane pilota decide di cimentarsi nella massima categoria delle moto e sbarca in MotoGP con la Honda, dove trova come compagno di squadra Valentino Rossi. Ottiene la sua prima vittoria due anni dopo e non poteva conquistarla che nel Gran Premio degli U.S.A., nella pista di Laguna Seca, dove ha dimostrato il suo talento e quella guida sempre al limite con delle derapate che solo pochi altri sanno fare. Nel 2006 arriva la consacrazione per il ragazzo del Kentucky che, con un’annata quasi perfetta e molto costante, riesce a diventare campione del mondo della MotoGP togliendo per la prima volta lo scettro a quel Valentino Rossi imbattuto fino a quel giorno. ![]()
Tutta la famiglia insieme alla compagna del pilota, tramite il fratello Tommy, hanno ringraziato tutti per le dimostrazioni di stima e cordoglio. Hanno voluto ricordarlo così: “A nome di tutta la famiglia Hayden e della sua fidanzata Jackie vorrei ringraziare tutti per i loro messaggi di supporto, è stato di conforto per noi sapere che Nicky ha toccato così tante persone in modo positivo. Anche se questo è un momento ovviamente triste, vorremmo che tutti ricordassero Nicky nei suoi momenti più felici, mentre era in sella alla moto. Sognava da ragazzo di diventare professionista e non solo. Voleva raggiungere la vetta del suo sport ed è riuscito a diventare Campione del Mondo. Siamo tutti molto orgogliosi di questo. Oltre a questi ricordi “pubblici”, abbiamo anche tantissimi ricordi privati e felici di Nicky nella nostra casa in Kentucky, nel cuore della nostra famiglia. Ci mancherà terribilmente. È anche importante per noi ringraziare tutto il personale dell’ospedale per il loro incredibile supporto, sono stati veramente molto gentili. Con il sostegno delle autorità nei prossimi giorni speriamo di poter riportare presto Nicky con noi”.
A dimostrazione del cuore d’oro di Hayden, la famiglia ha voluto rispettare la volontà del pilota stesso e hanno acconsentito all’espianto degli organi per la donazione. Immagine tratte da: GPone.com www.brandsoftheworld.com http://sport.sky.it/
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18/5/2017 Dalle parole di Mihajlovic, al prossimo congedo contro il Genoa: Totti a quarant’anni lascia la RomaRead Now
Quarant'anni suonati, ma sempre da protagonista per Francesco Totti, personaggio fuori dagli schemi, talento smisurato sempre fedele alla maglia della squadra della sua città. Un mondiale e uno scudetto storico nel suo palmares, ma non sono mancati nemmeno i colpi di testa come lo sputo a Poulsen ad Euro 2004. Sarebbe forse troppo banale scrivere un elogio sperticato al calciatore, sciorinando record e numeri, ecco invece sei episodi spartiacque della sua carriera:
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Il suggerimento di Mihajlovic:
Tutta ha inizio con un nome che non ci si aspetterebbe mai, ovvero quel Sinisa Mihajlovic, passato alla storia come bandiera della Lazio, attuale allenatore di buon livello, ma in questo caso, soprattutto, ex giocatore della Roma, anche se per un periodo abbastanza breve. "Fai entrare il ragazzino", queste sono le parole che esclamò verso Vujadin Boskov, allora allenatore della Roma, il 28 marzo 1993, quando allo stadio Rigamonti di Brescia, Totti fece la sua prima apparizione in serie A. Aveva 16 anni e mezzo e davanti aveva un futuro incredibile ancora tutto da scrivere. L'addio destinazione Genova, anzi no: Nel febbraio del 1997 Totti rischiò seriamente di lasciare la Roma durante la finestra di calciomercato invernale, seppur in prestito. Aveva appena 21 anni e aveva vissuto da protagonista i trionfi della Nazionale Under 21 guidata da Cesare Maldini. Il suo talento smisurato ormai splendeva sotto gli occhi di tutti, ma il suo rapporto con l’allora tecnico giallorosso, Carlos Bianchi, non era dei migliori. Tanto che l’allenatore argentino, che aveva preso il posto di Carletto Mazzone, avallò la cessione a titolo temporaneo alla Sampdoria dove, insieme a Eriksson, lavorava Spinosi, ex allenatore di Totti nella Primavera e dove avrebbe trovato quel Montella, con il quale solo pochi anni dopo avrebbe vinto uno storico scudetto in giallorosso. Era praticamente tutto fatto, ma in quei giorni nella Capitale si tenne un torneo amichevole, il Trofeo Città di Roma, che cambiò ogni cosa. Totti infatti segnò due gol spettacolari al Borussia Moenchengladbach e all’Ajax, facendo cambiare idea alla società. Bianchi alla fine fu esonerato e Totti rimase nella Capitale. Per sempre. Neanche il Real Madrid e il Milan, alcuni anni dopo riuscirono a convincerlo: "Sono troppo della Roma" spiegò ogni volta Totti, che rinunciò a tanti soldi e a maggiori successi, per seguire il suo infinito cuore romanista. Lo scudetto: 17 giugno 2001. Poche settimane prima la Roma ha pareggiato 2 a 2 a Torino con la Juventus, grazie ad un gol di Nakata, compiendo un passo decisivo verso la conquista del tricolore. I capitolini affrontano il Parma e chi se non Francesco Totti poteva mettere il proprio sigillo sul risultato? Segna e corre sotto la Curva Sud. Ha appena realizzato il gol che vale il terzo scudetto della storia giallorossa. "É vostro" urlò il capitano verso le tribune. Lui con Batistuta, Delvecchio e Montella trascinò la squadra di Capello e del compianto Presidente Sensi a una cavalcata trionfale. Il rigore e gli occhi di ghiaccio contro l'Australia: 26 giugno 2006. Minuto 93 di Italia-Australia, Grosso dopo una travolgente azione personale, si guadagna un calcio di rigore. Totti si presenta sul dischetto per trasformare il penalty che vale l’accesso ai quarti di finale. Solo pochi mesi prima la carriera del numero dieci aveva vissuto il momento più brutto. Un infortunio molto grave alla caviglia per colpa di un'entrata killer del difensore dell'Empoli Vanigli. Il Ct Marcello Lippi però lo aveva aspettato fino all’ultimo, e Totti, pur con una placca di metallo sulla tibia, non si era arreso. Con una forza straordinaria accorciò i tempi di recupero e andò al mondiale. Il gol con l’Australia aprì la strada verso la finale, vinta poi ai rigori contro la Francia. Fu la sua consacrazione a livello internazionale e la passerella con la Coppa del Mondo al Circo Massimo, circondato dai suoi tifosi, per lui il premio più bello. 40 anni e non sentirli: 20 aprile 2016. La Roma, in piena corsa per un posto in Champions, è sotto all’Olimpico con il Torino. A cinque minuti dalla fine, Spalletti decise di affidarsi al Capitano, tenuto fin lì quasi sempre in panchina. Totti entrò acclamato dal pubblico e nel giro di 120 secondi ribaltò la gara, rianimando quella Curva sud, svuotata dalla protesta dei tifosi. Una sorta di miracolo degli dei del calcio, una doppietta che convinse il Presidente James Pallotta a cambiare idea e a rinnovargli il contratto a fine stagione. Un Totti così meritava di giocare un altro anno. L'addio: 28 maggio 2017. Si chiuderà un'epoca perché Totti giocherà la sua ultima partita con la maglia che tanto ha amato. Pensionato dal nuovo direttore sportivo della Roma, quel Monchi che a Siviglia ha fatto benissimo, forse avrebbe meritato un trattamento e un finale migliori. Si sa che però la riconoscenza non è di questo mondo, vedasi i fischi dei tifosi rossoneri nel giorno dell'addio di Maldini, i pochi spiccioli di partita concessi a Javier Zanetti nel giorno del suo canto del cigno calcistico o il pensionamento unilaterale di Del Piero da parte di Andrea Agnelli. Per il “Pupone” ora si parla di un lungo contratto da dirigente, però la voglia di mettersi dietro ad una scrivania, forse non è ancora così forte: si prospetta all'orizzonte la possibilità di andare a giocare a Miami, nella squadra allenata dall' amico Nesta. Questo però è ancora un capitolo, l'ennesimo, tutto da scrivere. Immagini tratte da: - CalcioMercato.com - BigSoccer 5/5/2017 Monaco – Juventus 0-2, biglietto per Cardiff già pronto! Guai però a pensare che sia un punto di arrivo per i bianconeri, proiettati sempre verso il futuro con un mantra: programmazione.Read Now
Una doppietta di Higuain permette alla Juventus di espugnare il Monaco e di mettere una seria ipoteca sulla conquista della finale di Cardiff. Un gol per tempo per regolare la squadra del principato, alla quale va comunque l'onore delle armi per averci provato fino all' ultimo, chiamando Buffon a un paio di parate decisamente complicate. ![]()
I bianconeri sono ormai vicinissimi alla seconda finale in tre anni di gestione Allegri, mostrando un trend che ha portato a un processo di crescita continuo da parte della Signora, sia sportivo che economico.
La svolta è avvenuta quando Exor (società controllante di Juventus e Ferrari), ha deciso di affidare la presidenza della squadra ad Andrea Agnelli, chiamato a rimediare alla scellerata gestione del duo Blanc – Secco, a proposito dei quali ricordiamo i fiumi di denaro spesi per meteore come Almiron, Tiago, Poulsen, Andrade, Knezevic e compagnia cantante. La bravura del rampollo di casa Agnelli è stata quella di circondarsi di persone, manager, di grandissimo spessore quali Giuseppe Marotta e Fabio Paratici. Infatti, dopo un primo anno di apprendistato pieno di errori di valutazione, tra cui la scelta di Del Neri come allenatore, i frutti di un lavoro a medio termine si sono visti. Si è avuto il coraggio di lanciare su una grande panchina Antonio Conte e sono arrivati tre scudetti consecutivi, per poi capire che era finito probabilmente un ciclo e affidarsi a una personalità diametralmente opposta come quella di Massimiliano Allegri, bravissimo in questa stagione a ridare vitalità a una squadra che sembrava sazia e svuotata di qualsiasi motivazione, passando a un iper offensivo 4-2-3-1. Ovviamente, ha avuto un ruolo centrale lo Juventus Stadium, primo stadio di proprietà di una società di calcio italiana, che ne gestisce e ne amministra in toto i ricavi. Un vero gioiellino con tutti i comfort, a misura di tifoso, al contrario dei mostri di cemento costruiti per i mondiali di Italia '90. A questo proposito non sentirete mai nessun tifoso rimpiangere il vecchio Delle Alpi. Il segreto principale del successo è però la programmazione. Niente è lasciato al caso, l'improvvisazione è rigettata. Il modus operandi della Juve è chiaro: programmare, setacciare, valutare, portare a casa profili idonei sotto il piano tecnico, ma anche, e soprattutto, umano. Appena il quadro mostra una piccola crepa, Marotta, Paratici e tutta la squadra di osservatori sono già in campo, per trovare il profilo ideale per sistemare il futuro. Non esitando a cambiare ogni anno anche sette-otto elementi della rosa. Dietro ai titolari intoccabili crescono giovani eredi, scovati in giro per i vivai italiani: è successo con Daniele Rugani, per fare un esempio. Le sue potenzialità sono emerse a Empoli e la Vecchia Signora non ha esitato ad accaparrarselo, individuando in lui il perfetto erede di Andrea Barzagli. È successo con Caldara, che probabilmente raccoglierà l'eredità di Chiellini. L'atalantino è già della Juve e probabilmente arriverà a Torino nel 2018, pronto a diventare un elemento indispensabile. E succederà anche con Buffon e Lichtsteiner. Il post Buffon non è semplice da gestire, si parla forse del miglior portiere della storia, ma la dirigenza bianconera ha messo gli occhi sul meglio: Gigio Donnarumma e Alex Meret. La società è già a lavoro, sebbene le operazioni siano decisamente complicate. Il dopo Lichtsteiner potrebbe essere Lirola, che sta crescendo a Sassuolo, dopo aver incantato con la Primavera di Fabio Grosso. Senza dimenticare Spinazzola e Mattiello, possibili alternative di lusso, ma soprattutto a costo zero, ad Alex Sandro sin dalla prossima stagione. Marotta e Paratici sono vigili anche sulle varie occasioni che possono presentarsi, hanno approfittato dei fallimenti di Parma e Siena per Cerri e Rosseti (ora in prestito a Pescara e Lugano), si sono portati a casa Ganz jr e hanno messo le mani su Mandragora, Sensi e Orsolini. Tutti talenti esibiti dalla Serie B e che in futuro potrebbero diventare preziosissimi, sia in ottica di inserimento in bianconero che, al peggio, in ottica di monetizzazione o di utilizzo come pedine di scambio. Quando i ragazzi non mantengono le promesse, che si fa? Si vende, si monetizza, si reinveste. Vedasi i casi di Immobile, Zaza e Gabbiadini, ceduti senza rimpianti. Un rimpianto, però, c'è. Si tratta di Domenico Berardi, forse quello su cui si era puntato di più. Numeri da fuoriclasse, qualità spaventose, ma i suoi no ripetuti alla Juve, preferendo la tranquillità di una piazza come Sassuolo, hanno spinto i bianconeri a mollare un po' la presa. Ora la sensazione è che si stiano defilando, forse grazie a un tacito accordo con l'Inter che prevederebbe Berardi in nerazzurro e di conseguenza il via libera per andare a prendere Bernardeschi dalla Fiorentina, con l'obiettivo di farne uno dei cardini del futuro bianconero. Immagini tratte da: - zeit.de - twitter.com |