7/4/2017 Buona la prima in F1 per Antonio Giovinazzi al volante della Sauber, sperando che non sia l'ultima.Read Now
In moltissimi hanno scritto, giustamente, di Vettel, per celebrare il ritorno alla vittoria della Ferrari, dopo un lungo digiuno. Forse però è passato troppo sotto silenzio il debutto di un giovane pilota, finalmente italiano, che ha da subito dimostrato ottime doti, alla guida di una monoposto, non tra le più competitive.
Il gran premio d’Australia 2017, ormai come da tradizione ultradecennale, tappa di apertura del Circus della F1, è stato decisamente da incorniciare per i tifosi italiani.
Questo non solo grazie allo spettacolare successo di Sebastian Vettel a bordo della Ferrari, che ha riportato in auge il binomio Rossa – Germania, facendo ricordare con un pizzico di nostalgia e malinconia i trionfi del “Kaiser” Michael Schumacher, la cui vita resta, purtroppo, appesa al sottilissimo filo della speranza, che con gli anni va piano piano consumandosi. Melbourne ha segnato anche il ritorno, sulla griglia di partenza, di un portacolori nostrano, a distanza di ben sei stagioni dall’ultima volta. Antonio Giovinazzi, ha ereditato idealmente il volante da Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi, ultimi piloti italiani a correre in F1, e prima ancora da Giancarlo Fisichella, Luca Badoer, Giorgio Pantano e Gianmaria Bruni, meteore su Jordan e Minardi di inizio millennio. Il nostro Giovinazzi ha corso il GP in sostituzione di Pascal Wehrlein, che ha deciso di ritardare il suo debutto stagionale a causa del perdurare di alcuni fastidiosi problemi fisici. Al termine della giornata di prova del venerdì, non sentendosi ancora pronto e in salute per affrontare un week-end duro, a maggior ragione alla guida delle nuove vetture, più estreme e difficili rispetto al recente passato, ha deciso di lasciargli la strada libera. Ovviamente, il fatto di essere stato chiamato a sorpresa, contro ogni aspettativa e pronostico, non ha potuto che rendere arduo il debutto del nostro portabandiera, con tutta una serie di conseguenze a cascata: jet-lag non del tutto smaltito, essendo arrivato più tardi in Australia rispetto ai piloti “titolari”, non essendo in programma il suo impiego sul tracciato; mancata conoscenza della storica pista dell’Albert Park, sicuramente tra le più insidiose in calendario, su cui il ventitreenne pugliese non aveva mai corso in precedenza; minore feeling con la vettura rispetto al resto dei piloti, avendo sì disputato la prima sessione di test a Barcellona, tra fine febbraio e inizio marzo, ma lasciando il posto nella seconda alla guida ufficiale Wehrlein, percorrendo nel complesso un chilometraggio inferiore; infine, il fatto di essere in ogni caso un debuttante assoluto nella categoria, dunque digiuno di competizione a certi livelli. Gli elementi per fare una figuraccia c’erano decisamente tutti, eppure le cose sono andate in maniera diversa: sedicesima posizione in qualifica, ad appena due decimi dal più navigato compagno di squadra Marcus Ericsson, con il rammarico di un errore alla penultima curva nel giro buono, che altrimenti gli avrebbe dato la possibilità di scalare ulteriori posizioni e di accedere alla Q2. In gara invece un onorevole dodicesimo posto, senza commettere errori grossolani e riuscendo, con il passare dei giri, ad avere sempre un crescendo di prestazioni, specialmente dal momento in cui è passato su gomme supersoft, più rapide rispetto alle soft montate per il primo segmento di corsa. Unica piccola macchia in fase di partenza, dove ha rischiato il contatto con il compagno di squadra Ericsson, ma per il resto tutto è finito liscio. Altri debuttanti, come Stoffel Vandoorne e Lance Stroll, pur avendo a disposizione vetture e pneumatici maggiormente performanti e competitivi rispetto ai suoi, si sono resi protagonisti di sbavature piuttosto evidenti, dando un’impressione di minore prontezza al grande salto in F1 rispetto a Giovinazzi. Tirando le somme, la sensazione è che il giovane originario di Martina Franca, nel roster attuale, ci possa stare eccome. Sia per ciò che ha dimostrato, ma anche per l’approccio avuto: calmo, quasi glaciale, allo stesso tempo sereno e voglioso di ben figurare, senza limitarsi di partenza a voler fare il semplice compitino, ma ambendo a dare il meglio senza cercare il sorpasso a effetto o la manovra rischiosa che avrebbe potuto vanificare tutto. Il tutto impreziosito anche dal livello della vettura a disposizione, non propriamente eccelso. La speranza è di poterlo rivedere in pianta stabile, cosa che difficilmente accadrà in condizioni normali nel Mondiale 2017, visto che Ericsson ha il posto blindato causa sponsor e Wehrlein in tempi brevi recupererà dalle sue noie fisiche. Non sarà facile, perché i piloti italiani nel mondo attuale della F1, al contrario del passato, specialmente degli anni '80 e '90, non godono di particolare considerazione e appoggi, soprattutto da parte di sponsor disposti a mettere la moneta sonante, ma sicuramente, con questo debutto, Antonio si è dato una mano a costruire una credibilità tra gli addetti ai lavori.
Immagini tratte da:
autoblog.it
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