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15/5/2021

#ItaliansDoItBetter - Max Giusti incontra i campioni del tennis italiano

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COMUNICATO STAMPA
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Max Giusti
intervista i più forti tennisti italiani
Lo showman trascina sul suo terreno di gioco preferito, quello del divertimento, i top player azzurri.
Con un pizzico di emozione.
E un irriverente test di cattiveria.
#ItaliansDoItBetter
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Nel faccia a faccia con i protagonisti del tennis azzurro torna prepotentemente il lato pungente di Max Giusti, già consigliere federale FIT e fondatore del Play Pisana, tra i circoli sportivi italiani con gli standard qualitativi più elevati.

Da oggi, online sui suoi canali social, gli estratti più divertenti di #ItaliansDoItBetter, il format realizzato tra Tirrenia, Torino, La Spezia e Monte Carlo per SuperTennis: si tratta di cinque interviste a tutto tondo, durante le quali Max è stato capace di mettere a fuoco non tanto gli aspetti di campo, quanto piuttosto il lato umano dei tennisti. Le domande sono una lente d’ingrandimento sulla vita privata, sul carattere, sulle abitudini degli atleti, in un match emozionante e inaspettato in cui lo sport fa quasi da sfondo.

I fuoriclasse che si svelano in esclusiva a Max Giusti sono Jannik Sinner - 18mo posto nel ranking ATP, posizione grazie alla quale figura attualmente come l’Under 20 meglio piazzato al mondo, Matteo Berrettini - numero 9 ATP, finalista ieri nel Master 1000 di Madrid, il terzo e più giovane tennista italiano della storia a qualificarsi per le ATP Finals nel 2019, oltre che semifinalista agli US Open nello stesso anno, Lorenzo Sonego – fra i primi 33 giocatori del mondo; Lorenzo Musetti – il più giovane al mondo nella top 100 ATP attuale. Non poteva mancare una ragazza e tra le interviste ci sarà anche Martina Trevisan – top 100 nella classifica WTA.

Un Max Giusti inedito che, con un colpo da maestro, spiazza i cinque campioni e li trascina sul suo terreno di gioco preferito, quello della leggerezza e del divertimento. Tra un dritto e un rovescio virtuale, in questi incontri a cuore aperto costellati di aneddoti, confidenze e risate, il punto decisivo lo fanno quelle espressioni e quelle sfumature caratteriali sempre un po’ nascoste durante le interviste ufficiali, alle quali gli appassionati di tennis sono abituati.

Per il gran finale Max sfodera uno smash potentissimo con dei test di cattiveria, in cui tenta, incalzando con delle domande sconvenienti, di estorcere dei segreti inconfessabili
ai suoi malcapitati interlocutori, chiedendo loro ad esempio se hanno mai rubato qualcosa o se hanno mai soffiato la fidanzata a un amico.
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Tante clip imperdibili che fanno conquistare a Max il suo Grande Slam!

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30/7/2018

La Belle Époque del tennis maschile italiano

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di Enrico Esposito
Il 2018 si sta rivelando un anno straordinario per il tennis italiano maschile. Sono infatti ben cinque i tornei conquistati dai nostri portacolori senza contare i piazzamenti di prestigio ai tornei del Grande Slam e la grande possibilità di rimpolpare il bottino sino a fine anno. Finalmente dopo stagioni di magre soddisfazioni anche in confronto agli splendidi trionfi delle "colleghe", gli azzurri sono tornati a far sentire la voce grossa in ambito internazionale mettendo in mostra due giovani talenti come il ventiduenne Matteo Berrettini e il venticinquenne Marco Cecchinato, e riportando in auge un sempreverde Fabio Fognini, che all'età di trentuno anni ha tutte le carte in regola per migliorare quel tredicesimo posto nella classifica Atp raggiunto nel 2014. Una squadra variegata e in fiducia, che lascia sperare per una rinascita collettiva in ottica Coppa Davis.

Partiamo con Fognini. L'atleta originario di San Remo ha portato a casa domenica 22 luglio la seconda vittoria stagionale, battendo in finale sulla terra rossa di Bastad in Svezia il francese Gasquet con il punteggio di 6-3 3-6 6-1. Il tennista, marito di Flavia Pennetta, ha bissato il successo ottenuto a San Paolo lo scorso 4 marzo, quando sconfisse il il cileno Nicolas Jarry per 1-6 6-1 6-4. La rimonta è una delle armi caratteristiche di Fognini, che nel corso della sua lunga carriera si è reso protagonista di alti e bassi, anche in virtù di una personalità spiccata e sanguigna. Nel 2015 sul cemento degli Us Open, il ligure riuscì a battere al terzo turno Sua Maestà Rafa Nadal, interrompendo una striscia consecutiva di centocinquantuno match vinti da parte di quest'ultimo, mentre agli Internazionali di Roma nel 2017 ha avuto la meglio sullo scozzese Andy Murray, numero due e campione uscente. Anche nell'ultima edizione del Foro Italico il campione ligure ha compiuto un ottimo cammino protrattosi sino ai quarti di finale (persi contro Nadal), raggiungendo il suo migliore risultato di sempre in questa competizione. I suoi sette titoli ATP sono stati conquistati tutti sulla terra battuta, superficie preferita dall'azzurro, che in carriera ha conquistato anche quattro successi in doppio, in coppia con Simone Bolelli. Come detto ad oggi, dopo la recente vittoria svedese, egli si trova ad occupare la posizione n.14 del ranking mondiale, e ora nel mirino ha la top-ten, che magari potrebbe avvicinare ulteriormente questa settimana grazie alla partecipazione al torneo messicano di Los Cabos (cemento). 

Nello stesso giorno in cui Fabio Fognini vinceva a Bastad, Marco Cecchinato con il successo in finale sulla terra rossa di Umago in Croazia, si portava a casa la seconda vittoria di un 2018 per lui straordinaria. Il tennista palermitano, che ad Aprile era numero 100 al mondo, sta vivendo da aprile in poi il periodo di forma più eccezionale della sua attività al punto da aver raggiunto la posizione n.22 del ranking. Un'escalation vorticosa quella del giovane siciliano, che, dopo una squalifica comminatagli nel luglio 2016 per presunti giri di scommesse e poi decaduta, si è rimesso in carreggiata affidandosi all'allenatore Simone Vagnozzi e trovando una tranquillità mentale mai posseduta in precedenza. Anche per lui la terra battuta rappresenta il teatro principale dei suoi exploits, come dimostrano la conquista del torneo di Budapest il 29 aprile scorso, sconfiggendo in finale l'australiano Millman con il punteggio di 7-5 6-4 e il trionfo di Umago del 22 luglio ai danni dell'argentino Pella strapazzato in due set (6-2, 7-6). "Ceck" è salito in questa stagione agli onori delle cronache grazie al fantastico cammino nel Roland Garros, che l'ha visto issarsi fino in semifinale, dove ha dovuto alzare bandiera bianca al cospetto dello specialista Dominic Thiem, austriaco, che l'ha battuto per 7-5 7-6 6-1. L'azzurro da perfetto outsider compie un percorso sorprendente eliminando in serie la testa di serie numero 11 Busta, il numero 9 Goffin e ai quarti Novak Djokovic (con il punteggio di 6-3 7-6 1-6 7-6), meritandosi un'incredibile semifinale in un torneo del Grande Slam trent'anni dopo Corrado Barazzutti, sempre di scena sul circuito parigino. Un traguardo di formidabile prestigio per il bombardiere siculo, che ha nel dritto il suo colpo preferito, e all'alba dei ventisei anni si appresta a vivere una carriera ricca di sorprese e aspettative. 

E infine lui, Matteo Berrettini. Dopo la doppia impresa Fognini - Cecchinato (era dal 1977 che i tennisti italiani non vincevano quattro tornei in una stagione), è arrivata nella giornata di ieri la ciliegina sulla torta confezionata dal giovanissima atleta romano, classe 1996, che si è aggiudicato con uno strapotere assoluto l'edizione 2018 del torneo svizzero di Gstaad (terra rossa), battendo in finale l'esperto collega spagnolo Agut per 7-6 6-4, e soprattutto capace di non lasciare agli avversari neanche un set lungo tutto l'arco della competizione. Una prova di forza scintillante, per Berrettini, che diventa il ventiquattresimo italiano ad aggiudicarsi un trofeo ATP, il numero 61 della storia per la nostra nazione, e si insedia alla posizione n.54 della graduatoria maschile. Dopo la vittoria nel singolare, egli ha continuato a saziare la sua fame trionfando anche nel doppio in coppia con Daniele Bracciale. Berrettini e il suo servizio implacabile (ha vinto senza perdere mai la battuta), un'altra freccia mortifera all'arco sfavillante del tennis italiano.


Immagini tratte da:


Immagine 1 da sportmediaset.sportmediaset.it
Immagine 2 da ladige.it
Immagine 3 da gazzetta.it

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9/6/2017

Europeo maschile di calcio Under 21

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Ventunesima edizione in Polonia
di Vito Rallo
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FotoStadion Cracovii che ospiterà il 30 giugno la Finalissima
Dal 16 al 30 giugno in Polonia si svolgerà la ventunesima edizione dell’Europeo di calcio maschile Under 21. Un torneo sempre molto interessante che ci mostra i giovani calciatori all’opera, alcuni già affermati e altri in rampa di lancio, per entrare nell’elite del calcio che conta. In un periodo come quello di giugno, dove il calciomercato inizia ad accendersi con una certa intensità e quindi non c’è occasione migliore per mettersi in mostra agli addetti ai lavori.
Un Europeo che vedrà sperimentare, per la prima volta, la quarta sostituzione nei tempi supplementari e i cartellini gialli e rossi per gli allenatori e lo staff nell'area tecnica. 
 
Le città polacche che ospiteranno i campionati europei 2017 sono sei:
Lublino-Arena Lublin, capienza 15500;
Kielce-Kolporter Arena, capienza 15500;
Tychy-Stadion Miejski, capienza 15300;
Cracovia-Stadion Cracovii, capienza 15016;
Gdynia-Stadion Mosir, capienza 15139; 
Bidgoszcz-Stadion Polonii Bydgoszcz, capienza 20247.


FotoIl CT della nazionale italiana Gigi Di Biagio
Oltre alla selezione polacca, qualificata di diritto come Paese ospitante, ce ne saranno altre undici che si sono aggiudicate il pass dopo i due anni di qualificazioni. Le undici nazioni qualificate sono: Portogallo, Danimarca, Inghilterra, Slovacchia, Germania, Repubblica Ceca, Svezia, Italia, Macedonia, Spagna e Serbia.
 
Dodici squadre che sono state divise in tre gironi da quattro:
-GIRONE A: Polonia, Slovacchia, Svezia, Inghilterra;
-GIRONE B: Portogallo, Serbia, Spagna, Macedonia;
-GIRONE C: Germania, Repubblica Ceca, Danimarca, Italia.
Accederanno alle semifinali le prime di ogni girone e la migliore seconda classificata.
 
GLI AZZURRI- martedì scorso il CT italiano Gigi Di Biagio ha diramato la lista dei ventitré convocati per la manifestazione.


Di seguito i 23 CONVOCATI con numerazione ufficiale e fra parentesi le squadre di club di appartenenza:
 
Portieri
17 Alessio Cragno (Benevento)
1 Gianluigi Donnarumma (Milan)
19 Simone Scuffet (Udinese)


Difensori
3 Antonio Barreca (Torino)
14 Davide Biraschi (Genoa)
2 Davide Calabria (Milan)
13 Mattia Caldara (Atalanta)
12 Andrea Conti (Atalanta)
22 Alex Ferrari (Verona)
23 Nicola Murru (Cagliari)
4 Daniele Rugani (Juventus)
 
Centrocampisti
15 Marco Benassi (Torino)
5 Danilo Cataldi (Genoa)
18 Roberto Gagliardini (Inter)
8 Alberto Grassi (Atalanta)
21 Manuel Locatelli (Milan)
6 Lorenzo Pellegrini (Sassuolo)
 
Attaccanti
7 Domenico Berardi (Sassuolo)
10 Federico Bernardeschi (Fiorentina)
9 Alberto Cerri (Pescara)
20 Federico Chiesa (Fiorentina)
16 Luca Garritano (Cesena)
11 Andrea Petagna (Atalanta)
 
Rosa italiana molto interessante che vede in Donnarumma, Rugani, Berardi, Bernardeschi, Caldara, Conti, Grassi e Petagna i nomi di spicco di questa nazionale.
Questa rosa è considerata la migliore degli ultimi dieci anni.
Gli azzurri debutteranno domenica 18 giugno a Cracovia con la Danimarca. Gli altri due impegni saranno mercoledì 21 giugno, dove affronterà a Tychy la Repubblica Ceca, e sabato 24 giugno, dove sarà impegnata nuovamente a Cracovia nella terza e ultima gara del girone contro la Germania.
 
Immagini tratte da:
  1. Mondiali.net
  2. essma.eu
  3. http://www.mondoprimavera.com/
 

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2/6/2017

Il Crotone rimane in serie A: i Pitagorici completano una rimonta impensabile fino a due mesi fa

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Venti punti in classifica negli ultimi due mesi di campionato, più che in tutto il resto della stagione. Un ruolo di marcia da qualificazione in Champions League. Il Crotone ha raggiunto la salvezza attraverso il lavoro, la grinta e l'umiltà, sapendosi guadagnare anche quella giusta dose di fortuna che non stona mai.
di Marco Scialpi
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A fine girone di andata il Crotone era praticamente retrocesso, quasi deriso da chi tutte le domeniche passeggiava sui malcapitati calabresi, considerati inadeguati per la Serie A. Era la matematica a parlare chiaro: nove punti conquistati in venti partite che avevano quasi archiviato qualsiasi discorso sulla salvezza, se non in chiave utopistica.
Dopo l'exploit dello scorso anno in Serie B occorreva confermarsi, cosa che non è riuscita in tempi recenti a realtà come Novara, Frosinone e Carpi e un paio di lustri fa a Como e Ancona.
Ben undici partite solo per cogliere la prima vittoria, un distacco dalla zona salvezza superiore ai punti conquistati in classifica. In fondo il Crotone inadeguato lo era per davvero, con un gruppo costruito con pochi spiccioli, con gli eroi della promozione, nonché i giocatori migliori, ceduti in estate. Due su tutti: Budimir, finito a scaldare la panchina della Sampdoria, e Ricci, reduce da un'esperienza di alti e bassi al Sassuolo.
Sono arrivati molti giovani di belle speranze, uniti a stranieri semisconosciuti: Rohden, Simy, Tonev, Nalini, Acosty e Trotta tra gli altri, ma soprattutto un bomber, quel Falcinelli che è già stato chiamato in Nazionale da Ventura, complice un rendimento al di sopra a qualsiasi aspettativa.
In tutto ciò, a gennaio era stato ceduto anche il giocatore più rappresentativo, Palladino, a una diretta concorrente come il Genoa, segno di una resa che sembrava ormai evidente.
Nonostante le critiche della carta stampata e della tifoseria per l'allenatore Davide Nicola, la società del presidente Vrenna non ha mai preso in considerazione un possibile esonero, e ha avuto ragione: si è concretizzato il miracolo, a partire da una vittoria fortunata a Verona, con un gol in “zona Cesarini”. Successivamente abbiamo assistito alla marcia di un vero e proprio schiacciasassi, sei acuti nelle ultime nove partite, in cui i calabresi hanno fatto più punti della Juventus campione d’Italia.
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In altri anni, in altri campionati livellati meno verso il basso, probabilmente tutto ciò sarebbe stato decisamente lodevole, ma non sarebbe bastato, però stavolta abbiamo assistito al suicidio sportivo dell'Empoli, con un girone di ritorno da incubo, concretizzatosi con una sconfitta con una compagine, il Palermo, già retrocessa da tempo. I Toscani sono riusciti a perdere contro quel che rimaneva dei siciliani dopo i disastri dell'ultimo periodo di gestione Zamparini, dilapidando, nel corso dei mesi, un vantaggio sulla zona retrocessione che aveva sfiorato anche i dieci punti
Qualcuno aveva messo in dubbio l'impegno dei rosanero nell'ultima partita: non avevano nessuno stimolo, se non quello di cercare di salvare la faccia e lo hanno fatto, dando una grossa mano ai Pitagorici. Questa però dovrebbe essere solo la normalità e in fondo il Crotone non deve ringraziare nessuno, la salvezza se l’è meritata tutta sul campo: nessuno gli ha regalato niente, anzi.
La favola del Crotone assume un significato profondo, quasi romantico: in una Serie A mediocre, fatta per lo più di società senz’anima, senza soldi, di scommesse, di campioni di plastica, costruiti a tavolino, di stadi vuoti, di tessere del tifoso, di formazioni che non hanno mostrato alcun attaccamento alla maglia e di bandiere ammainate, i calabresi sono stati gli unici a metterci davvero cuore, sacrificio, passione.
I ragazzi di Nicola ci hanno fatto un bellissimo regalo, ci hanno dimostrato quanto può essere ancora bello il calcio nella sua dimensione più circoscritta, al di fuori delle grandissime città, dove in curva o negli altri settori ci si conosce tutti, dove abbiamo cominciato ad appassionarci perché ci accompagnavano il babbo o il nonno, dove non importa avere abbonamenti a Sky e decine di Sky-Cam dedicate, tanto che i Crotonesi, domenica sera, erano tutti allo stadio.
Sputando sangue in settimana in allenamento, sentendosi dire da ogni parte che non ce l'avrebbero fatta, ma lottando ogni domenica dal primo all’ultimo minuto, battendo i denti quotidianamente contro i propri limiti per arrivare a superarli nel momento più importante, alla fine è successo qualcosa di impensabile. Miracoloso? Forse, sicuramente frutto del lavoro di chi ci ha sempre creduto.
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26/5/2017

In memory of Nicky Hayden

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Altra morte su una bici, altra vita e famiglia distrutta.

Foto
di Vito Rallo
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FotoNumero e soprannome che l’hanno accompagnato per tutta la carriera
Nemmeno il tempo di aver pianto la scomparsa del ciclista Michele Scarponi, appena un mese fa, ed ecco che il crudele destino ci porta via, allo stesso modo, un altro sportivo. Lunedì scorso è stata dichiarata la morte del pilota di Superbike ed ex MotoGP Nicky Hayden, in seguito a un incidente in bici, il 17 maggio durante una sessione di allenamento. Incidente avvenuto in Italia sulla strada provinciale Riccione-Tavoleto. Investito da un auto che gli ha procurato un vasto edema cerebrale diffuso, oltre a fratture multiple dorsali e a una gamba, fatali per la propria vita. Aveva trentacinque anni e, nonostante avesse passato quasi tutta la sua vita al limite della velocità fra le moto, il fato ha voluto che morisse in bici come ormai troppe morti accadono. Probabilmente è stata una sua disattenzione che ancor di più fa venire rabbia e dolore.
Non poteva che essere un pilota Nicky che, seguendo le orme del padre, ha iniziato a correre fin da bambino e che, sempre come il padre, ha deciso di correre per l’intera carriera col numero sessantanove.
 Anche i suoi due fratelli, Roger Lee Hayden e Tommy Hayden, sono entrambi piloti professionisti.
Dopo aver corso per molti anni nelle piste di casa statunitense, nel 2003 il giovane pilota decide di cimentarsi nella massima categoria delle moto e sbarca in MotoGP con la Honda, dove trova come compagno di squadra Valentino Rossi. Ottiene la sua prima vittoria due anni dopo e non poteva conquistarla che nel Gran Premio degli U.S.A., nella pista di Laguna Seca, dove ha dimostrato il suo talento e quella guida sempre al limite con delle derapate che solo pochi altri sanno fare.
Nel 2006 arriva la consacrazione per il ragazzo del Kentucky che, con un’annata quasi perfetta e molto costante, riesce a diventare campione del mondo della MotoGP togliendo per la prima volta lo scettro a quel Valentino Rossi imbattuto fino a quel giorno.


FotoIl giorno della conquista del titolo iridato della MotoGP
Tutta la famiglia insieme alla compagna del pilota, tramite il fratello Tommy, hanno ringraziato tutti per le dimostrazioni di stima e cordoglio. Hanno voluto ricordarlo così: “A nome di tutta la famiglia Hayden e della sua fidanzata Jackie vorrei ringraziare tutti per i loro messaggi di supporto, è stato di conforto per noi sapere che Nicky ha toccato così tante persone in modo positivo. Anche se questo è un momento ovviamente triste, vorremmo che tutti ricordassero Nicky nei suoi momenti più felici, mentre era in sella alla moto. Sognava da ragazzo di diventare professionista e non solo. Voleva raggiungere la vetta del suo sport ed è riuscito a diventare Campione del Mondo. Siamo tutti molto orgogliosi di questo. Oltre a questi ricordi “pubblici”, abbiamo anche tantissimi ricordi privati e felici di Nicky nella nostra casa in Kentucky, nel cuore della nostra famiglia. Ci mancherà terribilmente. È anche importante per noi ringraziare tutto il personale dell’ospedale per il loro incredibile supporto, sono stati veramente molto gentili. Con il sostegno delle autorità nei prossimi giorni speriamo di poter riportare presto Nicky con noi”.
A dimostrazione del cuore d’oro di Hayden, la famiglia ha voluto rispettare la volontà del pilota stesso e hanno acconsentito all’espianto degli organi per la donazione.

Immagine tratte da:

GPone.com
www.brandsoftheworld.com
http://sport.sky.it/

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18/5/2017

Dalle parole di Mihajlovic, al prossimo congedo contro il Genoa: Totti a quarant’anni lascia la Roma

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di Marco Scialpi
Quarant'anni suonati, ma sempre da protagonista per Francesco Totti, personaggio fuori dagli schemi, talento smisurato sempre fedele alla maglia della squadra della sua città. Un mondiale e uno scudetto storico nel suo palmares, ma non sono mancati nemmeno i colpi di testa come lo sputo a Poulsen ad Euro 2004. Sarebbe forse troppo banale scrivere un elogio sperticato al calciatore, sciorinando record e numeri, ecco invece sei episodi spartiacque della sua carriera:
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Il suggerimento di Mihajlovic:
Tutta ha inizio con un nome che non ci si aspetterebbe mai, ovvero quel Sinisa Mihajlovic, passato alla storia come bandiera della Lazio, attuale allenatore di buon livello, ma in questo caso, soprattutto, ex giocatore della Roma, anche se per un periodo abbastanza breve. "Fai entrare il ragazzino", queste sono le parole che esclamò verso Vujadin Boskov, allora allenatore della Roma, il 28 marzo 1993, quando allo stadio Rigamonti di Brescia, Totti fece la sua prima apparizione in serie A. Aveva 16 anni e mezzo e davanti aveva un futuro incredibile ancora tutto da scrivere.
L'addio destinazione Genova, anzi no:
Nel febbraio del 1997 Totti rischiò seriamente di lasciare la Roma durante la finestra di calciomercato invernale, seppur in prestito.
Aveva appena 21 anni e aveva vissuto da protagonista i trionfi della Nazionale Under 21 guidata da Cesare Maldini. Il suo talento smisurato ormai splendeva sotto gli occhi di tutti, ma il suo rapporto con l’allora tecnico giallorosso, Carlos Bianchi, non era dei migliori. Tanto che l’allenatore argentino, che aveva preso il posto di Carletto Mazzone, avallò la cessione a titolo temporaneo alla Sampdoria dove, insieme a Eriksson, lavorava Spinosi, ex allenatore di Totti nella Primavera e dove avrebbe trovato quel Montella, con il quale solo pochi anni dopo avrebbe vinto uno storico scudetto in giallorosso. Era praticamente tutto fatto, ma in quei giorni nella Capitale si tenne un torneo amichevole, il Trofeo Città di Roma, che cambiò ogni cosa. Totti infatti segnò due gol spettacolari al Borussia Moenchengladbach e all’Ajax, facendo cambiare idea alla società. Bianchi alla fine fu esonerato e Totti rimase nella Capitale. Per sempre. Neanche il Real Madrid e il Milan, alcuni anni dopo riuscirono a convincerlo: "Sono troppo della Roma" spiegò ogni volta Totti, che rinunciò a tanti soldi e a maggiori successi, per seguire il suo infinito cuore romanista.
Lo scudetto:
17 giugno 2001. Poche settimane prima la Roma ha pareggiato 2 a 2 a Torino con la Juventus, grazie ad un gol di Nakata, compiendo un passo decisivo verso la conquista del tricolore.
I capitolini affrontano il Parma e chi se non Francesco Totti poteva mettere il proprio sigillo sul risultato? Segna e corre sotto la Curva Sud. Ha appena realizzato il gol che vale il terzo scudetto della storia giallorossa. "É vostro" urlò il capitano verso le tribune. Lui con Batistuta, Delvecchio e Montella trascinò la squadra di Capello e del compianto Presidente Sensi a una cavalcata trionfale.
Il rigore e gli occhi di ghiaccio contro l'Australia:
26 giugno 2006. Minuto 93 di Italia-Australia, Grosso dopo una travolgente azione personale, si guadagna un calcio di rigore. Totti si presenta sul dischetto per trasformare il penalty che vale l’accesso ai quarti di finale.
Solo pochi mesi prima la carriera del numero dieci aveva vissuto il momento più brutto. Un infortunio molto grave alla caviglia per colpa di un'entrata killer del difensore dell'Empoli Vanigli.
Il Ct Marcello Lippi però lo aveva aspettato fino all’ultimo, e Totti, pur con una placca di metallo sulla tibia, non si era arreso. Con una forza straordinaria accorciò i tempi di recupero e andò al mondiale. Il gol con l’Australia aprì la strada verso la finale, vinta poi ai rigori contro la Francia. Fu la sua consacrazione a livello internazionale e la passerella con la Coppa del Mondo al Circo Massimo, circondato dai suoi tifosi, per lui il premio più bello.
40 anni e non sentirli:
20 aprile 2016. La Roma, in piena corsa per un posto in Champions, è sotto all’Olimpico con il Torino. A cinque minuti dalla fine, Spalletti decise di affidarsi al Capitano, tenuto fin lì quasi sempre in panchina. Totti entrò acclamato dal pubblico e nel giro di 120 secondi ribaltò la gara, rianimando quella Curva sud, svuotata dalla protesta dei tifosi. Una sorta di miracolo degli dei del calcio, una doppietta che convinse il Presidente James Pallotta a cambiare idea e a rinnovargli il contratto a fine stagione. Un Totti così meritava di giocare un altro anno.
L'addio:
28 maggio 2017. Si chiuderà un'epoca perché Totti giocherà la sua ultima partita con la maglia che tanto ha amato.
Pensionato dal nuovo direttore sportivo della Roma, quel Monchi che a Siviglia ha fatto benissimo, forse avrebbe meritato un trattamento e un finale migliori. Si sa che però la riconoscenza non è di questo mondo, vedasi i fischi dei tifosi rossoneri nel giorno dell'addio di Maldini, i pochi spiccioli di partita concessi a Javier Zanetti nel giorno del suo canto del cigno calcistico o il pensionamento unilaterale di Del Piero da parte di Andrea Agnelli.
Per il “Pupone” ora si parla di un lungo contratto da dirigente, però la voglia di mettersi dietro ad una scrivania, forse non è ancora così forte: si prospetta all'orizzonte la possibilità di andare a giocare a Miami, nella squadra allenata dall' amico Nesta. Questo però è ancora un capitolo, l'ennesimo, tutto da scrivere.

Immagini tratte da:
- CalcioMercato.com
- BigSoccer

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5/5/2017

Monaco – Juventus 0-2, biglietto per Cardiff già pronto! Guai però a pensare che sia un punto di arrivo per i bianconeri, proiettati sempre verso il futuro con un mantra: programmazione.

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Foto
di Marco Scialpi
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Una doppietta di Higuain permette alla Juventus di espugnare il Monaco e di mettere una seria ipoteca sulla conquista della finale di Cardiff. Un gol per tempo per regolare la squadra del principato, alla quale va comunque l'onore delle armi per averci provato fino all' ultimo, chiamando Buffon a un paio di parate decisamente complicate.
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I bianconeri sono ormai vicinissimi alla seconda finale in tre anni di gestione Allegri, mostrando un trend che ha portato a un processo di crescita continuo da parte della Signora, sia sportivo che economico.
La svolta è avvenuta quando Exor (società controllante di Juventus e Ferrari), ha deciso di affidare la presidenza della squadra ad Andrea Agnelli, chiamato a rimediare alla scellerata gestione del duo Blanc – Secco, a proposito dei quali ricordiamo i fiumi di denaro spesi per meteore come Almiron, Tiago, Poulsen, Andrade, Knezevic e compagnia cantante.
La bravura del rampollo di casa Agnelli è stata quella di circondarsi di persone, manager, di grandissimo spessore quali Giuseppe Marotta e Fabio Paratici. Infatti, dopo un primo anno di apprendistato pieno di errori di valutazione, tra cui la scelta di Del Neri come allenatore, i frutti di un lavoro a medio termine si sono visti.
Si è avuto il coraggio di lanciare su una grande panchina Antonio Conte e sono arrivati tre scudetti consecutivi, per poi capire che era finito probabilmente un ciclo e affidarsi a una personalità diametralmente opposta come quella di Massimiliano Allegri, bravissimo in questa stagione a ridare vitalità a una squadra che sembrava sazia e svuotata di qualsiasi motivazione, passando a un iper offensivo 4-2-3-1.
Ovviamente,  ha avuto un ruolo centrale lo Juventus Stadium, primo stadio di proprietà di una società di calcio italiana, che ne gestisce e ne amministra in toto i ricavi. Un vero gioiellino con tutti i comfort, a misura di tifoso, al contrario dei mostri di cemento costruiti per i mondiali di Italia '90. A questo proposito non sentirete mai nessun tifoso rimpiangere il vecchio Delle Alpi.
Il segreto principale del successo è però la programmazione. Niente è lasciato al caso, l'improvvisazione è rigettata. Il modus operandi della Juve è chiaro: programmare, setacciare, valutare, portare a casa profili idonei sotto il piano tecnico, ma anche, e soprattutto, umano. Appena il quadro mostra una piccola crepa, Marotta, Paratici e tutta la squadra di osservatori sono già in campo, per trovare il profilo ideale per sistemare il futuro. Non esitando a cambiare ogni anno anche sette-otto elementi della rosa.
Dietro ai titolari intoccabili crescono giovani eredi, scovati in giro per i vivai italiani: è successo con Daniele Rugani, per fare un esempio. Le sue potenzialità sono emerse a Empoli e la Vecchia Signora non ha esitato ad accaparrarselo, individuando in lui il perfetto erede di Andrea Barzagli. È successo con Caldara, che probabilmente raccoglierà l'eredità di Chiellini. L'atalantino è già della Juve e probabilmente arriverà a Torino nel 2018, pronto a diventare un elemento indispensabile. E succederà anche con Buffon e Lichtsteiner.
Il post Buffon non è semplice da gestire, si parla forse del miglior portiere della storia, ma la dirigenza bianconera ha messo gli occhi sul meglio: Gigio Donnarumma e Alex Meret. La società è già a lavoro, sebbene le operazioni siano decisamente complicate. Il dopo Lichtsteiner potrebbe essere Lirola, che sta crescendo a Sassuolo, dopo aver incantato con la Primavera di Fabio Grosso. Senza dimenticare Spinazzola e Mattiello, possibili alternative di lusso, ma soprattutto a costo zero, ad Alex Sandro sin dalla prossima stagione.
Marotta e Paratici sono vigili anche sulle varie occasioni che possono presentarsi, hanno approfittato dei fallimenti di Parma e Siena per Cerri e Rosseti (ora in prestito a Pescara e Lugano), si sono portati a casa Ganz jr e hanno messo le mani su Mandragora, Sensi e Orsolini. Tutti talenti esibiti dalla Serie B e che in futuro potrebbero diventare preziosissimi, sia in ottica di inserimento in bianconero che, al peggio, in ottica di monetizzazione o di utilizzo come pedine di scambio.
Quando i ragazzi non mantengono le promesse, che si fa? Si vende, si monetizza, si reinveste. Vedasi i casi di  Immobile, Zaza e Gabbiadini, ceduti senza rimpianti. Un rimpianto, però, c'è. Si tratta di Domenico Berardi, forse quello su cui si era puntato di più. Numeri da fuoriclasse, qualità spaventose, ma i suoi no ripetuti alla Juve, preferendo la tranquillità di una piazza come Sassuolo, hanno spinto i bianconeri a mollare un po' la presa.
Ora la sensazione è che si stiano defilando, forse grazie a un tacito accordo con l'Inter che prevederebbe Berardi in nerazzurro e di conseguenza il via libera per andare a prendere Bernardeschi dalla Fiorentina, con l'obiettivo di farne uno dei cardini del futuro bianconero.
 
Immagini tratte da:
- zeit.de
- twitter.com


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28/4/2017

Scarponi-Il “gregario” più amato che non c’è più

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Già otto giorni dalla morte
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di Vito Rallo
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Era un normale giovedì quando otto giorni fa è piombato sul mondo del ciclismo e dello sport in generale la notizia dell’incidente e della conseguente morte di Michele Scarponi, ciclista italiano del Team Astana, che si stava allenando per prepararsi al meglio per il Giro d’Italia numero cento che lo avrebbe visto punta di diamante della squadra. Un ruolo che in carriera aveva svolto raramente perché era il gregario ideale per molti compagni e molto ambito dalle squadre più importanti. Queste parole dell'arcivescovo di Ancona-Osimo card. Edoardo Menichelli nell'omelia descrivono esattamente chi era il ciclista Scarponi: "Michele è esempio di sacrificio, non per primeggiare, ma per essere compagno; un esempio di collaborazione, dell'essere squadra".
Aveva trentotto anni e si è spento per le vie del suo paese a Filottrano. Un furgone l’ha travolto intorno alle otto del mattino, lasciando un vuoto incolmabile nella moglie Anna e nei due figli gemelli di appena cinque anni.
Cinquemila le persone presenti al campo sportivo di Filottrano per dare l’ultimo saluto allo scalatore marchigiano, presente tutta la “sua” Astana, il suo amico e collega Vincenzo Nibali e anche il presidente della Federazione ciclistica italiana Renato Di Rocco, il quale ha dichiarato: "Oltre alla presenza di diverse migliaia di appassionati amici tifosi sono arrivate testimonianze di affetto da tutto il mondo per la morte di Michele Scarponi anche da paesi non abitualmente ciclistici come Sudafrica e il Marocco. Evidentemente era una figura grande, grande. Oggi per noi é una giornata di lutto, ma di quelle pesanti". Uno dei più commossi è stato sicuramente il CT della nazionale di ciclismo che, inginocchiandosi davanti la bara, ha poggiato la maglia azzurra della squadra precisando "per te non è un regalo" perché proprio qualche giorno prima della morte i due si erano incontrati. Il CT voleva portarlo ai prossimi mondiali e Scarponi, dopo alcuni rifiuti in passato perché non si sentita pronto, questa volta gli aveva sorriso; "forse era un sì" ha detto tra le lacrime Cassani. Il CT ha portato alla famiglia anche le condoglianze di Eddie Merckx che lo ha chiamato per esprimere il suo dolore. "Non hai vinto come Merckx ma sei un campione come lui, di dedizione e di lealtà. C'è la tua firma sul Giro vinto da Nibali. Nel pc, oltre al video di Cipollini del 2002 per dimostrare la forza della squadra, ho quello di quando l'hanno scorso ti sei fermato e hai aspettato Nibali".

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Giro d’Italia che Michele Scarponi è riuscito a conquistare a tavolino nel 2011 dopo la squalifica di Alberto Contador per doping. Nello stesso anno vinse anche la Tirreno-Adriatico bissando il successo del 2009. E fu il gregario più importante per la conquista di Vincenzo Nibali del Tour de France 2014 e del Giro 2016. Soprannominato “L’aquila di Filottrano” per le sue caratteristiche da scalatore.

Immagini tratte da:
http://www.repubblica.it/
http://www.ilrestodelcarlino.it/
 
 

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7/4/2017

Buona la prima in F1 per Antonio Giovinazzi al volante della Sauber, sperando che non sia l'ultima.

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In moltissimi hanno scritto, giustamente, di Vettel, per celebrare il ritorno alla vittoria della Ferrari, dopo un lungo digiuno. Forse però è passato troppo sotto silenzio il debutto di un giovane pilota, finalmente italiano, che ha da subito dimostrato ottime doti, alla guida di una monoposto, non tra le più competitive.
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​di Marco Scialpi
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Il gran premio d’Australia 2017, ormai come da tradizione ultradecennale, tappa di apertura del Circus della F1, è stato decisamente da incorniciare per i tifosi italiani.
Questo non solo grazie allo spettacolare successo di Sebastian Vettel a bordo della Ferrari, che ha riportato in auge il binomio Rossa – Germania, facendo ricordare con un pizzico di nostalgia e malinconia i trionfi del “Kaiser” Michael Schumacher, la cui vita resta, purtroppo, appesa al sottilissimo filo della speranza, che con gli anni va piano piano consumandosi.
Melbourne ha segnato anche il ritorno, sulla griglia di partenza, di un portacolori nostrano, a distanza di ben sei stagioni dall’ultima volta. Antonio Giovinazzi, ha ereditato idealmente il volante da Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi, ultimi piloti italiani a correre in F1, e prima ancora da Giancarlo Fisichella, Luca Badoer, Giorgio Pantano e Gianmaria Bruni, meteore su Jordan e Minardi di inizio millennio.
Il nostro Giovinazzi ha corso il GP in sostituzione di Pascal Wehrlein, che ha deciso di ritardare il suo debutto stagionale a causa del perdurare di alcuni fastidiosi problemi fisici. Al termine della giornata di prova del venerdì, non sentendosi ancora pronto e in salute per affrontare un week-end duro, a maggior ragione alla guida delle nuove vetture, più estreme e difficili rispetto al recente passato, ha deciso di lasciargli la strada libera.
Ovviamente, il fatto di essere stato chiamato a sorpresa, contro ogni aspettativa e pronostico, non ha potuto che rendere arduo il debutto del nostro portabandiera, con tutta una serie di conseguenze a cascata: jet-lag non del tutto smaltito, essendo arrivato più tardi in Australia rispetto ai piloti “titolari”, non essendo in programma il suo impiego sul tracciato; mancata conoscenza della storica pista dell’Albert Park, sicuramente tra le più insidiose in calendario, su cui il ventitreenne pugliese non aveva mai corso in precedenza; minore feeling con la vettura rispetto al resto dei piloti, avendo sì disputato la prima sessione di test a Barcellona, tra fine febbraio e inizio marzo, ma lasciando il posto nella seconda alla guida ufficiale Wehrlein, percorrendo nel complesso un chilometraggio inferiore; infine, il fatto di essere in ogni caso un debuttante assoluto nella categoria, dunque digiuno di competizione a certi livelli.
Gli elementi per fare una figuraccia c’erano decisamente tutti, eppure le cose sono andate in maniera diversa: sedicesima posizione in qualifica, ad appena due decimi dal più navigato compagno di squadra Marcus Ericsson, con il rammarico di un errore alla penultima curva nel giro buono, che altrimenti gli avrebbe dato la possibilità di scalare ulteriori posizioni e di accedere alla Q2.
In gara invece un onorevole dodicesimo posto, senza commettere errori grossolani e riuscendo, con il passare dei giri, ad avere sempre un crescendo di prestazioni, specialmente dal momento in cui è passato su gomme supersoft, più rapide rispetto alle soft montate per il primo segmento di corsa.
Unica piccola macchia in fase di partenza, dove ha rischiato il contatto con il compagno di squadra Ericsson, ma per il resto tutto è finito liscio. Altri debuttanti, come Stoffel Vandoorne e Lance Stroll, pur avendo a disposizione vetture e pneumatici maggiormente performanti e competitivi rispetto ai suoi, si sono resi protagonisti di sbavature piuttosto evidenti, dando un’impressione di minore prontezza al grande salto in F1 rispetto a Giovinazzi.
Tirando le somme, la sensazione è che il giovane originario di Martina Franca, nel roster attuale, ci possa stare eccome. Sia per ciò che ha dimostrato, ma anche per l’approccio avuto: calmo, quasi glaciale, allo stesso tempo sereno e voglioso di ben figurare, senza limitarsi di partenza a voler fare il semplice compitino, ma ambendo a dare il meglio senza cercare il sorpasso a effetto o la manovra rischiosa che avrebbe potuto vanificare tutto. Il tutto impreziosito anche dal livello della vettura a disposizione, non propriamente eccelso.
La speranza è di poterlo rivedere in pianta stabile, cosa che difficilmente accadrà in condizioni normali nel Mondiale 2017, visto che Ericsson ha il posto blindato causa sponsor e Wehrlein in tempi brevi recupererà dalle sue noie fisiche.
Non sarà facile, perché i piloti italiani nel mondo attuale della F1, al contrario del passato, specialmente degli anni '80 e '90, non godono di particolare considerazione e appoggi, soprattutto da parte di sponsor disposti a mettere la moneta sonante, ma sicuramente, con questo debutto, Antonio si è dato una mano a costruire una credibilità tra gli addetti ai lavori.
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Immagini tratte da: 
autoblog.it

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24/3/2017

La Viareggio Cup 2017

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In corso la sessantanovesima edizione
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di Vito Rallo
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Logo Viareggio Cup
Il 13 marzo  scorso è iniziato il torneo di calcio giovanile, fino a qualche anno fa, più famoso al mondo. Stiamo parlando della Viareggio Cup conosciuta anche come Coppa Carnevale. Quest’anno sta andando in scena la sessantanovesima edizione che vedrà la fine il 29 marzo.
Organizzato dal Comitato Giovani Calciatori (CGC) di Viareggio col sostegno anche del CONI, F.I.G.C. e dalla FIFA. Generalmente, ma non in questa edizione, vede il suo inizio dal terzultimo lunedì all'ultimo lunedì di Carnevale. Il torneo si svolge lungo tutta la Toscana e nelle Regioni limitrofe con la Finalissima allo Stadio dei Pini di Viareggio.
Le partecipanti del 2017 sono in totale quaranta da tutto il mondo infatti, oltre ai ventitré club italiani, ci sono anche otto club del Nord e Sud America, sei europee e tre africane. La formula di questa edizione è:
-nella fase a gironi le 40 squadre sono divise in 10 gironi (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10), ciascuno composto da 4 squadre. A giudizio insindacabile della società organizzatrice sono nominate le teste di serie di ciascun girone. Vengono quindi formati due gruppi (A e B). Il gruppo A comprende i gironi 1, 2, 3, 4 e 5 mentre il gruppo B comprende i gironi 6, 7, 8, 9 e 10. Le squadre si incontrano in gare di sola andata della durata di 90 minuti. Le classifiche sono redatte in base ai seguenti criteri: 3 (tre) punti per ogni gara vinta, 1 (uno) punto per ogni gara terminata in parità, 0 (zero) punti per la sconfitta. In caso di parità di punteggio valgono i criteri in ordine elencati:
  1. Esito scontri diretti
  2. Differenza reti negli incontri diretti fra le squadre a parità di punti
  3. Differenza reti nel totale degli incontri disputati nel girone
  4. Maggior numero di reti segnate sul totale degli incontri disputati nel girone
  5. Età media più bassa della lista dei calciatori iscritti al torneo
  6. Sorteggio
Saranno ammesse alla fase successiva le cinque squadre prime classificate di ciascun girone e le migliori tre seconde arrivate di ciascun gruppo, in base ai criteri sopra citati, per un totale di 16 club ammessi alla fase finale con Ottavi, Quarti, Semifinali e Finale.

FotoAlessandro Palagi
Il Presidente del CGC Alessandro Palagi ha così presentato l’inizio della manifestazione: “Ed eccoci di nuovo a quaranta squadre partecipanti tante quante ha intenzione di iscriverne il presidente Gianni Infantino della FIFA in occasione del Mondiale del 2026. Noi ci eravamo arrivati anni fa cavalcando il concetto della globalizzazione del calcio investendo uomini e risorse. Squadre straniere titolate, i migliori settori giovanili dei club italiani di Seria A e B, qualche rappresentante della LegaPro e infine la selezione dell’Under 18 Dilettanti. Il pallone è un simbolo globale che interessa sempre più Continenti. La Viareggio Cup come sempre non pensa solo allo sport, vive la “polis” con grande dovere civico. Ed è per questo che alla sfilata inaugurale il portabandiera è stato Marco Piagentini che rappresenta i familiari delle vittime del disastro ferroviario del 29 Giugno 2009. I quasi mille ragazzi che scenderanno in campo a Viareggio e dintorni daranno spettacolo anche in loro ricordo, magari con un pensiero di maggior responsabilità. Un futuro migliore serve soprattutto a loro, su ogni piano, specie quello della sicurezza e non solo negli stadi”.


FotoGiorgio Del Ghingaro
È intervenuto anche il Sindaco della città di Viareggio Giorgio Del Ghingaro dichiarando: “Un compleanno speciale per un torneo che accompagna la storia della città da quando nel 1948 vide la luce, in quella che era una città martoriata dalla guerra ma che sapeva e voleva guardare al futuro con fiducia e con speranza. Quanti campioni hanno giocato qui le loro prime partite importanti, si sono fatti notare per la prima volta. Come sportivo, come tifoso  e soprattutto come sindaco, sarò sempre al fianco di eventi come questo che si fondono con la storia stessa della città”.
Oggi in programma i Quarti di finale, le Semifinali sono previste lunedì 27 marzo .
 
Immagini tratte da:
  1. SpazioCalcio.it
  2. http://www.genova24.it/
  3. http://www.comune.capannori.lu.it/
 



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