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13/1/2017

Marco Pantani avrebbe compiuto 47 anni: L'ultimo grande eroe del ciclismo italiano, ucciso dal linciaggio mediatico e dalla depressione 

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Un campione che ha fatto appassionare l'intero paese alla bicicletta, tanto tenace sulle salite dei passi di montagna quanto fragile nella vita privata. Il ricordo di Marco Pantani attraverso le parole di familiari, amici, colleghi e di quanti hanno seguito negli anni le imprese del "pirata".

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di Marco Scialpi

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Nato a Cesena il 13 gennaio del 1970; venne trovato morto il 14 febbraio 2004, in una camera d’albergo vicino a Rimini, a una ventina chilometri da casa sua, con cento grammi di cocaina in corpo.
Più di un'ombra, a distanza di tredici anni aleggia ancora sulla sua scomparsa: chi gli ha dato tutta quella droga? C’è una inchiesta, che molti dicono essere stata chiusa troppo presto.
Il cadavere venne trovato disteso sul pavimento, accanto al letto, nella confusione di una stanza letteralmente sottosopra. Chi gli era vicino non ha mai creduto al suicidio, non ne sono mai stati convinti né i genitori, né gli amici più stretti, né il “padre sportivo” e primo allenatore, Pino Roncucci.
Pantani è stato l'ultimo grande mito del ciclismo, una delle stelle più luminose, non è fantascienza un accostamento con Coppi e Bartali. Soprannominato “il pirata” per il suo essere sempre all'attacco durante le corse, soprattutto in salita.
Marco è stato campione dallo sguardo sempre triste, forse non ha avuto le spalle abbastanza larghe, ma c'è da dire che è stato lasciato solo, maledettamente solo da quella stampa assassina che l'ha affondato e da tutti quei manager che lo hanno usato come macchina da soldi.
La sua esistenza si è fermata a soli trentaquattro anni, nel giorno di San Valentino, dove forse la solitudine si percepisce ancora di più.
Capace di vincere nello stesso anno il Giro d’Italia e il Tour de France, dopo un duello epico con Jan Ullrich, nel leggendario 1998, condivide questa impresa con Fausto Coppi. Carattere forte, dunque, ma anche fragile, orgoglioso e sfortunato.
La data che segnerà in maniera indelebile la sua vita è il 5 giugno del 1999, quando a Madonna di Campiglio, ormai quasi alla fine del Giro che probabilmente avrebbe vinto, ad un controllo della Federazione  Internazionale (che lui stesso considerava legittimo) gli si riscontra l’ematocrito troppo alto.
Viene fermato, perché continuare la gara comporterebbe rischi per la sua salute. Il Giro è finito, per lui, che incomincia ad essere sospettato di aver fatto ricorso al doping, nonostante le sue dichiarazioni di innocenza (“io avevo la coscienza pulita, non so che cosa è successo”).
Il valore dell’ematocrito, per essere accettato dai controlli, non dovrebbe essere superiore al 50%. Più è alto, più c’è il sospetto del doping. Il suo è al 52%. “Ma è un esame ballerino” dice Pantani “perché il valore dell’ematocrito è condizionabile dallo stress, dallo stato d’animo, dalla disidratazione … Al doping non sono mai risultato positivo”.
Ma intanto, estromesso dalla gara, il corridore viene sospeso per quindici giorni. “Un episodio che è una ferita non fisica ma spirituale”, racconterà la penna sempre raffinata di Gianni Mura, Marco non riuscirà mai a superare quella umiliazione.
Qualcuno dal pubblico gli grida dietro “Vai a casa, dopato!” Molti dei suoi amici si dileguano nel nulla, gli sponsor si allontanano, rimane da solo a combattere la sua battaglia, ma il male più grave è dentro di lui e si chiama depressione.

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Incomincia ad essere sempre più irreperibile, girano voci che sarebbe diventato dipendete dalla cocaina, che ora gli servirebbe a dimenticare quello che sembrava un bruttissimo incubo, a stordirsi.
Chi gli vuol bene capisce che Marco non tornerà più a correre e, forse a vivere a pieno, che si sta rovinando.
La madre in diverse interviste ha raccontato: “Noi due non parlavamo mai di cocaina, ma ormai era circondato dalla peggior specie di gente che esista sulla terra. Io lo convinsi ad entrare in clinica, ma il giorno dopo lo sapeva tutta la stampa”.
La sua manager storica, Manuela Ronchi, interpreta così l’ultimo periodo del campione: “Prima era lui a dominare le montagne, ma poi si accorse che era la droga a dominare lui. Se avesse avuto vicino una donna che lo amasse, questo lo avrebbe aiutato; ma decideva sempre lui, tutto”.
La madre preferisce guardare le fotografie di quando era piccolo, “perché”, dice, “allora era più mio, dopo è diventato della gente”.
Quella stessa gente, quella del popolo che affolla i bordi delle strade durante le gare di ciclismo, quella che cerca eroi ed idoli positivi, che sente Pantani vicino: il campione che si scopre solo quando i riflettori si spengono, la gloria si allontana e lui diventa semplicemente Marco, un ragazzo lasciato morire in una maniera infame, in un momento nel quale avrebbe avuto bisogno d' aiuto.
Una volta ebbe un incidente alla catena della bicicletta, ,bbene, risalì in sella, rimontò settanta corridori che stavano avanti a lui e vinse. Forse semplicemente perché, come confessò una volta, “Vado più forte degli altri, in salita, per abbreviare la mia agonia”.

Immagini tratte da:
Aforismi - Meglio.it
Ubitennis

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