29/8/2016 Il terremoto che ha colpito il cuore dell’Italia : la cultura da salva(guarda)re.Read NowOre 3.36. In una notte di fine estate, le case sopite dei borghi di Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto vengono scosse, sconvolte, distrutte in una manciata di secondi. All’alba del nuovo giorno si scava a mani nude per estrarre il bene più prezioso di una comunità, la vita. Ci sarà tempo per le domande, per le risposte e per arrabbiarsi. Ci sarà il tempo per stabilire le responsabilità e per fare la conta dei danni. Ma non sarà mai abbastanza il tempo per piangere, piangere le vittime che si sono addormentate sotto quello che delle loro case resta, una culla di macerie. Ma quella maledetta notte non ha solamente strappato via i figli a una madre o la madre ai figli, non ha cancellato intere famiglie e privato della vita un numero impronunciabile di vittime. A soffrire, sotto il peso delle macerie, sono anche i luoghi di interesse che rappresentano una intera comunità. Se muore una chiesa, un monumento, se un museo cittadino viene distrutto, anche la comunità muore, muore l’identità anche dei sopravvissuti e di coloro che non sono fra il loro numero. Questi piccoli borghi, che forse saranno solo ricordati perché luoghi in cui tutta la crudeltà della natura si è mostrata, sono sempre stati gioielli di storia e cultura. Per questo motivo in questa sede non si deciderà di elencare alcuna vittima del terremoto, non perché si finga che non ve ne siano state, non perché ogni singola vita spezzata non abbia avuto un peso, anzi, attraverso le meraviglie di questi posti, anche le vittime rivivranno, perché esse fanno parte della memoria storico-culturale del luogo in cui sono vissute fino all’ora indicata all’inizio di questo articolo, perché la memoria è vita e attraverso questa esse non periranno mai. Ad Amatrice nel 2010 è stato allestito il Parco delle Miniature, un percorso turistico-ambientale per scoprire le bellezze del territorio ed evocare quelle del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga. Questo percorso illustra anche le bellezze architettoniche di Amatrice come il complesso monumentale di San Francesco, della seconda metà del Trecento, la Rocca di Calascio e la chiesa di Santa Maria dell’Assunta di Assergi. Il ‘giardino della conoscenza’ è collocato fra Porta Carbonara e la chiesa cinquecentesca di Sant’Agostino, con la storica targa che reca l’iscrizione del nome dell’architetto amatriciano Giovanni. Per essere un borgo così piccolo, Amatrice vanta numerose chiese romaniche e gotiche grazie anche alle quali il borgo aveva ottenuto nel 2015 il riconoscimento come uno dei più belli d’Italia.
Da sinistra: Corso di Amatrice; Rocca Calascio; Chiesa di Sant’Agostino
Accumoli, il piccolo borgo dalla storia molto antica, conserva monumenti storici che risalgono all’età podestarile italiana. La grande torre a base quadrata e il palazzo del podestà, sono i grandi simboli di una micro-storia incastonata nel ciclone politico dell’età Medievale d’Italia. Palazzo Marini è forse una delle strutture architettoniche più interessanti per la sua complessità ed eleganza. Tardomanierista, così come gli affreschi di ispirazione, esso fu adattato al pedio della strada ed affascina con il suo portale bugnato a punta di diamante con colonne tortili a capitello ionico e zampe di elefante. Palazzo Cappello, sorto nel Seicento, si erge sull’antica rocca e pare che il terzo piano sia stato eretto ma lasciato originariamente al grezzo, si dice, per privare della luce il sottostante Palazzo Marini.
Da sinistra: Accumoli, panorama; Palazzo Marini; Palazzo Cappello.
Arquata del Tronto, nel territorio marchigiano, è forse il borgo più antico fra quelli citati. La sua storia affonda le radici nell’alto Medioevo, quando il territorio di cui faceva parte era definito Terra Summantina. Durante l’800 fu probabilmente attraversata da Carlo Magno per raggiungere Roma ed esservi incoronato. Nel XIII secolo con il contributo di Amatrice e Ascoli venne costruita sulla rupe a nord la Rocca. Nello Statuto di Arquata del 1574 si legge «Che alcuno non se parta della terra d'Arquata e suo contado con animo de non ritornare a detta terra», una frase che l’ha resa famosa. Non solo di frasi è ricca Arquata, ma anche di fatti. Nel 1849 da Acquasanta Terme, dove Garibaldi in persona aveva fatto una sosta e aveva fumato un sigaro, egli era giunto ad Arquata dove era stato festivamente accolto, prima di dirigersi su Roma. Anche qui una chiesa del Cinquecento dedicata a San Francesco dove viene conservata la Sindone di Arquata. Decorazioni lignee, affreschi e un vasto reliquario, nulla da invidiare, anzi, ad altri borghi di piccole dimensioni
Da sinistra: Arquata del Tronto, panorama; San Francesco; Sacra Sindone di Arquata.
Circondata dalle aree protette del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e il Parco Nazionale del Gran Sasso, Pescara del Tronto si formò grazie allo spostamento di piccole comunità scappate a causa dei saccheggi che avvenivano sulla riviera. La sua importanza accrebbe in seguito al passaggio del via Salaria, costruita in epoca romana. Le testimonianze più antiche sono stemmi, date o bassorilievi raffiguranti forbici nelle botteghe di chi probabilmente era una sarto o un tosatore di pecore. Ma è del 313 d.C. la concessione di libertà di culto da parte di Costantino di edificare la chiesa della Croce, che conserva una piccola reliquia trasportata a Pescara del Tronto da un uomo sconosciuto che partecipò alle crociate. La chiesa della Croce presenta un’architettura strutturalmente semplice con una torre campanaria. Venne usato come luogo di sepoltura per le famiglie più importanti, ma in seguito ad una epidemia verso la fine del Novecento, venne creato un cimitero comune. Ma questo luogo sacro oltre ad una storia antica custodisce anche una croce astile del XIII secolo giudicata fra quelle conservate meglio attualmente che segue i canoni dello stile bizantino.
Da sinistra: Pescara del Tronto; Chiesa della Croce; Croce astile del XIII sec.
Queste sono solo alcune delle grandi bellezze di questo territorio, cuore dell’Italia. Piccoli borghi con grandi tesori su cui ancora una volta queste popolazioni dovranno fare sapientemente riferimento per rialzarsi e tornare a splendere. Salvare la propria storia, il proprio passato, significa salvaguardare il proprio futuro. Questi luoghi della cultura e della storia sono giunti senza poche difficoltà a così tanti secoli dalla loro fondazione sino a noi. La nostra speranza è che possano rinascere dalle proprie ceneri per continuare a raccontare la storia di ogni uomo legato a questi luoghi. Anche la memoria, come le ferite, deve essere rimarginata.
Immagini tratte da: - Galleria 1-2-3 da www.lagagransasso.it, www.roccacalascio.info, www.paesionline.it - Galleria 4-5-6 da www.prolocodiaccumoli.it, www.gransassolagapark.it, www.altamontagnabio.it - Galleria 7-8-9 da www.rete.comuni-italiani.it, www.destinazionemarche.it, www.newsgo.it - Galleria 10-11-12 da www.picenopass.it, www.sibilliniweb.it, www.pescaradeltronto.altervista.org
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Fin dal Medioevo esistevano strade che percorrevano molti territori dell’Europa per assicurare ai pellegrini una via fino alla meta prefissata. Una delle più famose ancora oggi è quella di Santiago di Compostela, nota meta di pellegrinaggio nella Galizia, dichiarato ‘Cammino Culturale del Consiglio d’Europa’. Anche in Italia, con la stessa dignità di quello spagnolo, esiste ed è tuttora percorribile un cammino che ai tempi di Sigerico, l’arcivescovo di Canterbury, fu descritto ampiamente intorno al Mille, quando la paura della fine del mondo investiva i cittadini d’Europa. Proprio da Canterbury la via Francigena o via Romea conduceva i pellegrini che partivano dall’Inghilterra e quelli che si univano a loro lungo la strada, sino a Roma, sede del Papato e cuore della cristianità. Sigerico stesso attraversò il cuore dell’Europa, facendo ‘un giro dell’Europa in 80 giorni’! In realtà di giorni ne impiegò esattamente 79 ma le città da lui attraversate erano 80 e ad ogni tappa si univano pellegrini. La via Francigena si snoda per un complessivo di 1800 km partendo da Canterbury e attraversando Francia, Svizzera e sette regioni italiane, Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Toscana e Lazio per un totale di 44 tappe solo in Italia. Lungo il cammino erano presenti, e in alcuni casi possono ancora oggi essere visitati, luoghi in cui il pellegrino poteva ristorare lo spirito e il corpo per la tappa successivao. Per questa ragione molte delle strutture del cammino mostrano ancora i segni dell’arte romanica e rappresentano in sé una testimonianza viva della cultura religiosa e della spiritualità dell’uomo del Medioevo, disposto a compiere un viaggio spesso tutt’altro che sicuro per la purificazione della propria anima. Quello che fa ancora oggi il cammino lungo la via Francigena, liberare l’anima dal monotono peso dei giorni che gravano come macigni allontanandoci dalla natura, dalla nostra essenza e dalla vera meraviglia dei paesaggi di cui più il cuore che la mente si arricchisce. Nei tempi antichi la via che conduceva a Roma non rappresentava un percorso del tutto sicuro e anche se i pellegrini non erano mai soli, poiché a loro finivano per unirsi anche intellettuali, mercanti e soldati mercenari, la via era sempre tenuta d’occhio da briganti che non raramente tendevano imboscate ai malcapitati privandoli dei loro averi. Per questa ragione non esiste un’unica via, ma fasci di vie che conducono alle stesse tappe e da cui poi proseguire, anche se non si trattava certamente di vie segrete ed il fatto che i pellegrini viaggiassero in gruppo li rendeva del tutto rintracciabili sul territorio. Essendo attraversata da mercanti, artigiani, mercenari oltre che da pellegrini, la via Francigena finì per costituirsi come strada che portava in territori del centro nord europeo e lungo la quale, prendendo lo ‘svincolo’ desiderato si poteva accedere in altri territori fino a giungere in Inghilterra, praticamente a qualche centinaio di chilometri da Londra, già centro economico e politico più importante.
La storia della via Francigena o Francesca in Italia appare ancora più curiosa e complessa. Il percorso, infatti, si snoda lungo il Piemonte e la Liguria, saltando sapientemente il cuore dell’Emilia Romagna e la sua pianura. La via Francigena in Italia rappresentava infatti una via sicura per i Longobardi che ne facevano uso per difendere anche i loro territori aldilà dell’Appennino. Proprio perquesto venne prevista anche una tappa a Pavia, capitale del regno Longobardo, ma il percorso non si insinuò mai pienamente nei territori centrali dell’ Emilia Romagna, soggetti all’influenza dei nemici Bizantini. Con la supremazia dei Franchi e Carlo Magno il cammino venne ulteriormente accresciuto e rinforzato. Con l’intensificarsi di strade e percorsi, esso si configurò come un’area di strade, tutte Francigene ma probabilmente con funzioni diverse. I punti d’accesso in Italia non erano rappresentati solo dal Piccolo e dal Gran San Bernardo, ma anche dal Monginevro e dal Moncenisio, uno dei più frequentati per la presenza dell’abbazia di Novalesa e della Sacra di San Michele dove, come si legge dal manzoniano Adelchi, Carlo Magno arrestò l’esercito del figlio di Desiderio, re dei Longobardi. Da Pavia, il percorso rammenta fra le tappe Piacenza e Fidenza per arrampicarsi sugli Appennini toccando Fornovo e Berceto. La via toccava anche fasce costiere, come nel caso della città di Pietrasanta, ma in seguito agli attacchi dei pirati, si svilupparono tappe più sicure come quelle di Camaiore, Lucca e Altopascio. Superando la Val d’Elsa e Siena, dove innestandosi per un tratto sulla Cassia, attraversavano Viterbo e Sutri, già territorio della Chiesa dopo la donazione di Liutprando al papa Gregorio II del 728, i pellegrini preferivano poi allontanarsi dalle aree considerate malsane della via Cassia, arrivando al piazzale di San Pietro dal lato destro, detto per questo Ruga Francisca, “la strada dei Francesi”. Quella dell’arcivescovo Sigerico non è l’unica testimonianza della via Francigena; intorno al 1154 un altro religioso, l’irlandese e monaco benedettino Nikulás da Munkaþverá completò un pellegrinaggio lungo una via sostanzialmente non diversa da quella dell’arcivescovo inglese, ma dopo aver raggiunto Roma, proseguì sull’Appia Traiana per imbarcarsi dai porti pugliesi fino in Terra Santa. Proprio per questa ragione c’è chi parla di via Francigena, o meglio di via Sacra Longobardorum del Sud. Essa aveva come tappa intermedia anche la Basilica Minore di San Michele nel Gargano in provincia di Foggia, dove lungo la scalinata che porta alla grotta i pellegrini hanno lasciato le proprie ‘firme’, spesso una croce o il simbolo di essa, un semplice T, tau in greco, o preghiere di estremo interesse per l’ambito della linguistica storica e l’evoluzione della lingua latina. La basilica di San Michele non rappresenta, tuttavia, solo una tappa della via Sacra nella Longobardia Minore, ma si innesta anche in un sistema di santuari ‘gemellati’: in Val di Susa si trova la Sacra di San Michele e quella di Mont-Saint-Michel in Normandia. I tre santuari si trovano tutti ad una distanza di circa 770-790 chilometri l’uno dall’altro e se si traccia una linea retta che parte dalla Normandia, essa attraversa sia il santuario in Val di Susa che quello del Gargano per arrivare direttamente a Gerusalemme, la Terra Santa. Se credete alla coincidenze, questo luogo resta sempre uno dei più interessanti da visitare e tanto la via Francigena a nord, quanto la via Sacra a sud, rappresentano delle vie piene di paesaggi incantevoli ma raffigurano trasversalmente anche la religiosità che vincola indissolubilmente il nostro paese alla storia della città Eterna e Santa, meta di pellegrinaggi e simbolo della cristianità. Se, però, credete che ci sia un significato nascosto, un mistero da scoprire, nella retta che dalla Normandia porta direttamente alla Terra Santa, un modo per confermare la propria ipotesi è proprio abbandonarsi alla magia della via Francigena che, oltre a guidare il vostro corpo da un capo all’altro dell’Europa, si mostrerà un valido mezzo per discernere gli angoli della vostra anima da cima a fondo.
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-Immagine 1 da www.easyroomviterbo.it -Immagine 2 da www.trevisoeasy.it A chi piace viaggiare in macchina immersi nelle strade che si snodano nel vasto e vario territorio italiano, sarà accaduto molte volte di notare in cima ad un'altura o dolcemente cullata dal bosco intorno, qualche città all'apparenza del tutto normale. Entrando, invece, si scoprono luoghi dove il tempo si è fermato per decenni. L'ufficio postale non spedisce più telegrammi, il teatro resta muto, squarciato e con i balconcini in bella vista, la campana della chiesa non scandisce più le ore del giorno: l'unica melodia inquietante è quella del vento che accarezza le vecchie case, i ruderi, le macerie che restano di un passato non troppo remoto. Eppure il nostro Paese è ricco di questi scenari, piccoli frammenti della vita dagli anni '20 agli anni '70. Alcuni paesini, sorti in posti difficili da raggiungere sono stati abbandonati proprio per questo motivo oppure, situati in una zona ad alto rischio di terremoto, dopo alcune scosse disastrose, non sono più state reputate sicure. Così ogni regione d'Italia ci offre storie di cittadine diverse che rappresentano, insieme a quelle degli abitanti, una pagina della storia popolare. Partendo dalla provincia di Savona, il primo villaggio molto suggestivo è Balestrino, un borgo abbandonato a causa degli smottamenti, ma che mostra ancora in tutta la sua imponenza il castello dei del Carretto. Il borgo fu chiuso al pubblico nel 2013 ma dal 2015 i lavori di ristrutturazione sono partiti. Quasi al confine con la Svizzera, si erge Erbareti, un grazioso borgo con data di fondazione 1610, probabilmente luogo di confino di galeotti e che registra già nel 1970 un solo abitante. Il borgo è famoso anche per la leggenda del Sasso del Diavolo che ebbe come protagonista una donna che riuscì a gabbare il Diavolo in persona il quale lasciò, come segno della sua ira, l'impronta di uno zoccolo su un masso ancora visibile lungo la strada che porta al paese. Quasi completamente isolata, a meno che non siate appassionati di trekking o degli escursionisti provetti, è Savogno, in provincia di Sondrio. Inserita nello scorcio paesaggistico delle Cascate di Acquafaggia, prima di raggiungerla devono essere percorsi 2800 gradini, ma una volta abbandonata alle spalle la fatica, il borgo di Savogno vi stupirà con la chiesa di San Bernardino del 1495 ed i suoi affreschi Rinascimentali. Dal 1950 il suggestivo campanile della Chiesa di Curòn Venosta è stato sommerso dall’acqua, come anche tutto il villaggio che lo circondava. Il Lago di Resia, da cui ancora oggi emerge parte del campanile, aveva una funzione centrale nella produzione di energia idroelettrica, ma il progetto comportò l’allagamento del borgo. Il panorama suggestivo diventa magico d’inverno, quando il lago si ghiaccia e consente ai visitatori di avvicinarsi al campanile, recentemente ristrutturato. Questi paesaggi offrono un panorama unico, rivelandosi luoghi del silenzio avvolti da mistero. Non mancano luoghi in cui sono stati commessi delitti come il borgo in Friuli Venezia Giulia, nella località di Pozzis dove venne registrata una “follia di massa” che coinvolse numerose donne e un giovane e nel 1996 una donna venne uccisa dall’unico abitante rimasto nel paese, un uomo dalla personalità stravagante che aveva affisso un cartello che servisse come monito ai ladri in cui aveva scritto “ Ai ladri di selle e di cavalli vengono impiccati”. Alcuni di questi borghi sono molto lontani dai centri abitati e sfuggono al controllo delle autorità. Alcuni sono nati per le vicinanze ad una miniera o ad una osteria, come nel caso di California, in provincia di Belluno, dove un rifugio ospitava all’inizio i viandanti. Il riferimento alla California dell’America del Nord è dovuto alla corsa all’oro, il borgo di California si presenta infatti come un villaggio minerario che ospitò molte famiglie di cui i componenti erano impegnati nell’estrazione del mercurio e disabitata dal 4 Novembre 1966, quando la miniera fu chiusa. In Emilia Romagna, nel piccolo borgo di Bozzi vivono solo due persone con età superiore ai 75 anni. La melodia della natura che si riproduce in tutte le stagioni è la compagnia ideale per chi ha bisogno di rilassarsi a contatto con la natura e fare delle escursioni non estremamente pesanti. A pochi chilometri da Pisa, affascina chi lo visita il borgo antico di Toiano che vanta una fondazione medioevale, numerose volte ceduto, conquistato o sconfitto da fiorentini, Lucchesi o Pisani. Il ponte che fa da ingresso al grazioso borgo doveva essere un tempo un ponte levatoio. Un progetto di recupero è nato grazie alla fama del concorso letterario di Oliviero Toscani, anche se Toiano ha fatto scrivere pagine di inchiostro di cronaca nera per il ritrovamento del cadavere di Elvira Orlandini, che nel 1947 ha avuto una eco nazionale e venne ricordato come l’omicidio della ‘Bella Elvira’. Luoghi questi che vengono abbandonati all’inizio del Novecento ma che erano molto popolati in precedenza, come il caso di Scoppio, in Umbria, dove fino al 1750 vivevano ben 25 famiglie. Dal 1979 gli edifici di Monterano, in provincia di Roma, giacciono in uno stato di abbandono e le istituzioni non hanno risorse necessarie alla conservazione degli edifici, senza contare la difficoltà per raggiungerli; in Abruzzo, per arrivare a borgo Morino Vecchia, bisogna lasciare la propria macchina e proseguire a piedi, perché la strada oltre ad avere un fondo non asfaltato, ha una larghezza inferiore a tre metri; dopo il terremoto del 1915 nella Marsica, venne quindi abbandonato. In provincia di Isernia, si erge ancora fiero su Rocchetta Alta il castello Battiloro, che prende il nome dall’ultima famiglia che acquistò il borgo e che si estinse con la morte dell’ultimo erede nel 1814. Il borgo che vanta la fondazione più antica è sicuramente il borgo di Craco, in Basilicata, i primi abitanti furono, infatti, i greci di Metaponto. Fino al 1963 il borgo era popolato, ma a causa di lavori infrastrutturali che provocarono vari smottamenti e con l’alluvione del 1972 e il terremoto del 1980, gli abitanti decisero di spostarsi in un luogo più sicuro. Uno dei quartieri più suggestivi è il Canzoniere, dove una oste, donna di straordinaria bellezza, serviva la carne degli uomini che si erano invaghiti di lei, dopo averli uccisi e messi sotto aceto. Craco è stata anche set, insieme a Matera, del film La passione di Cristo. Similmente sgomberata fu Roscigno Vecchia, nella provincia di Salerno, dove però fu il genio civile a determinare l’abbandono del borgo per inagibilità. Qui, dopo la morte dell’ultima donna che vi abitava, un nuovo abitante si è stabilito in un’abitazione sulla piazza. Giuseppe Spagnuolo, con una personalità travolgente, accompagna i turisti e i curiosi con trasporto nelle strade di Roscigno fino a guidarli dentro il museo contadino. Grazie al riutilizzo di materiali provenienti dal borgo antico, spostati dagli abitanti nella nuova Roscigno, il borgo è stata definito “il paese che cammina”. Se si dovesse pensare che questi borghi non hanno avuto alcun ruolo nella storia, si commetterebbe un errore in partenza. In provincia di Lecce, per esempio, il villaggio di Roca Nuova aveva addirittura ricevuto finanziamenti dal re Filippo II di Spagna e aveva conquistato una posizione centrale nei trasporti marittimi e nel commercio. Il progetto di recupero del borgo ha visto coinvolte le numerose torri che la circondano. Di solito gli abitanti che abbandonavano i borghi per motivi di sicurezza in seguito a scosse di terremoto, alluvioni o smottamenti del terreno, ne ricostruivano uno nuovo a valle o in luoghi reputati più sicuri ma comunque appartenenti allo stesso distretto territoriale. Il caso del borgo di Roghudi Vecchia sorta nel 1050, è del tutto particolare. Venne abbandonata nel 1971 e gli abitanti furono distribuiti nei comuni limitrofi. Dopo diciotto anni però sorse la Nuova Roghudi nel comune di Melito di Porto Salvo, distante 40 km dal borgo antico! Il caso regolare, invece, è quello di Poggioreale che, dopo essere stato colpito dal terremoto del Belice nel 1968, è stato abbandonato dai suoi abitanti che decisero di spostarsi più a valle per costruire una città più sicura e con strutture all’avanguardia per il periodo. Il borgo conserva ancora tutto il suo fascino insieme all’antico ufficio postale, la chiesa che troneggia sulla piazza in cui alcune case giacciono piegate dal terremoto. Il teatro è squarciato e la facciata non è più esistente. L’enorme spazio lascia al visitatore l’opportunità di vedere il teatro, o meglio quello che resta, al suo interno. Nelle case di alcuni edifici, sono rimaste, sfidando la gravità, il tempo e le intemperie, le ringhiere da cui una volta ci si affacciava. E poi dalla strada è ancora possibile vedere all’interno delle case, tavoli da cucina con qualche bicchiere ancora sopra, piatti rotti e scarpe vecchie, quello che resta dopo un disastro che ha portato via centinaia di anime, macerie ovunque. Due dei borghi più affascinanti per la loro funzione, sono quelli di Ingurtosu e Naracauli, nel comune di Arbus a sud della Sardegna, villaggi minerari da cui si estraevano argento, piombo e zinco. Abbandonati nel 1968, le persone che vi abitavano raggiungevano il numero di seimila. Anche il proprietario delle miniere viveva in loco e oltre ai quartieri del borgo si vede ancora la grande Villa Wright, anch’essa ormai disabitata. Questa rappresenta solo una piccola percentuale delle città fantasma in Italia, ognuna con la propria storia. Tutte hanno caratteristiche diverse, alcune sono accomunate da disastri idrogeologici, altre da terremoti. Alcune sono state abbandonate perché non fornivano più lavoro a coloro che vi abitavano, altre perché troppo difficili da raggiungere. Borghi che dormono nella culla del tempo, aspettando di essere risvegliati da un breve set cinematografico, curati e riportati alla vita da cittadini ed istituzioni che non dimenticano la loro storia che affonda le proprie radici nella notte dei tempi.
Immagini tratte da: - Balestrino : www.comune.balestrino.it - Erbareti : www.comune.sabbia.vc.it - Savogno : www.gmmilano.org - Curòn Venosta : www.suedtirolerland.it - Pozzis : www.arzino.it - California : www.trekkingo.altervista.org - Bozzi : www.gazzettadiparma.it - Toiano : www.junglekey.it - Scoppio : www.iluoghidelsilenzio.it - Monterano : www.laziodirectory.org - Morino : www.printerst.com - Rocchetta : www.paesifantasma.it - Craco : www.basilicatadiscover.com - Roscigno : foto dell’autore. - Roca Nuova : www.losguardodiomerofestival.it - Roghudi : www.paesifantasma.it - Poggioreale : www.pratosfera.it - Naracauli : www.paesifantasma.it |